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 2013  aprile 18 Giovedì calendario

ROMA —

Nel Transatlantico di Montecitorio Stefano Fassina confida a un’amica: «Dopo Marini, c’è D’Alema». Non è esattamente un buon viatico per l’ex presidente del Senato. Ma il responsabile economico del Pd, uomo pratico e intuitivo, si rende conto che l’elezione del candidato democratico al Quirinale non è affatto scontata. E infatti la proposta di Pier Luigi Bersani spacca il Partito democratico e l’alleanza con Sel.
Il primo a uscire allo scoperto è Matteo Renzi: «Questo è uno schiaffo agli elettori e un dispetto al Paese. Meglio Bonino, Prodi, Amato e Rodotà di Marini. La verità è che Bersani ha come primo interesse quello di sistemarsi a palazzo Chigi e fa tutto in questa funzione». Quel che il sindaco di Firenze non sa è che a spingere Bersani ad appoggiare la candidatura di Marini c’è anche un’altra ragione. Il segretario l’ha spiegata così ad alcuni fedelissimi: «Se non candidiamo lui, il malcontento degli ex ppi dilaga, così Renzi lancia un’Opa su Franceschini e i suoi per prendersi il partito». Ecco, allora un altro motivo che ha convinto Bersani a sfidare la sorte e a dividere il partito su questa candidatura. Sì perché come dice Marianna Madia «non saranno solo i renziani a non votare Marini».
Quando Bersani di fronte all’assemblea dei parlamentari del partito fa il nome di Marini scende il silenzio. Poi tutti si esprimono. Chi intervenendo nella riunione, chi lanciando twitter in rete. Laura Puppato preferisce Rodotà e lo dice chiaramente. Ignazio Marino sostiene che l’ex presidente del Senato «non rappresenta l’Italia di oggi e di domani». La vice presidente del Senato Valeria Fedeli ha deciso di uscire dall’aula al momento del voto. L’area dalemiana dei "giovani turchi" rumoreggia e sbuffa. Matteo Orfini cerca di tenere insieme la corrente e Bersani e propone: «Sono contrario alla candidatura di Marini perché divide il Pd e la coalizione. Votiamo domani, non decidiamo stasera, vediamo se è possibile raggiungere l’unità». Sandra Zampa annuncia il suo no: «Non voterò mai Marini: è il responsabile della caduta del governo Prodi». Il pugliese Michele Bordo commenta con un compagno di partito: «Se proprio dobbiamo fare un accordo con Berlusconi, almeno facciamolo per uno come D’Alema». Bindi scandisce il suo no a Marini, perché sente odore di larghe intese.
Dal Friuli Debora Serracchiani fa sapere che Marini «è la scelta peggiore». E dalla Sicilia Crocetta sconfessa la scelta romana. A sorpresa anche una franceschiniana come Pina Picierno dice: «Sommessamente dico che non possiamo eleggere un presidente con Berlusconi e Maroni senza Renzi e Vendola». Insomma, è il delirio. E’ la rivolta contro la proposta del segretario. L’assemblea si allarga anche a Sel, che ha avuto prima una riunione in proprio. Tra Franceschini, che sostiene Marini, e Vendola volano gli insulti. Per il governatore della Puglia «Marini sarebbe la fine del centrosinistra». Per questo oggi Sel deciderà se votare Rodotà dal primo scrutinio.
Fuori del Capranica grillini e girotondini chiedono ai parlamentari del Partito democratico un atto di coraggio: «Votate Rodotà», urlano. I deputati e i senatori del Pd, asserragliati dentro il teatro si scontrano e si confrontano. Il segretario vuole il voto per sfidare i suoi parlamentari a esprimersi contro la sua proposta. I renziani lo accettano ma chiedono lo scrutinio segreto. Orfini propone una sospensiva. I veltroniani con Andrea Martella chiedono anche loro tempo per «trovare un candidato più unitario». Il segretario ottiene il voto e vince: 222 sì, 90 no, 21 astenuti, una settantina di parlamentari è già via. I parlamentari del Pd escono e vengono investiti dalle urla di una piccola folla lì davanti: «Vergogna, traditori, non vi votiamo più».
Massimo D’Alema, ovviamente, non è lì. C’è chi sostiene che sia stato il segretario del Pd a togliere l’ex premier dalla rosa. Ma c’è invece chi racconta che D’Alema, nel corso della giornata, abbia detto lui a Bersani di mandare in campo Marini e lasciar perdere la sua candidatura: «Lui ha meno franchi tiratori». Generosità o tattica in attesa della quarta votazione, quella in cui non c’è più bisogno della maggioranza qualificata?
Maria Teresa Meli