Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 21 Giovedì calendario

ZANDA, MIRACOLATO DALLA MALEDIZIONE DI ALDO MORO

Ha una faccia da impuni­to, ma simpatica. O, al­meno, a me è simpati­co. Ma è quell’aria da impuni­to, appena un filo di sorriso bef­fardo che non gli si scolla mai forse perché è nato, cresciuto e vissuto nel ventre di vacca del potere tramandato come un ti­tolo nobiliare, senza far altro che seguire il cursus honorum che la nomenklatura gli ha riservato. Questo spiega probabilme­nte la sua voglia non di com­battere e vincere, ma se possibi­le di ammazzare (in senso politico), di azzoppare (sempre in senso politico), di ammanetta­re (in tutti i sensi) Berlusconi vo­ta­ndone appena possibile l’ine­leggibilità. Zanda, essendo na­to patrizio in una società divisa in caste, vede in Berlusconi ciò che più detesta: l’ho­mo novus che si è fatto dal nulla e che dopo il successo im­prenditoriale si è anche per­messo di con­quistare e mantenere per vent’anni la leadership di una larga parte degli ita­liani. Come puoi contra­stare una lea­dership natu­rale riconfermata ad ogni elezione? L’unica rispo­sta è: accop­pando il lea­der. E l’ultima trovata è di­chiarare Berlusconi non eleggibile, liquidando con un colpo alla nuca mi­lioni di eletto­ri italiani che non vogliono i post comuni­sti al potere.
Come ho detto, Luigi Zanda nasce in un alveo pa­trizio, come i Kennedy o il circolo degli Scipioni della Roma repub­blicana. Suo padre, Efisio Zanda Loy, era un uomo politicamente importan­tissimo come capo della poli­zia di Stato, specialmente nella dura e torbida stagione del ter­rorismo. Luigi, uomo peraltro intelligentissimo, fece una car­riera fulminante fin da neolau­reato: uffici legali dell’Iri, con­sulente del ministero per la ri­forma della Pubblica amministrazione, presidente del Con­sorzio Venezia Nuova, presi­dente e amministratore delega­to dell’Agenzia per il Giubileo per un quinquennio, presiden­te della Quadriennale di Roma e della Fondazione Palaexpo, consigliere d’amministrazio­ne della Rai in quota Margheri­ta. Infine il trionfale ingresso in politica: traggo dal Catalogo dei viventi di Giorgio Dell’Arti e Massimo Parrini, editore Marsilio: «Alle elezioni suppletive per il Senato del 23 giugno 2003 (convocate nel collegio di Fra­scati per la morte del senatore Severino Lavagnini) si presen­tò senza avversario, dato che la Casa delle libertà non raccolse firme sufficienti a candidare Francesco Aracri (An). Risultò quindi eletto col cento per cen­to dei suffragi, ma con la più bassa percentuale di partecipazione al voto dell’intera storia repubblicana: il 6,47%».
Ma alla sua biografia manca­no i due pezzi migliori: quello di segretario e portavoce di Francesco Cossiga ministro de­gli Interni e poi presidente del Consiglio. E quello di consiglie­re e poi di vicepresidente del Gruppo Espresso, quotidiano La Repubblica incluso. Sono stato amico di Cossiga, avendo­lo difeso con le unghie e con i denti quando sul «picconato­re» pendeva una taglia, o una fa­twa, lanciata proprio da Repub­blica e dall’Espresso, in forza della quale il presidente della Repubblica temeva realistica­mente di essere prelevato con la forza, caricato su un’ambu­lanza, chiuso in un sanatorio e sostituito da un comitato prov­visorio di barbe bianche che lo avrebbe sostituito. Zanda, co­me ho detto, fu prima il più stretto collaboratore di Cossiga e poi di Repubblica. Senza provare imbarazzo. E oggi è nel Pd, appena eletto capogruppo, carica che gli consente di di­chiarare con tono politicamen­te minaccioso di essere pronto a votare l’ineleggibilità di Sil­vio Berlusconi. Io spero che sia chiaro a tutti, compresi coloro che si sentono avversari totali di Berlusconi, che questo pro­posito rivela la pochezza di una nomenklatura che non sapen­do liquidare politicamente un avversario, sogna - com’è nella tradizione della casa - il solito anche se simbolico colpo alla nuca.
Ma poi c’è qualcos’altro da di­re sull’astuto Zanda. Non ha mai voluto dire una sola parola di quel che dovrebbe sapere, o almeno immaginare, sulla vi­cenda più turpe e losca della storia repubblicana: l’azione di un commando militare a via Fani, la cattura, l’interrogato­rio e la soppressione di Aldo Moro. Quella storia e quelle po­vere vittime non trovano pace. Ebbene, Cossiga con cui con­cordavo quasi su tutto, aveva però una zona grigia, o se prefe­rite un buco nero. Lui solo sape­va quel che realmente accadde con l’affaire Moro e quel che fu fatto anche di inconfessabile e inconfessato per tentare di sal­vare la vita al leader democri­stiano. Posso dire, da ex presidente di una Commissione bi­camerale d’inchiesta sulla qua­le fu calato il sipario della cen­sura, che è dimostrato, per dichiarazione del procuratore ge­nerale di Budapest nel 2006 di fronte a me ed altri commissari, che molti uomini delle Br era­no a libro paga e sotto coman­do militare del Kgb e della Sta­si, inquadrati nell’organizza­zione Separat del terrorista Carlos oggi all’ergastolo a Parigi. Ebbene, sconfitte militarmen­te le Brigate rosse italiane, Cos­siga si votò ad una vita da frate confessore in tutte le carceri italiane per concordare una «veri­tà storica» del tutto falsa, in grazia della quale fu imposto agli italiani di credere che i brigati­sti erano un prodotto doc italia­no. Tutti si lasciarono intimidi­re e ­nessuno ha il coraggio di di­re perché fu ammazzato Moro. Che c’entra Luigi Zanda? Ma come! È stato ogni giorno con Cossiga nei giorni peggiori del periodo terrorista, ha visto quello che gli altri non hanno potuto vedere, e l’unica cosa che ha da dire è: impediamo a Berlusconi di entrare in Parlamento? Suvvia, un po’ di deco­ro!