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 2013  aprile 04 Giovedì calendario

BOLDRINI: «I CITTADINI DOVRANNO INNAMORARSI DELLE ISTITUZIONI»

«I cittadini devono potersi innamorare delle istituzioni e le istituzioni devono rendersi amabili». Forse è un linguaggio femminile ma questo è il linguaggio con cui il nuovo presidente della Camera, Laura Boldrini (nella foto), intende accompagnare il cambiamento in uno dei momenti più difficili della vita politico-istituzionale del Paese. Donatella Stasio
Nel suo studio a Montecitorio, la neopresidente ragiona con Il Sole 24 Ore sulla crisi economica e istituzionale, sul ruolo dell’Europa, e sulla necessità di affrontare al più presto altre emergenze nazionali come il carcere e la violenza sulle donne. «Il vero cambiamento ci sarà – dice – quando le donne saranno messe al centro della società. Quella sarà la vera rivoluzione culturale». Presidente, il Paese è bloccato, nell’economia, nella politica, nelle istituzioni. È la realtà o la rappresentazione della realtà? È indubbio che siamo in una fase di crisi. Detto questo, però, sto portando avanti il mio impegno alla Camera ad un ritmo sostenuto: in 18 giorni abbiamo fatto cinque riunioni di capigruppo, quattro dell’Ufficio di presidenza e sette sedute d’aula. Vista la situazione economica ho pensato che non potessimo essere impermeabili ai bisogni dell’economia reale e perciò è nata la commissione speciale con il compito di valutare la relazione del Governo in vista dello sblocco, quanto prima, di 40 miliardi di debiti della pubblica amministrazione, ossigeno per le imprese che si sono trovate in gravissime difficoltà. All’anomalia di un Governo in carica, «dimissionario ma non sfiduciato dal Parlamento», si aggiunge però quella di un Parlamento zoppo, in cui non si riescono a costituire le commissioni permanenti e che quindi può lavorare solo su alcuni temi. Si potrebbe andare avanti così per due-tre mesi e la commissione speciale rischia l’intasamento con i provvedimenti in arrivo dal Governo. Come se ne esce? Non sta a me indicare la strada. Ho sollecitato i gruppi a mandarmi i nomi dei deputati proprio per costituire le commissioni permanenti. Quanto alla commissione speciale, deciderà di volta in volta se lavorare su provvedimenti del Governo, non automaticamente ma, appunto, valutandone l’urgenza. Quindi non credo ci sia il rischio di un intasamento. Questo si è deciso nella Conferenza dei capigruppo. Il nodo delle commissioni permanenti non è stato sciolto perché ci sono due linee di pensiero: Sel e M5S ritengono che possano costituirsi anche prima della nascita del nuovo Governo mentre Pd, Pdl e Scelta civica sostengono che non si possa prescindere dal rapporto maggioranza/opposizione. Il presidente deve rimettersi alla volontà dei gruppi. Al di là delle priorità economiche e istituzionali ci sono anche altri temi prioritari. Per esempio il carcere e la violenza sulle donne. Il Parlamento può/deve mettersi subito al lavoro su queste emergenze nazionali? Non v’è dubbio che si tratti di priorità. La condizione delle carceri dovrebbe essere il biglietto da visita del livello di civiltà di un Paese ma nel nostro caso è stata definita dalla Corte dei diritti dell’uomo «disumana e degradante». La riforma non è più rinviabile sia per rispetto della dignità delle persone che per il livello di sicurezza della società. Anche la violenza sulle donne è un tema centrale e improcrastinabile. Già sono state presentate sei proposte di legge. Voglio ricordare che la maggior parte degli omicidi sono commessi da persone che dovrebbero amare le donne che uccidono: mariti, fidanzati, compagni, amanti. E poi ci sono le tante donne che subiscono in silenzio. Il ragionamento, però, è più complesso. In che senso? Bisogna aiutare le donne a uscire dalla condizione di subire la violenza in silenzio e per farlo bisogna potenziare case-famiglia e centri di ascolto, che oggi invece scontano grossi tagli per mancanza di fondi. È essenziale rivedere gli stanziamenti. Ma è altrettanto importante rilanciare l’occupazione femminile sia perché una donna che ha un proprio reddito è più libera sia perché, più in generale, la percentuale delle donne che lavorano o che sono in cerca di lavoro è appena del 54%, la più bassa d’Europa. E quel che colpisce è che quando le donne lavorano, la produzione aumenta. Quindi il problema è culturale. Secondo la Banca d’Italia quanto maggiore è nella Pubblica amministrazione la presenza femminile, tanto minore è il tasso di corruzione. Appunto. Il vero cambiamento ci sarà quando le donne saranno messe al centro della società: quella sarà la vera rivoluzione culturale. Perché allora il Parlamento non accende subito un faro anche su queste priorità? Dipende molto dalla sensibilità dei partiti. A titolo personale, però, dico che meritano un’attenzione prioritaria. Nel suo discorso di insediamento lei ha posto l’accento, tra l’altro, sulla politica come servizio. Che è poi quanto ha detto anche papa Francesco: il potere è servizio. Un concetto elementare eppure trascurato. Si può recuperare? Si può e si deve. Se vogliamo che i giovani guardino alla politica con altri occhi, la politica deve essere lo strumento per farsi carico dell’interesse comune. E, in nome di questo, deve cercare la sintesi anche tra interessi contrapposti. Sintesi non deve necessariamente essere considerata sinonimo di inciucio ma espressione del l’esercizio del potere. Oggi (ieri, ndr) Barbara Spinelli su Repubblica auspica che il Governo Monti agisca «non d’intesa con le istituzioni europee e con l’essenziale contributo del nuovo Parlamento» ma piuttosto «previa intesa con il nuovo Parlamento e con il contributo di un’Europa da rifondare». Condivide questa impostazione e la ritiene praticabile? Oggi le politiche nazionali non bastano più a stabilire le sorti di un Paese, come abbiamo visto con la crisi finanziaria degli Stati Uniti. Oggi molte decisioni che in Italia hanno un peso nella vita delle persone vengono prese in Europa, e altre anche oltre i confini europei, com’è il caso della crisi finanziaria o del cambiamento climatico. Quindi è importante che uno Stato sia autorevole per influenzare le grandi decisioni; quindi, per contare in Europa e nel mondo, dobbiamo essere autorevoli. Detto questo, va fatto un ragionamento sul ruolo dell’Europa, che non può esaurirsi nello spread o nel pareggio di bilancio perché l’Europa è molto di più. È riduttivo che questo grande sogno si riduca a materia contabile. Quello dei padri fondatori dell’Europa, tra cui Altiero Spinelli, era un disegno politico diverso che va recuperato, perché l’Europa ha rappresentato per decenni un faro per la tutela dei diritti, a cui tutti si ispiravano. L’Europa deve recuperare questo terreno e la sua centralità, che si è perduta rispetto alle questioni economiche. Oggi in Europa ci sono Paesi, come l’Ungheria, in cui vengono rimessi in discussione principi democratici e politici eppure tutta l’attenzione è focalizzata sui temi economici. Negli ultimi 20 anni in Italia c’è stata una progressiva disaffezione rispetto alle istituzioni e alla politica. Non crede che oggi il primo dovere di chi ricopre incarichi istituzionali sia quello di "rifondare" un sentimento e una cultura istituzionali e costituzionali? Lo credo fortemente. In questi anni è aumentata la disaffezione perché la politica non ha dato il meglio di sé. Non tutta la politica, ma ci sono state numerose situazioni di corruzione, di uso improprio di denaro pubblico, di scandali. C’è dunque un grande bisogno di riconciliare le istituzioni con l’opinione pubblica e perciò chi le rappresenta deve essere un riferimento speciale. Per i giovani, soprattutto. I cittadini devono potersi innamorare delle istituzioni e le istituzioni devono rendersi amabili. Nel libro «Lettere dei condannati a morte della Resistenza» è fotografata un’Italia contadina, operaia, intellettuale, sobria, legata a valori forti per i quali ha rischiato la libertà e la vita. L’Italia di oggi è molto diversa da quelle voci, è quasi muta. Che cosa è successo? C’è una parte dell’Italia che non si vede, la parte migliore che però viene ignorata dai media, non fa notizia. I media sono affascinati da modello negativo e basta. Questa larga parte del Paese è muta perché nessuno vuole ascoltarla, non perché non abbia nulla da dire. La democrazia è un regime inclusivo, è difesa degli esclusi che, quindi, dovrebbero essere particolarmente legati alla democrazia. Gustavo Zagrebelsky osserva però che uno dei paradossi del nostro tempo è il disincanto democratico delle masse. Lei come lo spiega? Credo sia il risultato di anni in cui la politica non ha dato il meglio di sé. Alla corruzione si è accompagnato il peggioramento delle condizioni economiche. Ciò ha provocato rabbia, indignazione, disincanto. Io stessa ho accettato di candidarmi per cercare di mettere a disposizione le mie competenze per migliorare le cose, eppure quando ho accettato c’è chi mi ha dato della traditrice, per esempio rispetto alla battaglia sui diritti dei migranti, come se avessi tradito la causa. C’è quindi un grosso lavoro da fare. Il populismo fa male alla democrazia ma i partiti devono recepire il bisogno di cambiamento. Non sempre "donna è meglio", però mi lasci dire che vederla presiedere la Camera è motivo di orgoglio per molte donne. Lei non viene dalla politica professionale ma fin dal suo insediamento ha dimostrato che cultura, stile e capacità istituzionali possono prescindere da un curriculum specifico. Non bisogna essere ideologici e perciò anche le donne vanno valutate in base a esperienza, capacità, valori. Io non ho esperienza politica, non sono mai stata iscritta a nessun partito però per 24 anni ho lavorato in varie istituzioni delle Nazioni Unite, quindi ho chiaro il concetto delle istituzioni. Essere eletta è stata una sorpresa ma forse anche questo è segno di un cambiamento, anche nei criteri di selezione e delle considerazioni che vengono fatte. Io so che svolgerò questo ruolo con il massimo dell’impegno e cercherò di viverlo con grande onore, senso di responsabilità e senza risparmiarmi.