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 2013  marzo 22 Venerdì calendario

MA PER LA SCELTA DEL PRESIDENTE IL PD ABBANDONI GLI INTERESSI DI PARTE

Le alternative che si aprono in questa confusa primavera postelettorale sono segnate da due famose frasi latine. La prima è un’implorazione, «Spiritus Sanctus descendat super vos et maneat semper»: l’abbiamo appena sentita all’inizio del conclave e sembra che lo Spirito Santo in quel caso l’abbia accolta. La seconda è invece una affermazione che si perde nella notte dei tempi — «Deus quos vult perdere dementat», Dio toglie il senno a chi vuol mandare in rovina — e i nostri politici sembra appartengano a coloro che Dio vuol rovinare, a giudicare almeno dai loro comportamenti «demenziali» dopo le elezioni.
Anche un bambino sa che occorre uscire rapidamente dalla situazione di confusione e di incertezza in cui i risultati elettorali hanno precipitato il Paese e dare all’Europa e ai mercati l’immagine di un governo solido, che rispetta i patti e fa le riforme alle quali si è impegnato: che il gatto (il governo) sia rosso o nero non ha importanza, purché ci sia e pigli i topi. Ed è infantile strepitare perché siamo sotto tutela: se lo siamo, in buona parte, è per colpa nostra e, nella misura in cui non lo è, il comportamento altrui cambierà solo nella misura in cui saremo forti e credibili abbastanza da farglielo cambiare. Altrimenti saranno guai, sofferenze che si aggiungeranno a quelle già patite, soprattutto per i ceti più deboli.
Naturalmente tra gli obiettivi dei politici non c’è solo il benessere economico dei cittadini, ma questo, mi sembra, dovrebbe avere oggi una priorità elevatissima. E dunque non mi rivolgo a coloro che della «decrescita» hanno fatto un obiettivo e non avvertono il pericolo insito in una situazione che di decrescita ne ha già avuta fin troppa. Mi rivolgo a coloro che ne sono consapevoli e ugualmente tirano la corda per raggiungere finalità politiche pur meritorie — per i loro ideali o interessi — ma non così urgenti come quella di sventare una catastrofe economica imminente. Mi limito a due esempi di «demenza» — è un’antica citazione, nessuno si offenda — che riguardano soprattutto la mancanza di rispetto per le nostre istituzioni. Un esempio per parte.
I parlamentari del Pdl potevano evitarsi la piazzata davanti al Palazzo di giustizia di Milano e la minaccia di piazzate simili in futuro. Le decisioni di procuratori e giudici nulla hanno a che fare con le scelte politiche incombenti e, finché restano nell’ambito dei loro poteri costituzionali, sono inattaccabili in via politica diretta. Possiamo essere convinti che i procuratori usino male il potere discrezionale che Costituzione e leggi concedono loro — molti sono convinti del contrario — ma forme di protesta estreme non fanno che esacerbare il conflitto che ha paralizzato la Seconda Repubblica, rafforzare la convinzione che quanto interessa al Pdl sia soprattutto difendere il cittadino Berlusconi contro la magistratura. Il che, per un partito che dovrebbe incarnare, in un momento difficile, una delle due grandi visioni politiche del bene per il Paese, quella di centrodestra, non è certo un bel vedere. Ma veniamo a sinistra.
Purtroppo è invalsa l’abitudine, sia a destra che a sinistra, di considerare la Presidenza delle Camere come parte del bottino elettorale, con scarsa considerazione per l’esperienza di chi viene candidato e soprattutto per l’equilibrio di cui ha dato prova in passato. La presidenza delle assemblee non è un ruolo politico: la seconda e terza carica dello Stato neppur lontanamente hanno i poteri della prima e, se svolgono correttamente il loro compito, dovrebbero attenersi a criteri di stretta imparzialità, al rispetto più scrupoloso di leggi, regolamenti e prassi parlamentari. A quanto sembra sono state elette due persone di qualità elevata, ma il modo in cui lo sono state non è cambiato rispetto alle cattive abitudini del passato: si è trattato di un’operazione che più politica non poteva essere, una vera «furbata» di Bersani, per la quale è stato variamente complimentato. Inutile dire che non mi associo a questi complimenti.
Ma vengo al vero compito di questa legislatura, che non credo riuscirà ad assicurarci un governo stabile. Ci deve però assicurare un capo dello Stato capace di affrontare le difficoltà e le turbolenze che incombono su questa difficile fase politica, sia che un governo si riesca a formare e dunque la legislatura possa proseguire (per quanto?), sia che si vada presto a nuove elezioni. Sulla carta una maggioranza potrebbe sembrare facile, prodotta artificialmente dal Porcello: nelle Camere in seduta comune il Pd ha una minoranza di voti così forte che è sufficiente una modesta alleanza per ottenere la maggioranza necessaria. Già, ma quale alleanza? Ancora con transfughi dal Movimento 5 Stelle? Con Scelta Civica di Monti? O addirittura — perché no? — con il Centrodestra? Qui non si tratta di eleggere il presidente del Senato, una carica politicamente poco rilevante e che durerà quanto la legislatura, e dunque poco, credo. Si tratta di scegliere l’architrave del nostro sistema costituzionale, un «capo» che resterà in carica per sette anni. Una persona che dovrà essere dotata di straordinarie capacità politiche, un interprete degli equilibri profondi del nostro sistema, un costruttore di nuovi e più stabili assetti istituzionali.
Bersani e i dirigenti del Pd avranno un grande ruolo in questa scelta. Non ci resta se non sperare che lascino da parte interessi partigiani e diano prova di grandezza e spirito di sacrificio. Per questo invochiamo che Dio discenda su di loro e ci rimanga, se non per sempre, almeno quanto basta a superare questo momento difficile.
Michele Salvati