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 2013  aprile 04 Giovedì calendario

LE ZINGARE DI GOYA QUELLE “MAJAS” SEXY AVVOLTE NEL VELO DELL’INQUISIZIONE

Trionfi di Goya, in due grandi mostre a Madrid. Mirabili ritratti, come sappiamo, in una profusione di squisiti arazzi solari. Ma poi abbondano i fantasmi nerissimi delle punizioni ossessive: torture e tormenti in manicomi e nosocomi e carceri settecenteschi, come nel Rake’s Progress di Hogarth. Ma qui, tra flagellanti e inquisizioni e martiri e supplizi vari, e una quantità di ultime cene. In una produzione media di sai frateschi e soggoli di suore meditanti con badesse, autofustigazioni di vecchietti scheletrici col loro vecchio leone sotto il tavolo, fra culone rubensiane grassissime e allegorie di qualche Pace fra testone mozze e zozze ostentate dalle Salomé e dalle Giuditte, fra diavoli e streghe e lavacri di piedi per motivi penitenziali e/o feticistici.
Con quanta salacità si saranno degustate allora le vezzose zingarelle goyesche in costumi regionali sexy. «La duchessa d’Alba non ha neanche un capello che
non ispiri desiderio», scrivevano i viaggiatori della fine-Settecento. E «sin embargo», come si suole ripetere, eccola qui trentenne quale esemplare emblematico del ritratto nobiliare-erotico. «Princesita, Pepita, Encantadora sincera, Mariposa de lindos colores...». Come le “majas” nude o vestite dello stesso tipo carnale e del medesimo Goya che però era allora sulla cinquantina, e forse tozzo come nel suo autoritratto all’Accademia di San Fernando.
Mancano ovviamente, purtroppo, gli arredi e i decori dei sontuosi palazzi familiari, in questa ricca esposizione dei tesori della Casa d’Alba. Ma per le soddisfazioni di noi curiosi, ecco una Madonna con Bambino indubbiamente dell’Angelico, benché molto ridipinta sulle facce; e una Ultima Cena di Tiziano anche troppo simile alla analoga dell’Escuriale: multiplo di bottega?
Ancora di Tiziano, però, un tremendo ritratto del Duca d’Alba famigerato per le repressioni cinquecentesche nelle Fiandre; e un suo ritratto analogamente cattivissimo, di Rubens. (Tornano in mente certi antichi Maggi Fiorentini con dignitari fiamminghi malandati). E lì, poi, ancora, in legno policromo da girargli intorno, un monumentino addirittura satanico del Duca d’Alba mentre infilza e schiaccia serpenti con le teste di papa Paolo IV, di Elisabetta I d’Inghilterra, e Guglielmo di Nassau. Trionfi della Controriforma! Un Crocifisso spasmodico del Greco. Un San Domenico di Zurbaràn, con occhi al cielo e vasetto di gigli. Un pretino con breviario, di Murillo... Anche però una Maddalena penitente ma assai discinta, di Andrea Vaccaro. Tette al vento per una “Verità” di Francesco Furini, giacché secondo l’Iconologia dei Ripa sarebbe una «fanciulla ignuda, con alcuni veli bianchi d’intorno», in attesa di venire «adornata con le parole». Mentre per lo stesso Ripa la Voluttà sarebbe una «Donna bella e lasciva, terrà in mano una palla con due ali, e haverà per argine come un precipitio».
Ai primi dell’Ottocento si fondono i casati d’Alba e Fitz-James Stuart, duchi di Berwick e discendenti degli ultimi re cattolici d’Inghilterra, con sovrabbondanza di titoli aristocratici, e parentele col cardinale di York, vescovo di Velletri e spentosi a Frascati nel 1807. Non risultano invece parentele coi Medici fiorentini, benché Eleonora di Toledo fosse consorte del granduca Cosimo I, e in questa mostra figuri un buon ritratto del XII duca d’Alba, Álvarez de Toledo, opera di A. R. Mengs. Ecco invece un cospicuo gruppo di J. A. D. Ingres, con Filippo V che impone il Toison de Oro a un duca di Berwick.
Molti titoli («tre volte Grandi di Spagna») vengono apportati agli Alba dalla contessa di Montijo, sorella dell’imperatrice Eugenia e dunque patronessa del Secondo Impero: qui ritratta in un ovale da Winterhalter. Ma fra le curiosità, accanto a magnifiche incisioni di Dürer e Rembrandt, ecco una miniatura con le sembianze di Vittorio Alfieri: era infatti amico della contessa d’Albany, cognata del cardinale di York.
Ma soprattutto nelle teche e bacheche abbondano i sensazionali documenti d’archivio. Ecco le relazioni contabili dei viaggi di Cristoforo Colombo, con i prezzi e le ricevute. Stemmi araldici smisurati, con aquile anche bicipiti, gigli, leoni, angeli, torri. Bibbie miniate, mappe di terre lontane, privilegi, testamenti, frontespizi di Cervantes. E le disposizioni di Carlo V per le conquiste messicane: viaggi e onori con educazione cattolica per i figli dell’ultimo imperatore Montezuma; «escudo de armas» per don Francisco Pizarro; bolle papali per l’erezione di cattedrali in Perù; governatori, viceré, cacicchi, ricompense varie per i servizi alla Corona nelle Indie... Tutto accuratamente registrato, immatricolato, catalogato, classificato, contabilizzato...
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Capolavoro di un genio (e qui vicino, presso Parma, alla Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo), «La famiglia dell’infante don Luis de Borbón» del Goya, al Palazzo Reale madrileno può suscitare curiosità più o meno intriganti. Lui nato nel 1727, intanto; e lei nel 1759, di un rango nobiliare ma non regale. Sposati nel 1776 per volere del re Carlo III. Dunque, figli ambedue di Elisabetta Farnese, vissuta provinciale a Parma eppure gran decisionista e cugina o nipote delle principali Palatine in ogni Corte europea: così appunto celebrata nelle Memorie di Saint-Simon, qua davanti negli scaffali solo pari, quantitativamente, alle attigue Opere di Sade. Ma con problemi “morali”, giacché un suo amico pittore di Corte, Luis Paret y Alcázar, qui ben rappresentato da paesaggi marini con figure, venne esiliato con un sottoposto a Puerto Rico.
In questa “conversation piece” familiare e serale, il vecchio don Luis siede tranquillo a un ta-
volino, la consorte morganatica si fa pettinare, e il piccino affianca il babbo con un profilo analogo. Gino Magnani lo acquistò dagli eredi Ruspoli spagnoli e fiorentini, ed è appena uscita (da Castelvecchi) una raccolta di recensioni di Cesare Brandi per quella sua antica rivista “L’immagine”... Ma subito si viene attratti dal giovanotto bruno e ridente a destra, non emblema rivoluzionario ma amico del Maestro Boccherini. Mentre sulla piccina praticamente insignificante sulla sinistra, Goya ritornerà. Si tratta infatti della contessa de Chinchón, modesta nell’espressione ma scintillante nell’abito, sposa involontaria e timida del «poderoso favorito» Manuel Godoy, che dopo trent’anni sposerà la sua favorita Pepita. Tutti qui ritratti, da Goya e Mengs e altri, compreso il tremendo padre Eleta, confessore di Carlo III e persecutore di don Luis. Nonché la Chinchón bimba, e poi sposa, dagli Uffizi fiorentini.
Manca purtroppo, a raffronto immediato, il ritratto pomposo e irreverentissimo della famiglia reale con Carlo IV e la regina gallinaccia, anche lei di Parma. Ecco però una chicca: «Annibale che attraversa le Alpi», per partecipare nel 1770 a un concorso dell’Accademia di Parma. Goya arrivò secondo, e tornò in Spagna, ove il dipinto si trova, nelle Asturie. Il primo premio toccò a Paolo Borroni, di Voghera, e forse di ubicazione ignota.
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Frattanto, all’Armeria Reale, una quantità di armature attribuite a Carlo V, anche perché desunte da ritratti famosi. E tante armaturine per bambini, pesanti e scomode. Li abituavano già da piccoli.
Ma che fatica e che costi, lasciando perdere le metafore chic, gettare un guanto o spezzare una lancia per motivi cavallereschi.