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 2013  aprile 04 Giovedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

GROPELLO CAIROLI (Pavia) — Alberto è da qualche parte, probabilmente a Milano, a vivere una vita più o meno normale. Con il suo lavoro nello studio di un commercialista, con i suoi ritmi da ragazzo e, dicono le riviste di gossip, una fidanzata bionda sempre accanto. Rita si divide fra Gropello Cairoli, dove lavora, e Garlasco, dove abita. E il suo tempo è un continuo lasciar scivolare i giorni su una vita senza Chiara.
«Non sono stato io, ho la coscienza a posto» giura da sempre Alberto al suo avvocato, il professor Angelo Giarda. «Spero che diano a Chiara la possibilità di avere giustizia come hanno fatto con Meredith» sospira Rita salutando con un sorriso. Domani la risposta. I giudici della Cassazione decideranno se scrivere o no la parola «fine» di questa storia.
Due vite (Alberto e Rita), due famiglie (gli Stasi e i Poggi) sotto lo stesso cono d’ombra.
Chiara Poggi, 26 anni, fu uccisa in casa sua, a Garlasco, la mattina del 13 agosto 2007. Qualcuno le sfondò la testa con un oggetto mai identificato e la buttò giù dalle scale che portano in taverna. Alberto Stasi, all’epoca 24 anni, era il suo fidanzato e fu lui a trovarla e a finire per primo nella lista dei sospettati. Unico indagato dell’omicidio, fu arrestato e scarcerato, processato e assolto in primo e in secondo grado e domani vivrà un altro giorno che sembrerà non passare mai. L’attesa, l’apnea delle volte precedenti e più di ogni altra cosa la speranza che tutto finisca qui, per sempre. Gli crederanno anche i giudici della Suprema Corte?
«È stato qui con noi, abbiamo lavorato tutti assieme in studio per prepararci ad affrontare la Cassazione» rivela l’avvocato Giarda, convinto «dal primo istante che questo ragazzo sia innocente» e che «liberandolo da ogni accusa si potrà guardare con più serenità verso direzioni che gli inquirenti hanno trascurato, orientati com’erano sempre e solo verso Stasi». Con Garlasco Alberto sembra aver tagliato i ponti. C’è la casa dei genitori, certo. Ma non è più lì la sua vita, non lo si vede più e non è più quello il posto giusto dove incontrare gli amici. Meglio costruire il dopo-Chiara a Milano. Ed è nello studio milanese di Giarda che, come ha sempre fatto, ha voluto essere presente anche questa volta mentre l’avvocato scriveva la memoria (più di duecento pagine) per la Corte. Ha letto e riletto ogni passaggio, ha immaginato quelle parole scorrere nella mente dei giudici e ha sentito sulla sua pelle l’inquietudine quando la Suprema Corte ha riaperto il processo per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, accusati dell’omicidio di Meredith Kercher e arrivati in Cassazione, come lui, da assolti. «Il ricorso della procura non fa che ribadire le cose già espresse nel merito del processo e che hanno già avuto risposte precise. Non c’è niente di nuovo e di diverso rispetto ai giudizi precedenti e non dimentichiamo che qui si fa un controllo di legittimità, non un terzo processo».
«Proprio di legittimità e di diritto si sta parlando» è la replica dell’avvocato della famiglia Poggi, Gian Luigi Tizzoni. «Chiediamo alla Corte semplicemente di colmare alcune lacune che potrebbero essere decisive per arrivare alla verità». Tre i punti che la parte civile chiede di approfondire: l’esame su un capello castano corto (con il bulbo) trovato nella mano di Chiara (la difesa di Alberto sostiene che fosse vicino al corpo) e mai esaminato con il test del Dna «mitocondriale», capace di risalire all’identità di chi lo ha perduto. Altra questione: l’ormai famosa bicicletta nera da donna sicuramente vista davanti a casa di Chiara la mattina del delitto. La famiglia Stasi ne possiede una mai sequestrata. «Acquisiamola» propone Tizzoni. E infine il test sulla superficie ricostruita in laboratorio della casa di Chiara con il quale si è stabilito se Alberto potesse o meno sporcarsi le scarpe camminando. La richiesta in questo caso è rifarlo: con la porta delle scale chiusa e la riproduzione dei gradini. «Punti sui quali sono già arrivate risposte più che puntuali» dice il professor Giarda.
Dettagli che Rita ha imparato a conoscere a memoria: «Vedremo cosa diranno i giudici». «Io e la mia famiglia siamo pronti anche se va da sé che più si avvicina l’ora più cresce l’ansia e ogni volta io rivivo le emozioni daccapo, tutte assieme». Rita sa di non poter scartare l’ipotesi che Alberto esca di scena definitivamente (nel frattempo un giudice monocratico lo ha multato per detenzione di video pedopornografici e lo ha interdetto «in perpetuo» da qualunque ufficio che abbia a che fare con minori). «Può succedere che venga assolto, lo so» dice la mamma di Chiara. «Però so anche che i genitori non si arrendono. Mai».
Giusi Fasano