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 2013  marzo 23 Sabato calendario

LA PASSIONE SECONDO PIERLUIGI

«QUANDO sono scosse le fondamenta, – recita il Salmo 10 – il giusto che cosa può fare?». Per un laureato in filosofia con implicazioni teologiche, qual è Pierluigi Bersani, gli intrecci del calendario fra liturgia e crisi di sistema sono, o meglio possono essere coincidenze rimarchevoli; con il che l´esplorazione che gli ha affidato Napolitano avverrà nella settimana santa, per non dire che il preincarico del segretario del Pd coincide con la Passione.
I vecchi democristiani in queste cose ci sguazzavano, e si capisce. Ma anche per un post-comunista che addita Papa Giovanni come modello e versa un lacrimuccia al tele-ricordo del suo vecchio parroco, questa simultaneità para-religiosa che si apre con le Palme e finisce sul Golgota non appare il viatico più incoraggiante. Ma tant´è.
E comunque quando ieri pomeriggio l´auto di Bersani si è fermata sul portone del Quirinale per il rito dell´identificazione, beh, dietro il vetro leggermente brunito si è visto un uomo con una faccia nera, ma così nera che se l´altroieri si poteva definire accigliata, in sole 24 ore era divenuta arcigna, cioè molto più aspra e insieme sofferente. Comunque irriconoscibile rispetto al volto orgoglioso e gioviale che campeggia, con l´aggravante di una maschia posa a gambe aperte e maniche di camicia, sulla copertina della recentissima biografia, «Bersani» appunto (Editori Internazionali Riuniti), che con gran cura il giornalista Ettore Maria Colombo gli aveva dedicato in previsione dell´ascesa trionfale a Palazzo Chigi.
E invece no, niente trionfo, anzi tragica beffa, diffuso dileggio e odierno, doloroso dilemma. Però anche cocciutissima determinazione, ai limiti del capriccio, comunque spes contra spem - ci risiamo: è l´epistola di San Paolo ai Romani - speranza contro tutto e contro tutti. Più laicamente: o la va o la spacca, ma nel secondo caso paiono fin troppe le cose che potrebbero spaccarsi, dalla testa dell´incaricato agli equilibri del Pd, fino alle stesse istituzioni repubblicane.
E poiché in certi casi la politica vive quasi più di segni e visioni che di parole e chiacchiere programmatiche, per giunta già a base di immancabili Bicamerali e/o Costituenti, sarebbe stato utile osservare l´aspirante presidente insieme al presidente uscente Napolitano, che ieri gli ha cucito un abituccio davvero molto stretto e scomodo assai. Ma Bersani si è presentato alla tribunetta da solo; e quando alla fine, rientrando dietro le quinte, ha mormorato con una specie di smorfia «è una situazione difficile», beh, sarà brutto da scrivere e forse anche da leggere, ma faceva veramente pena.
Poveraccio. Tutta la sua perizia era svanita, e anche la bonomia, quella stessa che forse l´aveva spinto a pronunciare tre giorni prima delle elezioni le classiche ultime parole famose: «Per noi sento un´aria buona...». Eh già. Se solo s´immagina il Calvario che aspetta Bersani, la Via Crucis che rende il suo incarico il più triste dopo la delusione di De Gasperi all´indomani delle elezioni del 1953, quasi si azzerano le scemenze profuse durante la campagna elettorale, l´insistita auto-parodia «Ohi ragassi», i funesti twitter su Cary Grant, il compiaciuto sfoggio del «bersanese», i tacchini sul tetto, le mucche in corridoio, «in cinque anni completo lo zoo», ah-ah, ma anche «li sbraniamo!», e «lo smacchiamo!», questo gioco del giaguaro che tanto piacque a Bruno Vespa, pure con consegna di peluche e danza tribal-regressiva dello staff sul lastrico solare del Nazareno.
Ecco, ora che il disastro è avvenuto, e che in Bersani convivono il presidente freddamente incaricato da Napolitano e il plausibile capro espiatorio da offrire in sacrificio sull´altare dei vecchioni messi da parte, dei giovani turchi, degli ambiziosi rottamatori e degli oligarchi esclusi, serve a nulla ricordarlo cantare «O´ surdato ‘nnamurato» nella desolante chiusura di Napoli o il saluto dell´Ambra Jovinelli, tempio storico dell´avanspettacolo trasfiguratosi in ritrovo radical-chic.
E´ un dramma per alcuni versi faustiano, comunque un angoscioso dilemma quello di Bersani, che gli eventi avvolgono di ombre tenebrose e gli stringono attorno lacci: se vuole il governo, il trono, il potere, bene, è là dove Napolitano gli ha indicato, a portata di mano, basta chiederlo a Berlusconi, sarebbe anche lieto di aiutarlo. Ma se invece vuole il «cambiamento», parola povera ma pesantissima, glielo possono concedere solo quelli che lo respingono e lo dileggiano e gli dicono «morto che parla» o «che cammina».
E nella sconfitta sta forse il riscatto. Ma bisogna essere filosofi sul serio. «Vedete - spiegava Bersani qualche mese fa a una platea di giovani - la politica finisce sempre con un dispiacere. Bisogna saperlo dall´inizio e darlo per scontato. Quindi fate un buon allenamento e mettetevi tranquilli. Quanto a me, ho già elaborato la cosa da tempo, e il dispiacere non riuscirà a turbarmi». Meglio così.