Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 22 Venerdì calendario

CIPRO, TUTTO TORNA (TRANNE I CONTI)

Come in un brutto film dell’orrore, hanno rico­minciato a scorrazzare in Europa fantasmi che credevamo di aver seppellito con palate di sacrifi­ci. Il default finanziario. Il contagio delle banca­rotte. La fine dell’euro. I cittadini in piazza, un po’ infuriati e molto impauriti. I banchieri e i politici che si riuniscono di notte o scappano dalle porte sul retro. E poi la solita Merkel con i canini aguzzi e la divisa da Hitler, perché ogni thriller che si ri­spetti ha il suo prevedibile cattivo.
Nel caso di Cipro, com’era giusto, i brividi sono in parte rientrati. La Repubblica, con un milione di a­bitanti e un Prodotto interno lordo da 23 miliardi di euro l’anno, non ha la forza per mandare a gam­be all’aria l’Unione Europea con i suoi 500 milioni di persone. Anche se ci si è messa d’impegno, vi­sto che per salvarsi dai debiti ha ora bisogno di 17 miliardi di euro e in ogni caso ha respinto il piano europeo di soccorso, basato sul rustico, ma uni­versale, scambio detto ’pagare moneta vedere cammello’. La Ue è disposta a concedere un pre­stito da 10 miliardi (se un analogo prestito avesse riguardato l’Italia, in base alla popolazione, avreb­be dovuto essere di 600 miliardi…), a patto però che i ciprioti ne aggiungano altri 6 con i famosi ’pre­lievi forzosi’ dai conti correnti. Proposta che, pri­ma di essere rifiutata, ha appunto portato la gente in piazza.
La novità rispetto a quanto già successo in Grecia, Italia, Spagna o Portogallo, è che nelle strade di Ci­pro a protestare c’era anche un convitato di pietra piuttosto imbarazzante: la Russia. Un paio di dati significativi. Ieri, 1960: Cipro diventa indipenden­te dalla Gran Bretagna il 16 agosto e il 18 già viene ufficialmente riconosciuta dall’Urss. Oggi: Cipro è il terzo maggior investitore estero nell’economia russa. Tutto sulla carta, perché in realtà si tratta quasi sempre di capitali usciti in un modo o nel­l’altro dalla Russia e poi tornati in patria dopo un energico risciacquo. Secondo l’agenzia di rating Moody’s, i correntisti russi hanno sull’isola depo­siti per circa 19 miliardi di euro; le banche russe hanno investimenti diretti per circa 12 miliardi e altri 40 miliardi impegnati in prestiti ad aziende di diritto cipriota, ma di proprietà russa.
In poche parole, Cipro è la base finanziaria della Russia per le operazioni nell’Unione Europea e nel resto del mondo. Ma non basta. Ci sono, tra Rus­sia e Cipro, trattative per lo sfruttamento dei giaci­menti off-shore del gas naturale, in linea con la pe­renne ambizione di Mosca di diventare attore sem­pre più decisivo in quel segmento del mercato e­nergetico. E c’è la storica attrazione della Russia per i ’mari caldi’, per primo il Mediterraneo. Con la Siria in fiamme e Assad avviato all’esilio, Cipro è un piccolo ma prezioso baluardo. Non a caso il Go­verno russo, per estendere di cinque anni il presti­to di 2,5 miliardi concesso al Governo cipriota, chie­de una base navale sull’isola, che già ne ospita due, però inglesi. Anche Angela Merkel ha i suoi inte­ressi. Che non sono quelli di affamare i ciprioti (e nemmeno i greci, se è per questo) ma piuttosto di contenere le smanie dell’orso russo, nche con la Germania ha un rapporto privilegiato (a partire dal gasdotto Nord Stream, inaugurato nel 2011, che u­nisce i due Paesi saltando i Baltici e l’Ucraina) di cui non riesce però a contentarsi. Il prelievo forzoso di 6 miliardi di euro dai conti cipriotig, ovvero dai de­positi e dagli affari dei russi, vuol dire trasferire su Mosca una quota del problema e far rientrare in Eu­ropa parte delle enormi somme avviate verso Est per comprare gas e petrolio.
Se a questo aggiungiamo la proverbiale lentezza di riflessi dell’Unione Europea, scopriamo la più banale delle verità. La crisi economica non è che la somma algebrica dei problemi che abbiamo trascurato in passato, delle ’grane’ che abbiamo preferito scopare sotto il tappeto invece di af­frontarle e risolverle. Ce le ritroviamo oggi, po­tenziate da un minore benessere che certo non aiuta le riflessioni pacate e la serena composizione dei contrasti.