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 2013  aprile 19 Venerdì calendario

NEL PAESE DEGLI ORFANI DELL’AIDS

Tra le regioni più povere dell’Africa, il Malawi non aveva certo bisogno dell’Aids per accelerare lo sfoltimento della sua popolazione (più di 13 milioni di abitanti), già decimata dalla fame. Ma l’implacabile virus continua a far vittime al ritmo – secondo dati recenti – di mille persone la settimana, aggiudicando al Paese il primato di 55mila decessi l’anno. Non so quanto lo sgomento possa essere alleviato dalla nozione che soltanto qualche anno fa il totale si aggirava sui 70mila.
L’epidemia colpisce soprattutto donne e bambini, che affollano i Dream Center nell’area rurale intorno a Lilongwe – la capitale – e nelle altre città, inverosimilmente gremite da gente che “campa d’aria”, ridotta alla miseria estrema. Non deve quindi trarre in inganno la parola Dream, che in questo caso non significa affatto “sogno”: si tratta piuttosto delle iniziali di Drug Resources Enhancement against Aids and Malnutrition, ed è uno degli interventi di Project Malawi, l’iniziativa promossa dalla Fondazione Cariplo e da Intesa Sanpaolo per prevenire e combattere la diffusione dell’Aids e che sostiene organizzazioni non governative come la Comunità di Sant’Egidio e il CISP, il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli. «È comunque un fatto», sostiene la signora Harrima Daudi, viceministro della Sanità, «che nel Malawi oggi più di un milione di persone vivono con l’Aids». Sorto nel 2005, il Dream Center (in tutti i Dream Center opera la Comunità di Sant’Egidio) di Mtengo Wanthenga dispone di una clinica che assiste attualmente 1.900 pazienti, di cui trecento bambini nati da madri sieropositive: tuttavia la maggior parte dei medici ed esperti della situazione sanitaria locale ritiene che il 94% delle donne colpite dalla malattia «non abbia trasmesso il virus» ai propri figli, grazie alla cura con medicine retrovirali. È il caso di Falesi Loyd, una signora di 36 anni, già madre di quattro figlie (tutte sane) e prossima al quinto parto: spera sia un maschietto, per il quale ha già scelto il nome, Vincenzo.

Uomini “campioni” di infedeltà. Non sembra aver alcun dubbio, Falesi, che sia stato il marito a trasmetterle il virus: ma nella sua voce, quando la incontriamo convalescente nella clinica del Centro, non c’è ombra di risentimento o rancore nei riguardi del coniuge, lui stesso vittima di ciò che nel Malawi viene talvolta definito «un fatale ingranaggio ereditario». Del tutto simile la vicenda di Monica Banda, sposata, con due figli piccoli e incinta di otto mesi, che però non può fare affidamento sul proprio compagno, ostinato “campione d’infedeltà” e perenne uccel di bosco. Non stupisce che pensi al divorzio come unica via d’uscita.
Di tutt’altro genere, invece, la storia di una donna anziana, Zainabu Dagliya, che abbiamo incontrato nel suo remoto villaggio dopo che la nostra inchiesta, iniziata nella capitale, s’era estesa nelle immense zone agricole della regione meridionale, da Bakala a Zomba, a Blantyre e poi giù giù fino alle pozzanghere e ai campi di tè del Thyolo, nel profondo Sud.
Zainabu sta trascorrendo la sua ottantesima primavera a Mtengo Wanthenga, frazioncina di poche case in muratura a un piano, affacciate sull’unica strada. Ha avuto quattro figli e otto nipoti. L’Aids ha bussato alla sua porta e il risultato è un ragazzino di undici anni, sieropositivo, i cui genitori morirono nel 2004, stroncati dal virus. Spende tutto il tempo e tutte le energie rimaste dietro questo gracile nipotino, Joseph Kachala, sfibrato dal vomito, che però migliora, dice, «grazie anche alle medicine del Dream Center e al cibo che mi mandano a casa, riso, soia, zucchero, piselli e qualche litro d’olio... Lo vedesse, com’è in gamba. Ora è a scuola. Sa leggere, sa scrivere...».
In un altro dei 28 distretti in cui è suddiviso il territorio del Malawi la tragica esperienza del virus è stata vissuta e positivamente risolta da una coppia di coniugi: lei, Georgina Lejani, 42 anni, Mtsuko, 48. Nel 2007 lui si ammalò e, dopo una visita in ospedale, scoprì di essere sieropositivo. Preoccupata, la moglie si sottopose ai test per ben sette volte, sempre con esito negativo. Solo nell’ultima visita (2011) a Georgina venne diagnosticata la sieropositività. Mtsuko non aveva mai comunque desistito dal proclamare la propria “verità”: e cioè di aver contaminato la moglie in seguito a rapporti intimi con altre donne.
Il seguito della vita coniugale tra i due è un idillio: sveglia alle 6 del mattino con gli occhi rivolti al cielo e la preghiera, rito che viene celebrato la sera, prima di cena. Il marito riceve regolarmente i farmaci da un ospedale governativo, mentre alla moglie provvede ogni giorno il Dream Center. Atmosfera francescana in casa.

Le polemiche sul controllo delle nascite. Difficile stabilire quante siano effettivamente le persone colpite dal virus dal momento che gran parte della popolazione è restia a sottoporsi ai controlli sanitari necessari per accertarlo: una tendenza, questa, particolarmente diffusa nelle grandi comunità rurali del Meridione, dove per altro la promiscuità e l’attività sessuale sono più intense che al Centro e nel Nord del Paese.
Se non più viva, rimane certamente intensa nel Malawi la polemica sul problema del controllo delle nascite e sui rimedi legittimi da adottare per risolverlo. Il governo e altre organizzazioni laiche sostengono apertamente i promotori della campagna per il ricorso agli anticoncezionali, ancora vivacemente avversata e respinta dalla comunità cattolica; mentre al tempo stesso il Dream Center stigmatizza il sistema tradizionale della famiglia malawiana, dove il padre-padrone gode di una posizione di assoluto privilegio (tutto gli è dovuto in abbondanza, a cominciare dal cibo) a scapito dei figli, che crescono deboli e malati, privati come sono, fin dall’infanzia, di una adeguata alimentazione.
Altro momento interessante. La visita a Katsukunya, un remoto villaggio in provincia dove, sempre con il sostegno di Project Malawi, si stanno realizzando una serie di progetti a beneficio della comunità e, soprattutto, dell’infanzia locale. Un tentativo di sottrarre i bambini a quella che è stata, per secoli, la loro più grande disavventura: l’analfabetismo.

L’inerzia dei governanti. Il locale appena allestito dovrebbe svolgere le funzioni di asilo-nido, destinato ai piccoli dai tre ai cinque anni. Sono stati predisposti sei angoli per soddisfare tutte le tendenze: di chi ama la natura, di chi ama l’arte, la cultura, la religione e infine la danza e la musica. Ed è proprio quest’ultima che affascina un gruppetto di musicisti in erba, i quali, presi d’assalto alcuni tamburi, sprigionano un inaudito fracasso di suoni che, nella loro puerile immaginazione, dovrebbe evocare le sonore mareggiate dei Beatles e dei Rolling Stones.
Landa incantevole, il Malawi, così diversa da come l’avevo immaginata, colline verdi e campi sterminati di mais fatti ondeggiare dal vento, villaggi graziosi color pastello, strade pulite. Ma per sapere in che misura l’Aids ha infierito sul Paese ricorro a uno dei suoi più importanti intellettuali, Mabvuto Bamusi, che ha scritto un libro, Malawi Poverty, sui disagi della situazione socio-economica. «Per cominciare», esordisce, «affermo subito che noi non abbiamo ancora promulgato una legge contro l’Aids grazie all’inerzia dei nostri governanti, presenti e passati. Invece di finanziare un progetto che colmasse questa lacuna, il governo di Lilongwe ha speso i soldi per la residenza del capo dello Stato e per i viaggi intercontinentali dei nostri ministri. Occorre instaurare subito una nuova leadership e non dipendere più, per le decisioni economiche, dal Fondo Monetario Internazionale. Bisogna pure affrontare il tema della povertà nel nostro Paese, che coinvolge tutti gli strati sociali».
Anche sul terreno della sanità, Bamusi ha parlato di “corruzione interna” e di “contrabbando di prodotti medici”, come avviene di sovente nello Zambia e nel Mozambico, i due Paesi confinanti. E ha pure ricordato che mentre il presidente del Malawi festeggiava il giorno di San Valentino innaffiando gli ospiti con lo champagne, il carburante scarseggiava mettendo in difficoltà autoambulanze e generatori di corrente negli ospedali.

Testimonianze di sofferenza. Ultimo appuntamento nel villaggio di Chibwan, nella regione del Thyolo, dove il 40% della popolazione è sieropositiva e tutti si guadagnano da vivere sguazzando negli acquitrini delle immense piantagioni di tè. Anche qui le donne che incontro hanno dovuto fare i conti con l’Aids, che ha sconvolto la loro esistenza. Testimonianze quasi sussurrate, fatte comunque a bassa voce per non turbare l’incanto del paesaggio. La prima a confidarsi è Violet Paulo, 32 anni, che non può più camminare perché azzoppata dalla malattia e che recentemente ha perso il marito. Ed ecco Patuma Kauda, sieropositiva dal 2009, pure lei paralizzata e immobilizzata tre anni or sono da un cancro, conseguenza dell’Aids, ora accudita dall’anziana madre, rimasta vedova con tre figli grandi che vede di sfuggita quando emergono dal pantano, neri di fango. E infine Stazia Amusa, 48 anni, sposata e con tre figli (ma uno di essi naturalmente scomparso), che nel 2003 aveva scoperto di essere sieropositiva e che l’implacabile virus le era stato trasmesso dalla propria figlia, aggredita poi mortalmente dall’Aids.
Il dramma del Malawi, che si sarebbe sviluppato a tappe durante il nostro soggiorno su palcoscenici diversi, era già tutto specchiato negli occhi di Memory Chiguguza, una signora di 36 anni, malata di Aids, sdraiata su una stuoia e per sempre immobilizzata da un tumore che nel 2008 («secoli fa» avverte) l’aveva colpita alle gambe. È stata la nostra prima intervista e anche la più breve. Poche parole, accompagnate da lunghi sguardi che raccontavano una sofferenza infinita. Era lei il Malawi.