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 2013  marzo 24 Domenica calendario

SERENISSIMA POPSTAR MUSICA E SESSO NELLA VENEZIA DEL ’700

VENEZIA Quella bassa e gialla è la casa di Elton John», esclama Andrea Bacchetti scrutando la Giudecca dalla Piazzetta San Marco. Poi, brandendo gli spartiti di Baldassarre Galuppi e Benedetto Marcello: «Questi erano come lui: le pop star del Settecento veneziano ». Il giovane pianista genovese è magro, nervoso, un furetto al servizio della musica; tanto comico nel suo scattante virtuosismo da finire nello show di Chiambretti. Sono cinque anni, dal 2007, che il maestro periodicamente si rintana nella rivale repubblica marinara in cerca di tesori da riproporre nella collana
La Tastiera Italiana,
che cura con lo storico Mario Marcarini: un progetto di recupero, restauro e prima edizione discografica di preziosissimi manoscritti in collaborazione con la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. I volumi già pubblicati — dedicati ai compositori Cherubini, Galuppi, Marcello e Scarlatti — hanno avuto risonanza internazionale. Negli spazi monumentali progettati dal Sansovino, Bacchetti si muove come a casa. È questa la struttura che custodisce i suoi “vangeli”, manoscritti originali di uno dei patrimoni musicali più importanti del mondo, riccamente decorati e
rilegati in marocchino rosso. Ce ne sono di perduti, ritrovati e restaurati di fresco che stanno scatenando la curiosità di musicisti e melomani.
«Erano i tempi in cui ricchezza faceva rima con bellezza», sospira Franco Rossi, vicedirettore del conservatorio Benedetto Marcello e docente di storia della musica. Le vicende della Marciana sono una favola che oggi non avrebbe lieto fine. È il 1468: il cardinale greco Bessarione fa dono dei suoi mille codici latini e greci alla Repubblica di Venezia. Per ospitare il prezioso carico, lo Stato Veneto affida a Jacopo Sansovino la costruzione davanti
al Palazzo Ducale di un grandioso edificio di stile classico. La sala di lettura viene decorata da Tintoretto e Veronese; nell’antisala, ornata da un dipinto di Tiziano, trova posto il Museo Statuario della Repubblica. Uno scrigno per tutte le arti; un’allegoria del Veronese è dedicata alla
(popolare e colta): donne che cantano e suonano il liuto e la lira da gamba sotto gli occhi compiaciuti del dio Pan. «Uno dei luoghi più belli del mondo della cultura dal valore simbolico enorme, in un secolo che sta perdendo l’uso della memoria», ammonisce il professor Rossi. Se oggi un ipotetico Bessarione facesse una donazione in libri dal contenuto filosofico metterebbe in imbarazzo le istituzioni che non saprebbero come e dove sistemarli. Tesori negletti che non arriverebbero ai posteri. Sorte anche peggiore toccherebbe a quegli spartiti musicali di tre secoli fa che il buon governo della Serenissima teneva in altissima considerazione.
La sala di lettura della Marciana, cui si accede dalla scala allegorica del Sansovino raramente aperta al pubblico che simboleggia la musica come forma di ascensione collettiva verso il cielo, assomiglia al salone delle feste di un palazzo reale con i magnifici affacci su Piazza San Marco. In mostra anche il primo
cahier de musique
di cui si sia a conoscenza, codice riccamente miniato in oro zecchino appartenuto alla signora Maria Venier. Contiene le sonate autografe che i musicisti invitati a palazzo dedicarono alla nobildonna: uno scorcio inedito della Venezia di primo Settecento. Quanti anni aveva la Venier? Che rapporti intratteneva con i protagonisti della musica dell’epoca? Raccoglieva autografi dei suoi idoli come oggi le
groupie
quelli delle rockstar? «Non abbiamo molte informazioni su di lei», precisa il professor Rossi. «Sappiamo solo che La Fenice, alla fine del Settecento, fu edificata nel giro di un anno su un fondo di proprietà dei Venier. Una legge sul lusso sanciva che la città di Venezia dovesse avere non più di sette teatri. Lo Stato dovette fare una deroga ai nobili affinché ce ne fosse un ottavo, la Fenice appunto. I ricchi dell’epoca investivano sugli artisti. Esiste copia di un contratto tra il compositore e un nobile veneziano con delle clausole sorprendenti: 1) il maestro ha diritto al compenso anche nei giorni di malattia 2) verrà retribuito anche quando sarà chiamato a tenere concerti fuori città o in altri stati».
Personaggio di spicco del teatro musicale ita-
liano, nato nell’isola di Burano nel 1706, Galuppi (morì a 79 anni e fu padre di 15 figli), dal 1762 maestro di cappella nella Basilica di San Marco, fu star a livello europeo. I Pisani, una delle famiglie più facoltose di Venezia, lo adottarono. Alla Marciana è conservata una delle due copie (l’altra è a Parigi) di una cantata,
Venere al Tempio,
scritta per il matrimonio di un Pisani. «Sappiamo che le celebrazioni si tennero nel salone delle feste dell’attuale Conservatorio, gli eredi hanno ceduto il palazzo nei primi del Novecento», precisa Rossi. «Questo per ribadire che anche allora i ricchi spendevano in maniera dissennata, ma per le cose belle. E uno dei lussi che non si facevano mancare era avere per casa degli artisti. L’educazione musicale dei figli era seguita con attenzione, come dimostrano alcune lettere appartenute alla potente famiglia Querini».
Ne sa più il professore su Galuppi di quanto noi su Michael Jackson. Prodezze sessuali che fanno impallidire Bowie e Jagger. «Intrighi con la Venier? È possibile. Attraverso
Cento Anni,
il romusica
manzo storico di Giuseppe Rovani (1818-1874), uno scrittore della Scapigliatura milanese, scopriamo che Galuppi non era esattamente l’artista virtuoso che voleva sembrare. C’era del torbido nel suo ingaggio fiorentino alla corte di Gian Gastone de’ Medici». Ben noto per la sua condotta libertina ai limiti dell’hard core, il granduca si beava del virtuosismo del Galuppi. Non solo. «Aveva saputo che il suo clavicembalista preferito era superdotato, lo volle vicino per motivi palesemente sessuali», precisa Rossi. «In un documento conservato a Firenze — diciamo pure un diario a luci rosse — la sua prestanza fisica è descritta con dovizia di particolari. Che l’ultimo rampollo dei Medici fosse un sodomita era risaputo anche fuori dal Granducato di Toscana, tanto che il padre di Domenico Scarlatti si adoperò in ogni modo affinché la permanenza del figlio a Firenze non durasse più di qualche giorno. Anche Caterina II di Russia, rinomata per i suoi appetiti sessuali, era ben informata sulle dotazioni di Galuppi. Il soggiorno di Baldassarre a San Pietroburgo fu lungo e chiacchierato. Quando il figlio di Caterina venne a Venezia, poco prima della morte del compo-sitore, gli consegnò un dono prezioso: “Da parte di mia madre, che non vi dimentica”, gli disse. Era il frutto della loro relazione? I comportamenti sessuali, anche borderline, erano molto tollerati dalla società dell’epoca. Ben oltre le prodezze di Casanova dovette spingersi Lorenzo Da Ponte, il librettista delle
Nozze di Figaro,
per essere bandito (il 17 dicembre 1779) dalla Repubblica di Venezia per quindici anni».
È purissima e malinconica l’aria per clavicembalo del Galuppi che il maestro Bacchetti fa risuonare sotto le preziose volte della Marciana, tra i tesori musicali esposti a una generazione distratta. «Qui dentro c’è il fondo più importante appartenuto ai reali di Spagna e Portogallo dal Quattrocento fino all’Ottocento. Materiali che ci mettono in contatto con la Storia», conclude Rossi. Vuol dire che saremmo dei mostri se facessimo scempio di tanta bellezza. E non s’arrivi a dire che ogni generazione ha la Venier che si merita.