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 2013  aprile 18 Giovedì calendario

Notizie tratte da: Massimo Teodori, Vaticano rapace. Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla Chiesa, i Grilli-Marsilio Venezia 2013, 13 euro

Notizie tratte da: Massimo Teodori, Vaticano rapace. Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla Chiesa, i Grilli-Marsilio Venezia 2013, 13 euro.

(vedi anche biblioteca in scheda 2234659
e libro in gocce in scheda 2239390)

«In Vaticano rapace sostengo la tesi che la separazione tra Stato e Chiesa, pilastro delle democrazie liberali, è in Italia ogni giorno più esile a causa dell’intreccio perverso tra religione, politica e affari nato con il Concordato del 1929 e sviluppatosi nei sessant’anni di Repubblica con gli ingenti benefici materiali sborsati dall’Italia e incassati dalla Santa Sede» (Massimo Teodori).

Il patrimonio originario che ha reso il Vaticano lo Stato più ricco del mondo ebbe inizio con la Conciliazione del 1929, quando il papa pretese da Mussolini una Convenzione finanziaria con il versamento di 1,5 miliardi di lire.

Secondo il Guardian, il portfolio dell’impero immobiliare inglese della Chiesa, del valore di 500 milioni di sterline (650 milioni di euro circa), è detenuto dalla segretissima società vaticana British Grolux Investment Ltd., posseduta dalla Profima, legata ai paradisi fiscali off-shore e connessa con un conto Ior presso la JPMorgan Chase Bank NA di New York.

«La Chiesa cattolica in Italia somiglia a uno strano animale “ermafrodito” dalla doppia faccia, l’una chiaramente spirituale e l’altra decisamente materiale. […] La parte mondana della Chiesa ermafrodita trova la massima espressione nello speciale rapporto concordatario con l’Italia che incrina la separazione tra Stato e Chiesa» (Massimo Teodori).

Quando venne costituito il Regno d’Italia nel 1861, perfezionato nel 1870 con l’ingresso dei bersaglieri nella Roma dei papi, la Santa Sede non rinunciò volontariamente al potere temporale: solo un secolo dopo Paolo VI riconobbe che Porta Pia era stata una «benedizione» per la Chiesa.

L’enciclica Quanta cura del 1864, che conteneva un documento, il Sillabo, che teorizzava l’integralismo politico e civile della Chiesa tradizionalista e prendeva le distanze dalla moderna civiltà del liberalismo, della democrazia e del socialismo.

Con il Concordato del 1929 stipulato da Pio XI, la Chiesa si proponeva di recuperare il privilegi che aveva avuto nella penisola, in particolare nei territori pontifici dell’Italia centrale, prima che il Regno d’Italia la riconducesse al diritto comune.

«Con il prelievo forzato dell’otto per mille sul reddito Irpef di tutti i contribuenti, i due terzi circa degli italiani sono vittime di un’estorsione fiscale a favore della Chiesa. […] Se fosse rispettata la volontà degli italiani, la Chiesa cattolica non incasserebbe ogni anno 1,2 miliardi di euro come accade oggi, ma solo 400-450 milioni di euro, mentre i residui 750-800 milioni resterebbero nelle casse dello Stato» (Massimo Teodori).

Il segnale che gli italiani avevano mutato l’atteggiamento nei confronti della Chiesa apparve evidente nel 1974 con il voto sul divorzio.

Secondo un’indagine del Centro internazionale studi famiglia legato alla Conferenza episcopale italiana, alla fine del 2012 il 27% dei fidanzati frequentatori dei corsi di preparazione al matrimonio vivono già una relazione di convivenza: sono conviventi il 41,6% dei non praticanti, il 29,4% dei praticanti saltuari, il 18,8% dei praticanti regolari, il 13,4% dei praticanti attivi e impegnati.

Segnali di una trasformazione antropologica: i neonati non vengono battezzati in massa; il numero dei matrimoni civili si avvicina a quello dei matrimoni religiosi; aumentano i divorzi e le separazioni; i figli nati fuori dai matrimoni hanno raggiunto nel 2011 il 26,6% del totale delle nascite; le coppie di fatto, etero e omosessuali, si diffondono a macchia d’olio; il rapporti sessuali liberi sono entrati a far parte di un diffuso stile di vita degli italiani.

La ricerca Credenza in Dio per appartenenza religiosa di Franco Garelli indica che nel 2007 il 45,9% del campione rappresentativo degli italiani crede in Dio senza dubbi, il 36,8% con dubbi, il 17,3% non crede in Dio. Il 64% dell’intera popolazione dichiara di avere fiducia nella Chiesa, con un’accentuazione nel Mezzogiorno, tra le donne e le persone più anziane. Il 51,9% degli italiani ritiene che «la Chiesa è l’unica autorità spirituale e morale degna di rispetto», il 63,8% dichiara che «la Chiesa predica bene, ma non mette in pratica ciò che afferma». Per il 45,2% degli italiani «non c’è bisogno della Chiesa e dei preti: ognuno può intendersela da solo con Dio», per il 65% «oggi in Italia la Chiesa e le organizzazioni religiose hanno troppo potere», per il 73% «si può essere buoni cattolici anche senza seguire le indicazioni della Chiesa nel campo morale».

Secondo l’Eurispes, nel 2009 il 38,8% degli italiani aveva fiducia nella Chiesa.

Nel luglio del 2010 l’Ispo di Renato Mannheimer indicava che il consenso alla Chiesa cattolica era sceso al 56,9%, più basso di quello alla polizia, ai carabinieri, alle forze armate e al presidente della Repubblica.

Nel 2011 la Demos & Pi di Ilvo Diamanti indicava che il 47,2% degli italiani si fida della Chiesa, con un declino del 10% nell’ultimo decennio.

Un rapporto sulla secolarizzazione curato dalla Cgil e dalla fondazione Critica liberale relativo alle tendenze dal 1991 al 2008 indica che nell’arco di diciassette anni la percentuale dei battezzati sul totale dei nati vivi è scesa dal 91,55 al 76,39%; che i divorzi sono aumentati dal 23,01 al 54,35%; i credenti sono diminuiti del 10,5%, quelli che dichiarano di non avere mai creduto sono aumentati del 3,5%, gli atei del 3,2%.

Secondo i dati del censimento 2011 dell’Istat, al Nord si registra per la prima volta il sorpasso dei matrimoni civili su quelli religiosi. Su 208.702 matrimoni celebrati nel 2011, quelli con rito civile in tutta Italia sono stati il 39,8% contro il 60,2% con rito religioso, con differenze per aree regionali: al nord i matrimoni civili sono stati il 51,2%, al Centro il 49,9%, al Sud il 23,7%.

Nel 2011 i bambini concepiti con metodiche «artificiali» sono passati dai 10.819 del 2010 ai 12.506 dell’anno dopo.

L’11 febbraio del 1929 Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri, in rappresentanza di papa Pio XI, stipularono i Patti Lateranensi consistenti di due documenti: il Concordato, riguardante la posizione della Chiesa in Italia, e il Trattato con relativa Convenzione finanziaria che riconosceva l’esistenza dello Stato della Città del Vaticano e impegnava lo Stato italiano a garantire il libero esercizio della sovranità vaticana.

Quando il Senato fu chiamato a ratificare i Patti Lateranensi soltanto un gruppo di liberali che avevano abbandonato Palazzo Madama dal giorno del delitto Matteotti, Francesco Ruffini, Luigi Albertini, Emanuele Paternò di Sessa, Tito Sinibaldi e Alberto Bergamini, tornò a opporsi in aula.

Nel 1946 i Patti Lateranensi furono inseriti nella nuova Carta. La votazione finale fu di 350 sì e 149 no.

Nel 1984, il presidente socialista Bettino Craxi stipulò un altro accordo con la Santa Sede per un nuovo Concordato che fu firmato dal Segretario di Stato vaticano cardinale Agostino Casaroli per conto di Giovanni Paolo II.

L’otto per mille, introdotto dalla legge 20 maggio 1985 n. 222.

«L’otto per mille, che doveva essere un finanziamento volontario alle Chiese, si è trasformato in un contributo obbligatorio di tutti gli italiani che ogni anno sono forzati a versare oltre un miliardo di euro alla Conferenza episcopale italiana» (Massimo Teodori).

Nel 1867 il Regno d’Italia privò della personalità morale le istituzioni religiose che non riconoscevano l’unità nazionale e incamerò i beni che la proprietà ecclesiastica aveva accumulato nei secoli.

Dopo la liberazione di Roma, il Parlamento italiano approvò nel 1871 la legge delle Guarentigie che prevedeva il versamento al pontefice di una dotazione finanziaria di 3 milioni e 225 mila lire l’anno, offerta rifiutata da Pio X per non riconoscere il nuovo Stato italiano.

Al momento della firma dei Patti Lateranensi con lo Stato, la Chiesa presentò al fascismo un pacchetto di richieste monetarie in cambio del sostegno al regime. Il Vaticano voleva che gli fossero riconosciuti sessant’anni di interessi arretrati a decorrere dal 1871 per un importo complessivo di 3 miliardi 160 milioni 501 mila 112,76 lire. Mussolini si accordò per versare 750 milioni in contanti e un miliardi di lire in consolidato 5% al portatore.

Con l’otto per mille, «quella che doveva essere “una scelta volontaria” per la Chiesa d’appartenenza è diventata un vero e proprio finanziamento pubblico delle confessioni, di cui in pratica usufruiscono per nove decimi i vescovi cattolici» (Massimo Teodori).

Negli ultimi vent’anni hanno goduto dei finanziamenti, anche se in misura modesta: l’Unione delle chiese metodiste e valdesi, la Chiesa evangelica luterana, l’Unione delle chiese avventiste del settimo giorno, l’Assemblea di Dio, la Chiesa di Gesù Cristo dei santi del settimo giorno, gli ortodossi del Patriarcato di Costantinopoli, i pentecostali della Chiesa apostolica d’Italia. Alla fine del 2012 è stata stipulata un’intesa con l’Unione buddista italiana e l’Unione induista che rappresenta circa 135.000 fedeli in Italia.

Gli italiani che negli ultimi anni hanno deciso di finanziare la Chiesa cattolica sono stati in media il 35% del totale dei contribuenti.

Nel 2000 il 34,56% ha firmato per la Chiesa cattolica, il 4,07% per lo Stato e meno dell’1% per ciascuna delle altre confessioni. Il 60,4% dei contribuenti non ha espresso alcuna scelta.

Nel 2011, il 44% dei contribuenti ha destinato l’otto per mille alle diverse confessioni e allo Stato, il 56% non ha espresso alcuna scelta (dati Cei).

Nel 2010 le Chiese metodiste e valdesi hanno riscosso 10 milioni 248 mila euro, la Chiesa evangelica luterana 2 milioni 873 mila euro, le Chiese cristiane avventiste del settimo giorno 2 milioni 167 mila euro. I vescovi italiani: 1067 milioni di euro; nel 2011 un miliardo 118 milioni di euro.

Dei 1.118 milioni percepiti dalla Cei nel 2011: 361 milioni sono stati utilizzati per il clero; 467 milioni sono stati destinati a «esigenze di culto e pastorali»; 105 milioni alle diocesi per «la carità»; 85 milioni al terzo mondo; 55 milioni sono stati accantonati «a futura destinazione», 45 milioni per «esigenze di rilievo nazionale».

Il Gruppo religiosi ed ecclesiastici ha stimato che il patrimonio immobiliare legato alla Santa Sede rappresenta il 20-22% del totale italiano per un valore complessivo di 120 miliardi di euro circa. La cifra si riferisce ai circa 100 mila immobili della Chiesa che comprendono 8.779 scuole, 4.712 centri sanitari, 50 mila strutture ecclesiastiche di vario tipo tra cui 36 mila parrocchie.

Secondo l’Associazione nazionale comuni italiani, il mancato gettito Ici delle strutture ecclesiastiche senza diritto all’esenzione è di circa 500 milioni di euro l’anno che, rivalutato con l’Imu, arriva a 800 milioni-un miliardo di euro, a cui va aggiunta l’area sommersa non stimabile.

Secondo alcune stime, un quinto della città di Roma appartiene alla Santa Sede: 90 istituti religiosi, 65 case di cura, centinaia di scuole, 400 istituti di suore, 300 parrocchie, 200 chiese non parrocchiali, 200 case generalizie (con strutture per ospitare i turisti), 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 20 case di riposo, 18 istituti di ricovero, 16 conventi, 13 oratori, 10 confraternite e 6 ospizi.

Il centro del patrimonio immobiliare romano della Chiesa è Propaganda Fide, la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli di diretta emanazione della Curia vaticana istituita da papa Gregorio XV nel 1622, gestita dal 2001 dal cardinale Crescenzio Sepe, dal 2006 arcivescovo di Napoli. Secondo Franco Bechis, l’istituto religioso possiede a Roma 725 fabbricati con circa duemila uffici e appartamenti per un valore catastale di 5.666 milioni di euro e un valore commerciale di 9 miliardi di euro.

Il Vaticano e la Chiesa si articolano in molteplici enti, ognuno con il suo bilancio: l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), il Governatorato, l’Obolo di San Pietro, l’Istituto opere di religione (Ior), l’otto per mille (donato dallo Stato italiano), la Conferenza episcopale italiana (Cei), gli Istituti diocesani e interdiocesani per il sostentamento del clero, le Congregazioni e gli Ordini religiosi dotati di indipendenza economica.

Nel dicembre del 1996 il Parlamento stanziava 3.500 miliardi di lire più 350 miliardi per la macchina della spesa del Giubileo affidata al sindaco di Roma e commissario speciale per il Giubileo Francesco Rutelli, al responsabile della Protezione civile Guido Bertolaso e al cardinale Crescenzio Sepe.

Lo Ior, l’Istituto opere di religione, fondato con personalità giuridica propria il 27 giugno 1942 da Pio XII in sostituzione della Commissione per la Causa Pia voluta da Leone XIII nel 1887.

«Lo Ior, con statuto vaticano inviolabile dalla giurisdizione italiana, ha una doppia faccia per cui da una parte ostacola la normale vigilanza a cui sono sottoposti gli istituti finanziari del mondo civile e, dall’altra, funziona come sportello bancario extracomunitario, facilmente accessibile al centro di Roma. […] L’Istituto, grazie alla particolare collocazione a Roma, è divenuto un eccellente canale per gli affari sporchi, dal riciclaggio alle tangenti, dall’evasione fiscale alle più spericolate speculazioni finanziarie» (Massimo Teodori).

In teoria, possono aprire depositi allo Ior solo i cardinali e i vescovi, i sacerdoti e i religiosi, le congregazioni e gli enti ecclesiastici, i dipendenti e i pensionati della Città del Vaticano, i diplomatici presso la Santa Sede e i «gentiluomini di sua Santità».

Attualmente nella banca si contano circa 44.000 depositi: 216 di cardinali, 1.660 di vescovi, 2.000 di diplomatici, 1.600 di nunzi, 2.700 di ordini e congregazioni, 1.610 di suore, 5.000 circa di dipendenti della Santa Sede e di altre decine di migliaia di sacerdoti.

A sovrintendere alla finanze vaticane c’è una «Commissione cardinalizia» composta da: il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, Attilio Nicora (Italia), Pedro Scherer (Brasile), Jean-Louis Tauran (Francia) e Placidus Toppo (India), oltre a un Consiglio di sorveglianza detto board.

Nel 1968 il Vaticano decise di trasferire all’estero i titoli italiani in mano alla Santa Sede. Del trasferimento fu incaricato Michele Sindona, il quale divenne il finanziere di fiducia della Santa Sede insieme al gentiluomo di Sua Santità Umberto Ortolani, braccio destro della P2 di Licio Gelli. Nell’agosto del 1971, il pontefice nominò presidente dello Ior monsignor Paul Casimir Marcinkus che avviò uno stretto rapporto con il Banco ambrosiano di Roberto Calvi.

La «lista dei 500» esportatori di valuta che, al momento della bancarotta di Sindona, recuperarono i loro capitali attraverso lo Ior eludendo il blocco dei rimborsi decretato dalla Banca d’Italia. Quando Sindona fu arrestato negli Stati Uniti per il fallimento delle sue banche e poi processato in Italia come mandante dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, il principe Spada, esponente della Santa Sede e gentiluomo di Sua Santità, affermò che in Vaticano non si conoscevano le attività criminali di Sindona.

«Per aggirare il regolamento che limita ai soli religiosi la possibilità di aprire depositi allo Ior, alcuni sacerdoti e monsignori sono soliti proporsi come prestanome di faccendieri, spregiudicati commercialisti e criminali di ogni risma che in tal modo hanno la possibilità di affidare alla santa banca il loro denaro nero lasciando un’offerta per le opere di religione» (Massimo Teodori).

Dall’11 settembre del 2001, le banche di tutto il mondo per poter operare alla luce del sole devono essere accettate nella cosiddetta White List internazionale, nell’elenco degli istituti la cui trasparenza sia controllabile da autorità indipendenti.

Il recente blocco ordinato dalla Banca d’Italia di tutti i pagamenti elettronici effettuati con Pos e carte di credito nello Stato della Città del Vaticano.

Nel dicembre 2010 Benedetto XVI ha istituito un organo di controllo interno alla Santa Sede, l’Autorità di informazione finanziaria affidata al cardinale Attilio Nicora, e ha promulgato la Legge CXXVII dello Stato della Città del Vaticano quale normativa antiriciclaggio per gli enti ecclesiastici, compreso lo Ior.

I «gentiluomini di Sua Santità», istituiti nel 1968 da Paolo VI in sostituzione dei «Camerieri segreti di Spada e Cappa». Durante i servizi ai quali sono chiamati indossano il frac e il collare d’oro. Durante le Celebrazioni liturgiche pontificie accolgono i personaggi di riguardo e i membri del Corpo diplomatico, accompagnandoli ai posto loro riservati.

La dignità di gentiluomini è conferita con «Biglietto della Segreteria di Stato a persone che si distinguono per il prestigio personale e che hanno acquisito particolari benemerenze verso la Santa Sede».

Nell’elenco dei 114 gentiluomini italiani, su un totale di 147, sono stati depennati dopo essere stati colpiti dalla giustizia italiana Umberto Ortolani e Angelo Balducci.

Gianni Letta, il solo politico italiano che può fregiarsi del titolo di gentiluomo di Sua Santità, ricevuto nel 2007 per la tutela degli interessi della Santa Sede presso il nostro Stato.

Il professor Lorenzo Ornaghi, presidente dell’Autorithy sul volontariato e rettore dell’Università cattolica di Milano, prima di accettare l’incarico ministeriale ha chiesto udienza al segretario particolare di Benedetto XVI, padre Georg Gänswein, per conoscere cosa il pontefice pensasse del nuovo governo.

Per tutto il 2012 fino a Natale, i vertici della Chiesa hanno messo in atto un’azione di sostegno alla coppia Riccardi-Bonanni, decisiva nel sospingere il presidente del Consiglio Mario Monti a candidarsi alle elezioni.