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 2013  marzo 24 Domenica calendario

QUELLA FAMIGLIA ALLARGATA PER SALVARE LE BIMBE SCAMBIATE

«In questa foto manco solo io. Ma dove mi avevate nascosta?». Carolina lo chiede sapendo benissimo qual è la risposta. «Tesoro, allora non c’eri tu, c’era Melania qui a casa».

Sorridono tutti, con il sorriso che arriva dopo tredici anni di lacrime, di dubbi, di cuori spezzati a metà. Si cerca di scherzare, adesso, in queste due famiglie che nel 2000 precipitarono da un giorno all’altro dentro una tragedia degli equivoci: scoprirono che le loro figliolette erano state scambiate in culla. Che per tre anni avevano allevato, amato, accompagnato nei primi passi e nelle prime parole la bambina degli altri. E che l’unica soluzione era rimettere le caselle al loro posto. «Lo capisce? — dice Piera, la nonna biologica di Carolina — lo capisce che cosa significa consegnare la propria figlia a una donna che non si conosce e accogliere una piccoletta mai vista? Mia figlia Marinella non ha parlato per giorni, per settimane».

Una sfida difficile quanto scalare una montagna a piedi nudi. Ma loro ce l’hanno fatta. E Carolina e Melania — l’una alta, scura e taciturna; l’altra più piccola, castana e vivacissima — adesso hanno 15 anni, sono compagne di banco, frequentano la stessa scuola e hanno uno stuolo di nonni, cugini, zii veri e acquisiti. Sarà l’aria che si respira qui a Mazara del Vallo, tra i vicoli dove italiani e tunisini convivono serenamente, ma questa è una favola dell’accoglienza che arriva all’indomani della notizia di un altro scambio in culla avvenuto in Francia, con tanto di richiesta di risarcimento di 12 milioni di euro. Qui il giudice di primo grado è stato molto più clemente: 800 mila euro da dividere tra le due famiglie, come racconta l’avvocato Nicola Sammaritano, che attende con fiducia il giudizio d’appello.

Un legale diventato anche lui parente acquisito in questa famiglia allargata che ha imparato, scorticandosi il cuore, l’arte difficile di condividere gli affetti più viscerali. «Per tutte e due le mamme la gioia e il lutto della perdita sono andati di pari passo», racconta. Da una parte Ciccio, muratore e piccolo imprenditore agricolo, e Gisella, impiegata alle Poste. La bambina che nasce quel primo gennaio del 1998 all’ospedale «Abele Ajello» di Mazara è la loro prima figlia. Dall’altra parte Franco, imbarcato sui pescherecci, e Marinella, casalinga e già mamma di Perla e Lea, quattro e sei anni. Non ce la fanno ancora a raccontare con la propria voce, delegano i genitori. «Quella mattina — ricorda nonna Piera — mia figlia Marinella vide per un attimo la bambina che aveva partorito. Gli ostetrici dissero che pesava tre chili e 400 grammi e la portarono subito via: erano le 11 del mattino. All’una e mezza le misero nel letto una frugoletta scura di pelle e di capelli, con una tutina rossa. Fu io a dire: guardi che mia nipote non ha un corredino rosso, state attenti che non sia un’altra bambina. Se la presero di nuovo, andarono dalla signora nell’altra stanza, ce la riportarono con i vestiti giusti. Tutto a posto, dissero, avevamo scambiato gli abitini. Sicuri? Sicuri». In realtà avevano scambiato le bambine, nate a un quarto d’ora di distanza nel caos festivo di un ospedale di provincia.

Un tarlo che non svanisce nei giorni successivi: «Pregammo il dottore — dice la nonna — di fare un’analisi che togliesse i dubbi. Anche al momento delle dimissioni, gli feci notare che pesava 350 grammi in più di quando era nata, e che io, madre di sei figli, non avevo mai sentito di neonati ingrassati in poche ore. Mi liquidò in modo sprezzante: signora, ai suoi tempi forse non c’erano neanche le bilance». Lui era Antonino Adamo, l’allora primario della Pediatria, condannato nel 2005 a otto mesi (pena sospesa) e adesso in pensione.

Quel dubbio divenne lacerante due anni e mezzo dopo, quando la mamma andò a prendere Melania all’asilo, lo stesso che frequentavano le due sorelle più grandi, Perla e Lea. «Una maestra nuova — racconta nonna Piera — le consegnò invece una compagnuccia, Carolina, senza avere alcun dubbio. È identica a Perla, non può che essere sua sorella, disse sorridente. Lei rispose che no, che la sua si chiamava Melania. Ma restò sconvolta, tornò a casa e si mise a piangere».

Poche ore dopo, Marinella e il marito sono alla ricerca dell’altra famiglia. Si trovano davanti Ciccio e Gisella con la piccola Carolina. E sbiancano di nuovo. Perché Ciccio è la copia della loro Melania. «Voi, noi, le bambine…», balbettano. «All’inizio pensammo che erano pazzi — racconta nonno Baldo, contadino di 71 anni, padre di Ciccio — ma che cosa andavano dicendo? Che la nostra bambina era loro? Poi, quando vidi di nascosto Melania, capì che avevano ragione. Era uguale a mio figlio. Il sangue chiama, il sangue non mente».

Da lì un percorso durissimo, con il luminare della psichiatria Giovanni Bollea, scomparso due anni fa, a consigliare la massima vicinanza tra le due famiglie. Che inghiottono rospi e gelosie, e cominciano a condividere tutto, lasciando piano piano nelle braccia dell’altra mamma le creature che hanno allattato. Per Marinella è un po’ più facile: le altre due figliolette attutiscono il colpo. Per Gisella, attaccata alla sua unica figlia, è una strada che sembra a tratti impercorribile.

A gennaio del 2001 le bambine tornano nelle famiglie naturali. «Un dramma — racconta nonna Piera tra i singhiozzi — mia figlia Marinella era sconvolta, Perla e Lea non volevano separarsi da Melania. Non gliela ridare, teniamole tutte e due noi, dicevano».

Ma cinque mesi dopo è Gisella che non ce la fa. Si precipita a casa di Marinella a dire che rivuole indietro la «sua» Carolina. Le mancano il suo odore, il suo respiro, la sua vocina. «Riportiamo tutto com’era», propone. Si rifà lo scambio, e gli psicologi faticano parecchio a convincere tutti che l’unica strada è quella di riprendersi le figlie naturali.

A settembre del 2001 a casa di Gisella e Ciccio arriva un’altra bambina, Sofia, che è la chiave di volta per rasserenare la mamma. Adesso sembra un miracolo vedere le due ragazze in simbiosi. Le gemelle, le chiamano qui. Sanno cosa è successo. L’hanno capito presto.

«Ma la mia mamma era l’altra…», dicevano da piccole indicando con il ditino. «Per noi sono due nipoti», dice nonno Baldo. “Guai a fare disparità, anche nei piccoli regali — dice nonna Piera — Uguali, sono uguali». E si asciuga gli occhi.