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 2013  aprile 04 Giovedì calendario

QUANTI NEMICI PER LA PROPRIETA’

Il sapere specialistico generato dalle scienze umane dà il suo meglio nell’interpretazione di situazioni specifiche solo se viene integrato con conoscenze delle peculiarità storiche e culturali di ciascun contesto. Altrimenti, diventa scolasticismo. È questo un peccato da cui non sono esenti, a mio avviso, le critiche di un autorevole economista, Franco Bruni («La Stampa», 26 marzo), alle tesi contenute in un mio editoriale («Corriere della Sera», 25 marzo). Il tema è importante e perciò ci torno sopra.
Uno dei più acuti problemi della democrazia italiana è dato dalla fragilità culturale e politica della destra. Nell’editoriale citato ho sostenuto che, per le condizioni del contesto, il successore di Silvio Berlusconi potrebbe rinnovarne l’identità solo dando nuovi contenuti a temi classici della tradizione liberale. Come l’individualismo, l’enfasi sulla proprietà privata quale diritto fondamentale, il mercato come fondamento di una società decente. Questa tesi è criticabile come qualunque altra, ma gli argomenti scelti da Bruni mi sembrano assai deboli. Lasciamo da parte la questione, assai complessa, dell’individualismo (che nella tradizione liberale non è un semplice sinonimo di self-interest; mette in gioco l’autonomia morale dei singoli e la responsabilità individuale). Restiamo ai temi della proprietà privata e del mercato, su cui Bruni, da economista, dispone di competenza specialistica. Le sue critiche non tengono conto della specificità italiana. Bruni dice che la proprietà privata è ormai un diritto fondamentale anche in Russia e in Cina, non può più essere una bandiera qualificante. Ma io non avevo usato a caso le parole. Sostenendo che una destra liberale dovrebbe rivendicare la proprietà privata come diritto fondamentale, mi riferivo al fatto che in Italia essa non è tale. La Costituzione la riduce a mero «interesse legittimo» (invenzione di azzeccagarbugli indigeni), insieme alle altre «libertà economiche». In soldoni: la politica può calpestarla quando le pare, basta che invochi l’esistenza di un superiore interesse collettivo.
La scelta dei costituenti non è rimasta senza effetti. Ha inciso sulle prassi dell’amministrazione pubblica e sugli orientamenti culturali del Paese. Si narra che Enrico Berlinguer abbia detto una volta a Ciriaco De Mita: «La proprietà privata, per noi comunisti, è come il peccato originale per voi cattolici». A tutt’oggi l’Italia pullula di intellettuali che esprimono la massima diffidenza verso la proprietà privata (provi Bruni ad ascoltare ciò che ne dicono letterati, filosofi, sociologi, eccetera). Il che fa da pendant all’atteggiamento, da sempre punitivo, delle amministrazioni pubbliche.
Anche l’idea che occorra difendere il mercato contro i Savonarola non piace a Bruni. Del mercato io avrei una visione ingenua. I mercati, egli dice, sono costruzioni sofisticate basate su regole (grazie, ma questo lo sa «persino» un politologo). Ancora una volta, a Bruni sfuggono la forza e la diffusione della ideologia italiana. Quando ho parlato dei Savonarola antimercato non mi riferivo solo a Beppe Grillo. Pensavo ai tanti maestri di morale (molto influenti a sinistra) che disprezzano l’economia di mercato e disegnano figure gerarchiche nelle quali l’etica (al singolare) comanda il diritto, il quale, a sua volta, sottomette completamente alle proprie esigenze politica ed economia: la ricetta per lo Stato etico, non per una società libera.
Da ultimo, Bruni esprime dubbi sull’utilità dei concetti di destra e sinistra. Qui ha un po’ ragione e un po’ torto. Se prendessimo insieme un caffè in una pausa di un seminario accademico, io e Bruni potremmo ridere delle tante sciocchezze, banalità, contraddizioni, mezze verità mescolate a bugie, che si nascondono sotto le etichette destra e sinistra. Ma se stiamo osservando la dinamica competitiva di una democrazia, dobbiamo prenderle sul serio. Nonostante la periodica insorgenza di movimenti che pretendono di superarla, la distinzione destra/sinistra resta, proprio grazie alla sua grossolanità, una bussola, o una mappa, che continua a orientare le tattiche dei venditori di politiche (i partiti) e le scelte di tanti potenziali compratori (gli elettori). L’economista Mario Monti volle ignorare questo aspetto quando entrò in politica. E mal gliene incolse.
Angelo Panebianco