Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 24 Domenica calendario

TV, APPARTAMENTI E CAMPI DI CALCETTO LE STRANE SPESE DEL TENNIS ITALIANO

NAPOLI — Se davvero il nuovo presidente del Coni Giovanni Malagò avesse intenzione di riformare lo sport italiano, allora dovrebbe venire qui, al “Rama club” di Fuorigrotta, a Napoli. Una manciata di campi da calcetto sempre pieni, un bar che opera in regime fiscale di “associazione”, e cinque campi da tennis poco frequentati. Una storia - solo apparentemente minima - che da Fuorigrotta, attraverso un paio di conti correnti bancari e un’indagine su 92 mila euro spariti, conduce a quattro investimenti immobiliari da quasi 2 milioni in contanti. E infine arriva a Roma, alla Federtennis, alle altre federazioni sportive e ai palazzi del potere, quelli che proprio Malagò adesso occupa. Ma anche ad altri, ben più nascosti.
IL “RAMA CLUB” DI FUORIGROTTA
Il “Rama club” in realtà sarebbe ben altro. Sarebbe il Centro Tecnico della Federazione italiana Tennis per il Sud Italia. L’area fu concessa dal Comune di Napoli al Coni nel 1968 in occasione dei Giochi del Mediterraneo e dal Coni affidata alla Federazione italiana tennis. Inizialmente quel centro, costruito e organizzato solo per formare giovani tennisti, aveva anche funzionato. Alcuni dei maggiori talenti nostrani sono usciti da lì, da Massimo Cierro a Rita Grande, da Diego Nargiso a Potito Starace. Poi però la crisi del movimento e quel po’ di miopia tipica
di certi burocrati spingono la Fit a darlo in gestione a terzi. È il 1989. A mettere le mani su quella struttura è una nota famiglia di imprenditori napoletani, i Bellucci, tuttora gestori. Nel giro di poco il centro cambia pelle. Il presidente Fit Angelo Binaghi dopo il 2001 approva una serie di modifiche, vengono costruiti quattro campi da calcetto e uno da calciotto, si comprime lo spazio dedicato al tennis, i tesserati vanno ad allenarsi altrove. Il “Rama club” diventa un affare commerciale da mezzo milione di euro l’anno a fronte di un canone di affitto di 48.000 euro.
Per anni nessuno protesta. Paolo Bellucci del resto è un nome che conta nel circolo che conta, quel Tennis Club Napoli a Riviera di Chiaia di cui è socio e dove, tra aperitivi e pranzi all’aperto, si decidono i destini del tennis in Campania. Anche l’ex vicepresidente della Fit Fabrizio
Gasperini è socio.
LO SCONTRO INTERNO ALLA FIT
Nel 2005 però diventa presidente del Comitato regionale campano Michele Raccuglia il quale ha un’altra idea: riportare il centro tecnico di Fuorigrotta ad essere il punto di riferimento per il tennis di tutto il Mezzogiorno. Inizia allora una lotta silenziosa tra il Comitato e il “Rama Club”, viene passato al setaccio il contratto di gestione, saltano fuori clausole, partono lettere di rescissione. Fino a quando l’11 dicembre 2011, a pochi giorni dalla scadenza contrattuale, il Comitato viene commissariato dalla Federtennis. Con la motivazione che nel “conto entrate” dove affluiscono le quote d’iscrizione dei tesserati e gli incassi dei tornei, è stato scoperto un
presunto ammanco di 92 mila euro, accumulato in tre anni. Raccuglia viene esautorato. È disorientato, non capisce cosa si sta muovendo attorno a lui, non si spiega soprattutto perché venga implicitamente accusato dalla federazione di aver gestito male un conto su cui non aveva possibilità di intervento. Si mette
a raccogliere documenti su quella che per lui assume i contorni di una congiura interna, dovuta forse al progetto di rivedere la gestione del centro di Fuorigrotta. Per cautelarsi fa una denuncia alla procura a Napoli. Una mossa imprevista che spariglia, di parecchio, le carte. Perché la prima cosa che hanno
fatto gli investigatori è stata guardare dentro i bilanci della Federtennis e di tre Srl che dalla Fit sono partecipate: la Sportcast, la Fit Servizi e, tramite quest’ultima, la Mario Belardinelli.
QUATTRO PALAZZI IN CONTANTI
Vengono fuori così quattro grossi investimenti immobiliari
realizzati negli ultimi tre anni per le sedi dei comitati regionali a Pescara (settembre 2012), Firenze (luglio 2010), Cagliari (gennaio 2011) e Palermo (aprile 2011) per cui la Federazione ha sborsato almeno 1,8 milioni di euro. In contanti e senza fare un mutuo, quindi senza che venissero svolte le perizie bancarie
sul valore degli immobili. E forse non è un caso che l’immobile in via Bonaria a Cagliari, di 7 vani e mezzo, sia stato venduto dalla Fondiaria Sai del gruppo Ligresti. Ernesto Albanese, consigliere di Sportcast nonché ex direttore generale di Coni Servizi spa, molto amico del presidente Binaghi, è stato anche ammini-stratore delegato di AtaHotels, nel cui consiglio sedevano fino al 2009 diversi membri della famiglia Ligresti. Solo due mesi fa il comitato della Sardegna ha occupato gli uffici. E non è l’unica “stranezza” visto che l’immobile di Pescara è stato acquistato l’11 settembre 2012, cioè cinque mesi dopo una circolare del Coni che bloccava l’acquisto di sedi a livello centrale e periferico perché troppo onerose per le federazioni.
LA SAGA FAMILIARE DI SUPERTENNIS
A questo punto occorre avvertire il lettore che
Repubblica
è stata già querelata da Binaghi, attraverso il suo legale, nonché cugino, per aver raccontato la fumosità dei bilanci federali e, soprattutto, la saga familiare di Supertennis, il canale tv di Sportcast di cui Carlo Ignazio Fantola, zio di Binaghi, è presidente a titolo gratuito. E dove, in consiglio, accanto ad Albanese siede Giancarlo Baccini, storico responsabile della comunicazione di Fit e proprietario della QA srl, società di famiglia grazie alla quale è amministratore delegato di Sportcast. La Federazione negli ultimi tre anni ha girato circa 7 milioni di euro di contributi alla sua partecipata. Sfogliandone il bilancio si nota un’anomalia: in quello del 2010 sono riportati 142 mila euro di ricavi e 3,9 milioni di contributi, nel 2011 i ricavi diventano 4 milioni, i contributi zero. Un passaggio che incuriosisce gli investigatori e che potrebbe nascondere un’ipotesi di evasione dell’Iva.
Oltre ai 7 milioni alla televisione, la Fit ha versato nello stesso periodo 3,1 milioni alla Mario Belardinelli per la fornitura di servizi tecnico sportivi e la gestione dei centri estivi. Non direttamente, attraverso la Fit Servizi detentrice dell’85 per cento del capitale. Ma la Fit Servizi fa anche altro. Non si occupa solo di riscuotere i soldi dei tesserati del tennis. Li gestisce anche. Ma come? Nella sua composizione societaria — fino a poco tempo fa — spuntava il nome di un consulente della Federtennis, un nome che Giovanni Malagò, a questo, punto, farebbe molto bene ad appuntarsi: Marco Perciballi.
(1-segue)