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 2013  aprile 04 Giovedì calendario

SPAGNA, L’INFANTA ACCUSATA DI CORRUZIONE MONARCHIA A RISCHIO

-Dice il giudice José Castro che “la legge è uguale per tutti”. L’ha messo per iscritto, il coraggioso magistrato di Palma di Maiorca, nelle diciannove pagine in cui spiega i motivi per cui ha deciso di chiamare a deporre il prossimo 27 aprile, in qualità di imputata per corruzione, l’infanta Cristina di Borbone, figlia secondogenita di re Juan Carlos. E potrebbe apparire un’affermazione scontata e persino banale, per un tutore della legge, se non fosse che si tratta proprio della stessa frase pronunciata con tono solenne dal sovrano nel discorso di Natale del 2011, pochi giorni dopo l’esplosione dello scandalo Nóos, che ha travolto il genero Iñaki Urdangarin aprendo una falla forse insanabile nella credibilità della Corona. Contro il parere del pubblico ministero Pedro Horrach (che ha già annunciato ricorso), Castro ha stabilito di non poter chiudere l’istruttoria sul caso senza valutare fino in fondo la posizione di Cristina, da oltre dieci anni socio in affari del marito, sia come componente del consiglio direttivo dell’Instituto Nóos, organizzazione in teoria “senza scopo di lucro” che ottenne contratti per sei milioni di euro (per lavori e consulenze spesso mai realizzati) dai governi regionali delle Baleari e della Comunità Valenciana, entrambi in mano al Partito popolare, sia come comproprietaria al 50 per cento della società Aizoon, nelle cui casse veniva deviata una parte dei fondi ottenuti dalle amministrazioni pubbliche.
Nel tentativo di scagionare la moglie, Urdangarin (da oltre un anno escluso da tutte le attività ufficiali della monarchia e, di recente, rimosso anche dalla pagina web della Casa Reale) ha sempre sostenuto che l’infanta non sia mai stata coinvolta nell’attività decisionale ai vertici della finta ong di cui lui era presidente fino al 2006, quando fu indotto ad abbandonare la carica in seguito alle pressioni del re.
UNA TESI fragile sin dall’inizio, e che è apparsa insostenibile con l’emergere di nuovi particolari sul caso. Secondo il giudice, “sorgono una serie di indizi che inducono a dubitare” del fatto che la figlia del re ignorasse che il marito la utilizzava come componente della giunta direttiva per “accreditare presso imprese private e istituzioni pubbliche” che tutte le operazioni svolte dall’Istituto Nóos “erano conosciute e godevano del sostegno della Casa di Sua Maestà il Re”. Il principale socio in affari di Urdangarin, Diego Torres, da mesi ha avviato una strategia difensiva che punta a coinvolgere in pieno la monarchia nello scandalo: dalle centinaia di messaggi e-mail trasmessi al tribunale (molte le conservazioni private del duca di Palma, anche con l’infanta) risulta chiaro che la figlia di Juan Carlos non poteva essere all’oscuro degli affari nei quali era coinvolto il marito, insieme al quale – tra l’altro – pochi anni fa ha acquistato un lussuosissimo palazzetto nella zona più esclusiva di Barcellona al prezzo di sei milioni di euro.
Invano, Urdangarin ha provato a far dichiarare la nullità processuale di quelle mail. E ora Torres (che, come il genero del re, rischia una condanna ad almeno dieci anni di reclusione per malversazione, prevaricazione, frode fiscale e falso) annuncia nuove rivelazioni clamorose: altri messaggi , pare che siano 170, che a suo dire sono altrettante “bombe atomiche”. A seconda di quale sia il loro contenuto, potrebbero traballare le fondamenta della monarchia. La Casa Reale, per il momento, si limita a un laconico “non commentiamo le decisioni della magistratura”.