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 2013  marzo 23 Sabato calendario

ROMA — C’è

il precedente del 19 maggio 1994, quando il primo governo Berlusconi ottenne la fiducia al Senato per un solo voto. I senatori erano 326, di cui 11 quelli a vita, ma alla fine in Aula si presentarono soltanto in 315: 314 i votanti, per cui la maggioranza richiesta si abbassò a quota 158 grazie, soprattutto, a tre popolari (Cecchi Gori, Zanoletti e Cusumano) che fecero perdere le loro tracce al momento dello scrutinio. Finì con un solo voto in più, a favore del Cavaliere, rispetto alla maggioranza richiesta: 159 sì, 153 no. A garantire la fiducia più che risicata al primo governo Berlusconi, dunque, intervenne un concorso di cause: l’assenza pilotata dei 3 senatori del Ppi (che poi furono sospesi dal partito retto da Rosa Russo Jervolino) e il voto determinante di tre senatori a vita (Giovanni Agnelli, Francesco Cossiga e Giovanni Leone). Silvio Berlusconi commentò: «Comprendo il travaglio dei senatori del Ppi... Ma hanno restituito dignità alla grande tradizione del cattolicesimo politico».
Oggi con il mandato affidato da Giorgio Napolitano — che ha chiesto di certificare in anticipo «il sostegno parlamentare nelle due Camere» — il primo governo Bersani potrebbe nascere grazie allo stesso concorso di cause: assenze mirate per abbassare il quorum e voti raccolti con un’azione di convincimento a 360 gradi. Ma la strada è tutta in salita perché il vuoto da colmare è ben più ampio.
Al Senato, Bersani ha affidato al capogruppo Luigi Zanda la «mission» di provare a recuperare qualcosa come 15-20 voti per raggiungere quota 160, che poi è la maggioranza necessaria con il plenum al completo (315 eletti più 4 senatori a vita: Andreotti, Ciampi, Colombo, Monti). Gli sherpa sono al lavoro da settimane per accertare le condizioni minime per raggiungere l’obiettivo: l’appoggio dei 21 senatori della lista Monti che insieme ai 7 della Svp (alcuni eletti con il concorso del Pd) porterebbero il fronte governativo a 145 voti (una parte dei quali risultano nel gruppo misto), se si considera anche quello certo di Giuseppe Lumia, eletto in Sicilia con la lista Crocetta. Il capo dello Stato, però, vuole di più: chiede dichiarazioni di voto alla luce del sole, senza sotterfugi dell’ultimo minuto. Per cui la tattica delle assenze pilotate, capaci di abbassare il quorum non dovrebbe funzionare con l’attuale inquilino del Quirinale che, proprio perché in scadenza di mandato, non ha intenzione di autorizzare operazioni al buio. Dunque al Senato è partita la grande caccia ai 15-20 voti mancanti (sempre che i montiani ci stiano): «Ci vuole tempo e tanta pazienza», profetizza il veterano Ugo Sposetti che teorizza l’efficacia delle trattative riservate soprattutto quando nell’ufficialità i partiti se le danno di santa ragione.
Per cui sul tavolo dei «contatori» che si stanno rincorrendo a Palazzo Madama ci sono diversi scenari teorici che consentirebbero a Bersani di superare la prova del voto di fiducia per poi navigare in acque più tranquille. Il primo «quadro» prevede il coinvolgimento dell’intero gruppo della Lega (16 senatori) e di un’aliquota di senatori del Pdl magari pescati tra quei dieci parlamentari confluiti nel gruppo Grandi autonomie e libertà. Tra di loro c’è anche Giovanni Emanuele Bilardi (Grande Sud) che, per bocca di Gianfranco Miccichè, ha già posto le sue condizioni: «Rilancio del Mezzogiorno unica condizione per il sostegno di Grande Sud al futuro governo». Gli altri componenti del gruppo fiancheggiatore del Pdl sono di sicura fede berlusconiana per cui un loro travaso nel fronte governativo potrebbe essere possibile solo se autorizzati dal Cavaliere. Il primo scenario teorico (Pd, gruppo Misto, Grandi autonomie e libertà, Svp e Psi, Scelta civica, Lega) potrebbe assicurare 164 voti al nascituro governo Bersani.
Il secondo scenario teorico, suggerito dall’intenso lavorio in atto al Senato, prevede un soccorso a Bersani sotto forma di spezzatino: 163 voti a favore della fiducia. La «stampella», sempre autorizzata da Berlusconi, non arriverebbe dal blocco della Lega ma da un concorso di più partiti: i 9-10 di Grandi autonomie e libertà, 5 o più grillini (pronti a vestire i panni dei paladini della governabilità dopo aver dato il via libera a Grasso), 5 leghisti autorizzati da Maroni, 5 pidiellini pontieri e/o responsabili. E il colmo sarebbe se Silvio Berlusconi, senza il cui apporto questa missione impossibile non riuscirà, rispedisse al mittente anche i veri «responsabili» (Scilipoti e Razzi, per intenderci) per garantire almeno l’avvio del governo Bersani. Ma questo sarebbe il più grande dei regali per Beppe Grillo.
Dino Martirano