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 2013  aprile 19 Venerdì calendario

ALLA CAMERA PSICODRAMMA PD

«Non sapete fare neanche un presidente!». È la prima battuta del film intitolabile «Psicodramma Quirinale». La pronuncia, quando ancora le votazioni non sono cominciate, la signora Letizia che si piazza per qualche minuto davanti a Montecitorio. Poi una piccola folla di gente comune si aggiunge a questa cittadina indignata. Il sapore è di una contro-scena rispetto a quella che si svolse nella piazza di San Pietro mentre il Conclave stava scegliendo Bergoglio. Lì, c’era una folla che abbracciava la Chiesa, qui una folla che contesta il Palazzo. In cui lo «Psicodramma Quirinale» è un misto di tragedia e di commedia. Il Pd liquefatto («Siamo in Vietnam o a Waterloo?»), Fioroni che grida ai nemici interni di Marini «siete irresponsabili e se volete Prodi ditelo subito» (Vendola: «Ho appena detto a Prodi che lo vogliamo»), congresso anticipato in cortile e ci si rinfaccia a vicenda tutto quanto fin dalla scissione di Livorno del ’21, per non dire dei bersaniani che citano a proposito di Bersani un vecchio motto di Palmiro Togliatti: «Mai un Papa romano, mai un segretario emiliano». E uno degli uomini più vicini a Pier Luigi così amaramente ironizza sul leader mentre intorno c’è il passato di un’illusione chiamato Pd: «L’Operazione Marini è talmente complessa e raffinata che perfino un professionista come me non solo fatica a spiegarla ma anche a capirla». Ma insieme, in questa valle di lacrime, siamo alla farsa di «Amici miei», visto che tra Marini (il senatore Franco e showgirl Valeria) e Rodotà, fra Veronica Lario (applaudita a sinistra e fischiata a destra) e il comandante Ultimo, tra «Mara Carfagna («Non ha i requisiti», commenta Boldrini quando vede il suo nome su una scheda) e Claudio Magris, spunta un voto per Raffaello Mascetti, l’inventore della «supercazzola», interpretato da Ugo Tognazzi.
Lo psicodramma Quirinale, sia pure con diverse gradazioni di gravità, è un doppio psicodramma. Riassunto in questa scena. Due stanze affiancate nel corridoio cosiddetto della Corea. In una ci sono Berlusconi, Alfano, Verdini, e il Cavaliere si sfoga durante lo spoglio che da subito si sta complicando per Marini: «Prima ci danno il loro candidato e poi glielo dobbiamo votare noi perchè loro lo impallinano. Non è un giochetto per fare rebelot (espressione milanese che significa casino, ndr) e poi rifilarci Prodi?». Nella stanza accanto l’atmosfera è più plumbea. Con Bersani c’è il Tortellino Magico che si è aperto in acqua e si è disfatto nella pentola in cui ribolle il Pd e insieme agli amici emiliani di Pier Luigi qualche altro big: «Fino a 164 franchi tiratori Marini li regge», spiega Bersani sotto botta e senza birra, «ma se sono di più cade tutto». Sono di molti di più: 224, con le schede bianche. E viene surclassato il record storico di cecchini che aveva raggiunto Giuliano Vassalli quando fu impallinato da 157 colpi di fuoco amico, a dispetto del patto Dc-Psi, nel ’92 quando poi venne eletto Scalfaro. Ma allora, e molto spesso, il franco tiratore si vergogna della suo sparo. Stavolta, «siamo stronzi ma bravini», esultano i giovani democrat dopo aver affossato il Matusalemme abruzzese. Che poi è persona degnissima e non avrebbe meritato di finire in questo tritacarne annunciato. «L’elogio del franco tiratore recitato l’altra notte alla riunione del centrosinistra Walter Tocci - va dicendo Vendola, tutto contento - è stata la cosa più bella e più attuale di queste ore».
L’AUTOGOL
Ancora Bersani, nella stanza della Corea: «Vedo che il malumore è profondo». Ah, sì? Ma davvero davvero? Ironizza Gasparri, mariniano convinto, incontrando Latorre: «Ho saputo che ci sono franchi tiratori del Pd che, per fortuna, votano Marini». Il Pdl è terrorizzato da Prodi e Berlusconi lasciando la Camera per volare in Friuli per la campagna elettorale dice a Alfano: «Tratta fino alla fine. Ma se quelli cambiano gioco, si andrà a votare e li travolgeremo». Ma quanto non vuole in realtà andare a votare il Cavaliere? Tanto. E questa ritrosia, mascherata da baldanza, è un ingrediente dello psicodramma bipartisan. Reso ancora più grave - mentre dai banchi Pd qualcuno urla al segretario: «Mollalo, se questa immagine finisce in Rete siamo finiti» e ci finisce tre minuti dopo anche sul blog di Grillo - dall’abbraccio plateale in cui Bersani e Alfano si stringono in pieno emiciclo, e poi si prendono a braccetto, passeggiano e motteggiano come due amici. Regalando l’icona dell’inciucio (oltretutto infruttuoso) ossia l’immagine dell’autogol che, in aggiunta a tutto il resto, fa dire a Renzi appena arriva a Roma per andare da Eataly con il suo sostenitore Oscar Farinetti che è il patron di quell’impero del gusto dove non si serve naturalmente il Tortellino Magico: «Veltroni - dice il Rottamatore - si è dimesso per molto meno».
IL PRESIDENTE MORALE
Da vicino, in Transatlantico, la renziana Simona Bonafè: «Bersani ha spaccato il Pd e il centrosinistra. Ci voleva tanto, dopo il marasma dell’altra notte, ritirare Marini? Ora loro hanno le facce tristi, e noi i volti tranquilli. Ed era chiaro che sarebbe andata così». Però «Marini è il presidente morale della Repubblica italiana», tuona il catto-berlusconiano Giovanardi, visto che anche la destra deve spargere balsamo sulle proprie ferite. Migliavacca, il mediatore bersaniano dell’operazione Marini, a un certo punto del pomeriggio visto il guaio, è stato sorpreso mentre si nascondeva in un angolo dietro il Transatlantico, mentre lì intorno si ironizzava su di lui che è con Vasco Errani il cuore del Tortellino Magico: «C’è uno che gira con barba e baffi finti. Ma chi è, Migliavacca mascherato?».
Si ride per non piangere. In cortile i peones liguri del Pd se la prendono con Andrea Orlando, uno dei capi dei giovani turchi e genius loci in Riviera. La prodiana Sandra Zampa non si dà pace: «Questo è un suicidio assistito». Chi spera in Prodi, chi in D’Alema, chi - l’ex dalemiano Matteo Orfini - dice: «Non vanno bene nessuno dei due. La nostra gente continuerebbe a non capire, vuole rottura, discontinuità, rinnovamento». Arriva la notizia che nella sezione democrat a via dei Giubbonari, dove si è appena iscritto Fabrizio Barca l’uomo della Provvidenza ma chissà, tra militanti si stia venendo quasi alle mani e «Bersani se ne deve andare», «Ma no, vattene te!». Dall’Emilia, giungono voci di rivolte e Stefano Bonaccini, segretario super-bersaniano, ha scaricato Bersani e a Montecitorio - che a questo punto pullula di Bruto e Cassio - viene subito soprannominato, entusiasticamente, Dino Grandi.
IO, SILVIO
Poche ore prima, quando il voto è cominciato, mancava Berlusconi. Arriva quando il suo turno è già passato, ma poi Boldrini vedendo il Cavaliere voglioso d’infilarsi sotto il catafalco chiede: «Chi non ha votato?». «Io!», esclama Silvio alzando la mano. Vota. E si arrampica sul banco della presidenza per stringere la mano a Boldrini e Grasso e rubare la scena a tutti i presenti. Qualcuno dice che Anna Finocchiaro non ha perso le speranze: «Guardatela, è vestita di bianco. Come Pertini alla vigilia della sua elezione». Velina Rossa mette in giro che, caduto Marini, il candidato sarà Mario Draghi. La ricerca del Mister X - il governatore Ignazio Visco? - appassiona i più. Ma non i grillini. Che escono sulla piazza, in mezzo a democrat e 5 Stelle che gridano insieme: «Ro-do-tà!», e cercano di attizzare la rabbia. Poi si rivota. E spuntano altri nomi strani: dalla pornostar Rocco Siffredi a Giovanni Trapattoni, da Roberto Mancini a Gianni Rivera, da Fiorello a Michele Cucuzza, a Sophia Loren. C’è anche chi scrive Andreotti. Il quale i presidenti della Repubblica li ha votati tutti ma stavolta si è evitato lo spettacolo. Beato lui.