Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 21 Domenica calendario

LA METAMORFOSI DELLE ÉLITE

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati in Italia da una bassa circolazione delle élite. A determinare il fenomeno è stata innanzitutto, a monte, un’altrettanto scarsa mobilità sociale, che, dopo aver vissuto i lampi degli anni Settanta e Ottanta, è via via scemata, producendo vischiosità e carriere pilotate. Dai partiti, dalle associazioni di rappresentanza, dal familismo. A rendere arduo il ricambio ha contribuito in maniera potente la pratica della cooptazione dall’alto, che quasi mai si è rivelata sorprendente nelle sue scelte, anzi ha finito per seguire nove volte su dieci un rituale in cui il sorpasso meritocratico non era previsto, era considerato destabilizzante. L’ascesa verso l’alto era quindi scandita da cooptazioni successive e sapientemente limitate a un gradino alla volta. La novità sorprendente degli ultimi mesi, invece, è stata l’improvvisa riapertura della circolazione, o forse dovremmo dire più schiettamente che c’è stata una vera liberalizzazione delle élite che ci ha colto in contropiede e che ha investito il settore che appariva più restio al rimescolamento, la politica. E non invece quegli ambiti della società civile che pure programmaticamente avevano fatto della meritocrazia una bandiera da sventolare (forse solo a uffici chiusi).
Il macro-fenomeno di circolazione dell’élite si è sicuramente manifestato con lo sbarco (movimentato) di 163 grillini in Parlamento da un giorno all’altro, senza che avessero guadagnato quel risultato attraverso un cursus honorum pluriennale fatto di incarichi intermedi. Le primarie del Movimento 5 Stelle consistono infatti in un referendum online che non produce mai numeri particolarmente consistenti, ma che, presentandosi open, garantisce almeno simbolicamente la fedeltà a quella circolazione di cui sopra.
Il caso interessante è quello del candidato sindaco di Roma, Marcello De Vito, che ha discrete chance di salire in Campidoglio ad occupare la sedia di Gianni Alemanno ed è stato designato quale capolista dei grillini alle prossime amministrative romane solo da 533 consensi-clic. Un purista potrà obiettare che stiamo parlando di una circolazione sui generis, nella quale il merito del neo-deputato o neo-senatore è tutto sommato relativo, perché il capitale sociale di consenso (leggi i voti) necessario a un candidato Cinque Stelle per affermarsi viene interamente garantito dalla straordinaria popolarità di Beppe Grillo e di conseguenza il neo-parlamentare viene di fatto eletto con una modalità che ricorda da vicino il franchising commerciale. Ai fini della nostra ricognizione sul mutamento delle élite però poco importa, è prioritario cogliere la discontinuità nelle forme in cui si manifesta. E non in quelle che noi a tavolino desidereremmo.
Un’operazione parallela è stata quella varata da alcune sigle politiche consolidate come il Pd e la Lega Nord, che hanno rinnovato le loro liste in buonissima percentuale. Il partito di Pier Luigi Bersani ha garantito la circolazione (formalmente) con le primarie per il Parlamento, che però si sono tenute in una data infelice a ridosso di Capodanno e quindi non sono state così significative per numero di partecipanti. Ma comunque in Parlamento sono entrati molti nuovi deputati e parlamentari con un’età media più bassa della precedente e con una componente femminile molto più larga delle altre legislature (30% del totale delle due Camere e 41% dei gruppi Pd). Nella Lega guidata da Roberto Maroni non abbiamo avuto formali selezioni, come quelle online dei grillini o le primarie Pd, ma il rinnovamento delle liste è avvenuto tramite il confronto nelle sezioni del partito ed è stato il frutto indiretto dello scontro interno tra maroniani e bossiani, in particolare nel Veneto.

Per restare sul tema della circolazione delle élite, e uscire dal caso specifico delle ultime elezioni politiche, il fenomeno più rilevante è sicuramente rappresentato dalla progressiva presenza di donne ai piani alti della società civile. Prendendo la parte per il tutto, possiamo chiamarlo «movimento delle quote rosa» richiamando la legge Golfo-Mosca che regola l’ingresso protetto di donne nei consigli di amministrazione. In realtà, al di là dei board societari, la mobilità femminile è stata molto più larga e si presterebbe forse a essere fotografata meglio con una sorta di censimento. Va segnalato come siano sorte anche scuole di quote rosa, sedi nelle quali operatori privati e associazioni hanno pensato di aiutare il ricambio favorendo un’opportuna diffusione di competenze in tempi per di più rapidi. Questo per poter meglio selezionare in partenza e ridurre la differenza di skill tra mondo maschile e femminile.
I fenomeni che fin qui abbiamo succintamente analizzato hanno ovviamente generato un dibattito politico-culturale molto vivace e sicuramente focalizzato sullo straordinario successo delle new entry grilline. È chiaro che tutti i supporter della società aperta, tutti coloro che in questi anni, per perorare la più ampia liberalizzazione delle élite, hanno contrapposto le società anglosassoni a quella italiana, partivano dal presupposto che il ricambio avvenisse in presenza di un forte baricentro di continuità. In questa narrazione la liberalizzazione non appariva mai caotica, anzi era la dimostrazione ordinata dell’efficacia dei meccanismi di mercato applicati alle persone. In Italia però, nell’anno di grazia 2013, l’apertura del mercato delle élite sta avvenendo in parallelo all’assenza di un vero baricentro, come dimostrano il prolungarsi della crisi politica e i rischi che corriamo di precipitare in una crisi istituzionale. Società aperta senza baricentro suona quindi come una novità, ma evidentemente a noi italiani non è concesso niente di ordinario e ordinato. Così la liberalizzazione ha portato con sé non tanto una validazione della cultura meritocratica, bensì una deriva orizzontalistica. I rappresentanti grillini tendono a negarsi nella loro funzione di élite e addirittura programmano rotazioni forzose a breve dei capigruppo parlamentari (Roberta Lombardi e Vito Crimi), proprio per sottolineare come non credano in una selezione che estragga nel tempo élite dal corpo dei cittadini. L’accumulazione di esperienze e competenze in questa visione appare di per sé pericolosa, perché stratifica i cittadini e può fare da tappo. In sinergia con questa visione Grillo ha attaccato duramente i corpi intermedi, perché a suo parere finiscono per creare dei filtri tra il cielo della politica e la cittadinanza, ma con tutta evidenza al comico genovese non interessano le infrastrutture civili (che sono il cuore della Memoria di Fabrizio Barca), preferisce la comunicazione top down del suo blog.
Il pensiero orizzontale à la Grillo dà grande e assoluto valore alla trasparenza (vedi il successo dello streaming) e nega la rappresentanza, se non occasionale e a rotazione. Portando alle estreme conseguenze questo concetto, i parlamentari Cinque Stelle potrebbero teoricamente essere estratti a sorte tra i partecipanti ai meetup, visto che sono tutti uguali e soprattutto lo devono rimanere per paura di essere espulsi. È interessante notare, a questo proposito, come il tema dei sorteggi per la designazione delle assemblee elettive di prossimità sia proposto provocatoriamente anche da un giurista e intellettuale caro alla sinistra tradizionale come Aldo Schiavone, nel suo recentissimo libro Non ti delego. E in Francia un filosofo marxista come Daniel Bensaïd, di fronte a quello che chiamava il dispotismo dei mercati e dei sondaggi, ha pubblicato un Elogio della politica profana.
È evidente che sul breve questa iniezione di culture dell’orizzontalità non può che produrre un vuoto di competenze e ciò indubbiamente stride, a fronte degli straordinari problemi che abbiamo davanti e che necessiterebbero di buone e urgenti soluzioni. Bisogna allora buttare bambino e acqua sporca, archiviare la circolazione delle élite a dominanza grillina come una iattura? Chi ragiona esclusivamente con categorie sociologiche — penso a Giuseppe De Rita — è più portato a sottolineare l’aspetto inclusivo del ricambio e dell’universalizzazione delle chance e ciò a prescindere che si condividano o meno i contenuti dei Cinque Stelle. Il commentatore politico sarà invece più facilmente attratto dalle sottolineature delle gaffe di quelli che gli paiono essere dei veri parvenu della rappresentanza parlamentare, per la manifesta difficoltà a padroneggiare i linguaggi istituzionali e la sottolineatura a volte adolescenziale della loro diversità. Se questo poi avviene nel bel mezzo di una crisi di governabilità e in un momento in cui servirebbero soluzioni hic et nunc, lo spiazzamento è ancora più largo e può portare a mettere in dubbio la bontà stessa della liberalizzazione delle élite.
Ma sarebbe un errore. La discontinuità positiva sta nel movimento sociale sottostante al ricambio politico e non tanto nell’apporto di (presunte) nuove culture politiche, che peraltro, come abbiamo visto, riproducono filoni minoritari della sinistra alternativa o posizioni di testimonianza.

Il guaio, caso mai, risiede nella singolare attrazione che una parte dei fautori della cooptazione guidata (il gruppo dirigente del Pd e gli intellettuali più vicini al segretario Pier Luigi Bersani) hanno subìto nei confronti dei grillini, fino a concedere loro, almeno mediaticamente, la primogenitura del «cambiamento». Ci sarebbe molto da discutere su questa parola e sull’accezione che prevale oggi nel piccolo mondo politico romano: il cambiamento infatti non è solo lo spostamento di pesi all’interno delle rappresentanze né tantomeno la sola capacità di canalizzare con successo la protesta. In chiave sociologica il cambiamento è la discontinuità di prassi consolidate, l’adozione di nuovi modelli di comportamento, l’adattamento a processi di riorganizzazione sociale e certo l’avanzata di nuovi protagonisti.
La palla, dunque, torna a chi sostiene il valore della liberalizzazione delle élite, a prescindere dal saldo qualitativo tra competenze degli uscenti e degli entranti. Per non confondersi con i grillo-entusiasti dovrà spiegare con convinzione che la circolazione delle chance deve comunque avvenire in un ambiente nel quale conflitto e concorrenza non siano esorcizzate, al contrario. Ben vengano le facce nuove (e ciò in futuro non dovrebbe avere più carattere straordinario), ma ciò non vuol dire che non si abbia il diritto/dovere di competere con loro sul piano delle culture e delle soluzioni. Il sale della società aperta consiste proprio nel non assegnare rendite di posizione a nessuno dei contendenti e invece, a leggere delle molte cose che si scrivono di questi tempi, «il cambiamento» sembra diventato una zona franca. A prescindere.
Danilo Taino