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 2013  marzo 24 Domenica calendario

LAURETTA COLONNELLI IN 456 DOMANDE E RISPOSTE I SEGRETI DI ROMA E DEI PAPI

Spiace dover dare all’Urbe e all’Orbe una notizia forse ignorata da gran parte dei romani, ma pare proprio che il Colosseo, di­strutto da un incen­dio nel 217 dopo Cristo, sia stato rico­stru­ito dall’imperatore Alessandro Se­vero con i proventi delle tasse sul mere­tricio di prostitute e catamiti (da cate­mitus, sostantivo latino derivato dal no­me Ganimede, usato per indicare un bambino trattenuto da un pederasta per atti di libidine). In pratica, più che a un anfiteatro, il simbolo della Città eter­na e dell’Italia è assimilabile a un lupanare, il che spiega molti aspetti dell’at­tualità. Non a caso Papa Clemente XI nel 1700 aveva fatto chiudere i fornici del monumento, trasformandolo in un deposito di letame, dal quale si rica­vava il salnitro che serviva a una vicina fabbrica di polvere da sparo.
Spiace anche dover deludere i turisti di tutto il mondo che, sull’esempio di Audrey Hepburn in Vacanze romane, corrono a infilare le dita dentro la Boc­ca della Verità collocata nel portico del­la chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Nessun pericolo di vedersi mozzare la mano, come capiterebbe secondo tra­dizione a bugiardi, traditori e adultere, ma dovrebbero difendersi con l’Amu­china: quel mascherone barbuto era in origine un tombino della fognatura, un dio fluviale che inghiottiva le acque piovane nelle sue fauci spalancate.
Paul de Musset, fratello del più famo­so Alfred, nel suo Voyage pittoresque en Italie (1856), scriveva di Roma: «Quando si crede di aver visto tutto, bisognerebbe ancora girare a caso, sen­za meta, perché il piede non urta mai una pietra, un pezzo di marmo, un blocco senza nome che non nasconda qualche ricordo importante». Già, ma chi ricorda dov’è il luogo in cui fu assas­sinato Giulio Cesare? Basta affacciarsi sui ruderi di fronte al teatro Argentina: si vede un muro che ingloba una nic­chia nella quale era collocata la statua di Pompeo ai cui piedi, il 15 marzo del 44 avanti Cristo, il dittatore cadde tra­fitto da 23 pugnalate. E dove si trova la scena di sadismo talmente raccapric­ciante da tur­bare il marchese de Sade quando la vide nel 1775? Nella chiesa di Santo Stefano Rotondo, al Celio. Fa parte di un ciclo di affreschi commissionato nel Cinquecento dalla Compagnia di Gesù per istruire i giovani preti sul martirio che li attendeva in terra di missione.
A tutto quello che avre­ste voluto sapere su Ro­ma ma non avete mai osato chiedere, e a molto di più, risponde Lauretta Co­lonnelli, giornalista di lungo corso (Rai, L’Europeo, Amica, Corriere della Sera), riprendendo lo schema del cele­bre Conosci Parigi?, che fu inventato da Raymond Queneau sul quotidiano L’Intransigeant. Dal 1936 al 1938 lo scrittore si poneva ogni giorno tre do­mande sulla capitale francese e si dava da solo le risposte. I 456 quesiti furono poi raccolti nel volume Connaissez­ vous Paris?, diventato un best seller.
E 456 sono anche le domande e le ri­sposte che la Colonnelli pubblica in Co­nosci Roma?, uscito in libreria mercole­dì scorso per le Edizioni Clichy. Interro­gativi che lasciano di stucco, perché la giornalista non si è preoccupata solo di chiedersi - domanda numero 1 - dove si collochi il centro esatto della Città eterna (è nel Foro Romano, segnato da un frammento marmoreo con palmet­te, seminascosto sotto la vegetazione davanti ai resti del tempio di Saturno), ma si è anche sbizzarrita nei quesiti più inaspettati. Esempio:«Quante moneti­ne vengono gettate ogni anno nella Fontana di Trevi dai turisti che sperano di tornare a Roma? I volontari della Ca­ritas, nei primi sei mesi del 2012, hanno raccolto nella vasca 540.000 euro». Oppure: «In quale strada si assiste all’illu­sione ottica per cui la cupola di San Pie­tro rimpicciolisce man mano che ci si avvicina? In via Niccolò Piccolomini, imboccandola da Villa Pamphilj».
In questo percorso all’apparenza svagato, ma in realtà mi­nuziosissimo, l’autrice spiega fra l’altro che piaz­za del Popolo non ha nul­la a che vedere col popo­lo («il toponimo deriva da populus, che in latino significa pioppo»); che il primo semaforo d’Italia fu collaudato a Roma nel settembre 1929 da Filip­po Ugolini, vicecoman­dante dei vigili del fuoco; che la sigla Gra (Grande raccordo anulare) coinci­de per puro caso col cognome del pro­gettista che lo ideò oltre mezzo secolo fa, l’ingegner Giulio Gra.
Ma davvero nella basilica di San Pie­tro sono raffigurati 2.500 animali?
«D’ogni specie, compresi delfini, ge­chi, pipistrelli, lucertole, maiali e sala­mandre. Un solo gatto. Fa capolino, ti­midissimo, da dietro una tenda nel­l’ Annunciazione scolpita nel 1949 dal senese Vico Consorti in una formella della Porta Santa, che viene aperta so­lo ogni 25 anni per il Giubileo».
Ignoravo che il primo cimitero per animali costruito in Italia si trovas­se in via dell’Imbrecciato. «Si chiama Casa Rosa e fu voluto da Be­nito Mussolini nel 1923 per seppellirvi la gallina che era stata compagna di giochi dei suoi figli. Fra oltre un miglia­io di tombe, ci sono anche quelle dei ca­ni di Sandro Pertini, Giovanni Leone, Peppino De Filippo e Anna Magnani».
E non sapevo che un cavallo potes­se ospitare nella sua pancia un ban­chetto per 23 commensali.
«Neppure io. Ho scoperto che il monu­mento equestre di Vittorio Emanuele II sull’Altare della Patria è lungo ben 12 metri e che il 3 febbraio 1909 fu allestita al suo interno una tavola imbandita per l’ex sindaco Leopoldo Torlonia e il padrone della fonderia Bastianelli con i suoi 21 operai, i quali alla fine saldarono il ventre di bronzo dell’equino».
A proposito di ventre: intervistai Ce­sare Signoracci, imbalsamatore di papi, ma non mi disse che i loro orga­ni interni si conservavano a parte. «Sì, nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, davanti alla Fontana di Tre­vi. Qui sono sepolti in appositi loculi i precordi, le frattaje come dicono i ro­mani, di 23 pontefici, da Sisto V, morto nel 1590, a Leone XIII, morto nel 1903. La pratica fu abolita da Pio X».
Resto in tema: l’espressione «Nun c’è trippa pe’ gatti» da che deriva? «Da un provvedimento del sindaco Ernesto Nathan. Nel 1907, appena elet­to, si accorse che nel bilancio comuna­le figurava l’uscita “ frattaglie per gatti” destinata al mantenimento dei felini che difendevano dai topi i documenti custoditi negli archivi capitolini. Na­than la cancellò, dicendo che da quel momento i gatti avrebbero dovuto nu­trirsi di ratti. Se i mici fossero morti di fame, sarebbe stata la miglior prova che quel capitolo di spesa era inutile».
Ma lei è «romana de Roma»?
«No, sono toscana di Pitigliano. Vivo nella capitale dal 1969. Ci venni per lau­rearmi in filosofia alla Sapienza. Poi il professor Adriano Magli, marito del­l’antropologa Ida Magli, mi offrì di di­ventare sua assistente. Mi era appena nato un figlio, avevo bisogno di guada­gnare. Magli mi fece avere un contratto come programmista-regista in Rai. Cu­ravo Sala F su Radio 2. Lessi che il nuo­vo direttore dell’ Europeo, Mario Pira­ni, avrebbe trasferito la redazione a Ro­ma. Non conoscendo nessuno nel set­tore, cercai sull’elenco telefonico di Milano il numero dell’editore Angelo Rizzoli: purtroppo era appena uscito di casa. Allora chiesi un colloquio a Pi­rani. Quando mi ricevette, si mise a ri­dere: “È la prima giornalista che non si fa raccomandare. Mi scriva un pezzo”. Superai la prova e mi assunse».
Le piace il nuovo vescovo di Roma?
«Tantissimo. Papa Francesco mi ha conquistata, nonostante non sia prati­cante. Però per il mio lavoro vado spes­so in Vaticano. Prima del conclave ho passato tre notti nella Cappella Sistina ad assistere ai lavori di spolveratura de­gli affreschi. È un luogo magico, che ti prende alla gola, ti risucchia nel vorti­ce delle inquietudini di Michelangelo. Le figure della volta e del Giudizio universale sembrano prendere vita e navigare nel blu di lapislazzuli».
Per il popolo niente vi­no gratis dopo l’ascesa al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio.
«Eh già. Invece nel Sei­cento, per l’elezione di Innocenzo X e di Clemente X, venne fatto sgorgare vino dalle bocche dei leoni egizi posti a guardia delle due fontane all’inizio della cordonata michelan­giolesca in Campidoglio: rosso da una e bianco dall’altra».
Da buon argentino Papa France­sco apprezza solo il mate.
«Leone XIII andava pazzo per il Vin To­nique Mariani à la Coca du Pérou. Nel 1891 insignì di una medaglia d’oro lo speziale còrso Angelo Mariani, inven­tore della bevanda, e gli concesse addi­rittura il permesso di usare il ritratto papale nei manifesti pubblicitari. Mariani metteva a macerare per dieci ore in un litro di Bordeaux 60 grammi del­le “migliori foglie di coca” provenienti dal Perù. Il Vin Mariani fu vietato in Ita­lia agli inizi del Novecento».
Bergoglio ama stare fra la gente.
«Anche Sisto V, eletto nel 1585. Si con­fondeva tra il popolino per capire se e quanto fosse gradito. Un giorno un oste che non l’aveva riconosciuto si mi­se a parlare male di lui. Conclusione: il pontefice lo fece decapitare. I colleghi vollero ricordare lo sventurato con una testa di marmo che si può vedere incastonata tra due finestre del secon­do piano nel palazzo al numero 34 di piazza Navona. E già gli andò bene...».
In che senso?
«A morire decapitato. Mastro Titta, il boia dello Stato pontificio che tra il 1796 e il 1864 eseguì a Roma 516 senten­ze capitali, non usava solo la ghigliotti­na e il cappio per l’impiccagione: era specializzato anche nella mazzolatu­ra col maglio e nello squartamento».
Ma chi era questo Mastro Titta?
«Giambattista Bugatti. Aveva un me­stiere di copertura: verniciatore di om­brelli in via del Campanile 4, una traversa di via della Conciliazione».
Resta valido ciò che Giacomo Casa­nova scrisse di Roma nelle sue me­morie: «Non esiste città cattolica in cui ci si preoccupi meno della reli­gione»? «I romani non si preoccupano di nul­la. Hanno visto di tutto. Guardano pas­sare il mondo».
Vi sentite davvero «caput mundi»?
«Io no, i romani sì».
Il monumento che ama di più?
«Il Pantheon. Ti dà serenità, racchiu­de dentro di sé il cielo e ti proietta in un mondo in cui tutte le culture e le religio­ni si fondono in un unico abbraccio».
Il luogo che le è più caro?
«La balaustra del Pincio al tramonto».
Le botteghe che più la intrigano?
«I Mondelliani di via dei Bergamaschi, dietro il Parlamento, dove si trovano montature per occhiali artigianali, rac­colte da Rosaria Riccioli Mondello e dal figlio Federico in giro per il mondo. E Cristina Bomba in via dell’Oca, che offre vestiti disegnati da lei in stile mini­malista. Durante le riprese di Habe­mus Papam vi incontravo Michel Pic­coli impegnato a rifarsi il guardaroba».
Il ristorante dove si mangia meglio?
«Non esiste più. Era la trattoria Lepre in via Condotti, famosa ai tempi del Grand Tour, molto apprezzata da Ed­gar Allan Poe. Teneva in menù 450 piat­ti e 50 tipi di minestre. Si può rimediare andando alla Campana, nel vicolo omonimo, la più antica di Roma, aper­ta nel 1518. Serve il brodo di arzilla».
Ero rimasto a quello fatto con la gal­lina vecchia, non con la nonna. «L’arzilla in romanesco è la razza. Bro­do di pesce arricchito col broccoletto».
Ma Roma è veramente ladrona, co­me ululava Umberto Bossi?
«Non più delle altre città d’Italia».
«Omnia Romae cum pretio». Tutto a Roma si può avere a un prezzo. Giovenale.
«Da allora non è cambia­to nulla. Perché sono gli uomini che non cambia­no mai. Basta leggersi Ti­to Livio o Plutarco. O quel­la lett­era in cui Seneca la­mentava che la sua penni­chella fosse disturbata dai buoni a nulla che gio­cavano a palla. Sandra Verusio crede che il suo sia il primo salotto di sini­stra della capitale. Proba­bilmente non sa che fu quello di Cornelia, la madre dei Gracchi, “haec orna­menta mea”, ecco i miei gioielli».
Sant’Ambrogio raccomandava: «Quando sei a Roma, vivi come i ro­mani; quando sei in un altro luogo, vivi come si vive in quel luogo». Vi­vete in un modo tutto vostro. «Sempre meno. L’omologazione ha avuto il sopravvento. Forse il detto va­leva ai tempi della dolce vita, quando Ennio Flaiano sbeffeggiava gli attori americani che venivano qui a girare i film con uno dei suoi fulminanti afori­smi: “Sono convinti di essere noi”».