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 2013  aprile 19 Venerdì calendario

“TRE-QUATTRO ANNI SENZA SACRIFICI ECCO IL PIANO PER I PAESI IN CRISI”

«SERVE una visione d’insieme. Le riforme strutturali sono necessarie, resti ben chiaro. E non sono un’esperienza piacevole: il consolidamento fiscale fa male, la pulizia del sistema bancario costa alle finanze pubbliche, le tasse rappresentano un problema inevitabile. Ma vanno assolutamente rivisti i tempi, consentendo una moratoria perché i Paesi in difficoltà si allineino ai più forti. Questa proroga va utilizzata per intervenire in modo articolato non solo nel settore pubblico ma in quello privato». Jean Pisani-Ferry, 62 anni, a lungo consulente della Commissione di Bruxelles, docente all’Université Paris-Dauphine e direttore del
think-tank Bruegel di Bruxelles, si unisce alla nutrita pattuglia di economisti che lanciano l’allarme sul rigore: «Una così protratta carenza di crescita è un challenge politico di dimensioni enormi. Non si risolve semplicemente imponendo un’agenda di riforme draconiane, di rigore, di austerity, come se bastasse. Le priorità sono altre, come il recupero di competitività e produttività. Il divario con l’America è insostenibile da prima della crisi: la produzione dei primi 15 Paesi dell’Ue era superiore per il 15% a quella degli Usa nel 1982, sarà più bassa del 15% entro il 2017. E il Pil per lavoratore era già declinato in Europa del 5% fra il 1997 e il 2007 ed è sceso di altri sei punti da allora ad oggi ».
Una proroga, ma di quanto? Tre, quattro anni?
«Beh, di sicuro non di più. Ma è importante la gradualità, senza inseguire il consenso dei mercati con provvedimenti drastici e drammatici che poi alla fine aggravano solo la recessione. Non si può risolvere tutto così in fretta ».
Già, i mercati: come rassicurarli in presenza di una proroga?
«Serve un’istituzione europea di garanzia, che non può essere che la Commissione. La quale deve vagliare i singoli piani statali, approvarli e monitorarne gli adempimenti. I governi devono meritarsi la fiducia della Commissione, che a sua volta diventa responsabile dei consolidamenti. Finora non si è fatto, e il risaconcreti
namento è in alto mare. Si è innescato un circuito vizioso per cui la produttività non migliora, la crescita è inesistente, i crediti in sofferenza aumentano, le finanze pubbliche peggiorano».
Quale è stato il provvedimento più deludente?
«Non dico che il consolidamento poteva essere evitato, non c’è una singola misura sbagliata, è l’intero processo basato sul solo rigore che non funziona. Va affrontato il problema delle banche. Manca, a parte gli stress test di due anni fa parziali e superficiali,
una mappa del sistema creditizio europeo che individui i punti di sofferenza. E tutti soffrono delle carenze di credito, il problema numero uno che si
oppone alla ripresa industriale».
Draghi ha confermato che oltre a fare “qualsiasi cosa” per l’euro, lavorerà a 360 gradi per i problemi delle banche...
«Le stesse cose le aveva dette un mese fa. Bisogna essere più nel chiudere le banche che non ce la fanno più a stare sul mercato, magari perché hanno insistito nel fare prestiti a chi era già in sofferenza, e ricapitalizzare quelle buone. Uno sforzo che dovrà essere necessariamente a carico dei singoli Paesi. Allora Bruxelles deve escludere i fondi necessari dalle procedure di infrazione e dal calcolo
del rapporto deficit/Pil, che può salire nominalmente al 10% se c’è un’emergenza. Per rientrare bisogna emettere nuovo debito. Non c’è via d’uscita».
Una via simile a quella seguita dall’Italia per restituire i fondi alle imprese, che comporta un aumento del debito di 2,5 punti ma una diminuzione della recessione da -2,9 a -2,4?
«Certo, alla fine i soldi devono essere restituiti, e perciò è importante la fiducia dei mercati e per garantirla non c’è che ricorrere alle istituzioni europee. Perché Bruxelles approvi i piani servono alcuni connotati: devono essere credibili, attuabili, presentati da governi in possesso di una solida accountability».
Non è il caso dell’Italia di oggi.
«Ho la massima fiducia nell’Italia. E anche voi dovete averne: non dovete aver paura del cambiamento perché comunque mi sembra che la democrazia sia mantenuta. Sono stati fatti errori, probabilmente un peso eccessivo sui pensionati mentre in Francia è stato caricato sui ricchi, ma c’è tempo per correggerli ».
Come superare l’intransigenza della Bundesbank, che
vede i prestiti agli Stati come la madre di tutti gli azzardi morali?
«C’è una finestra di opportunità: la tutela del Fondo salva stati sulle attività della Bce. Quando lanciò le
outright monetary transactions,
Draghi ebbe il consenso della Merkel contro l’opposizione della Bundesbank. La stessa cancelliera andò ad Atene per silenziare l’opposizione tedesca che chiedeva l’estromissione della Grecia. Peccato che quest’apertura si sia fermata lì. Per questo, temo la Germania bloccherà gli eurobond almeno per un altro anno. Però, appunto con la garanzia dell’Esm, ora la Bce può essere più intraprendente nell’avviare misure di rilancio dell’intermediazione finanziaria e spingere verso l’unione bancaria e la vigilanza comune, che potrebbero rilanciare il credito alle imprese. In America si dà più importanza alle iniziative espansioniste della Fed che al consolidamento dei conti pubblici, malgrado il
fiscal cliff.
Da noi che si dovrebbe dire? Al confronto abbiamo una
fiscal mountain»