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 2013  marzo 22 Venerdì calendario

L’AVVOCATO DEL MONTE DEI PAPI

Roma, aeroporto di Ciampino. Una mattina di fine febbraio due passeggeri sbarcano da un aereo privato appena atterrato da Torino. La coppia si avvia verso l’uscita a passo svelto. Pochi minuti e gli agenti della Guardia di Finanza li circondano. Le Fiamme gialle cercano loro. Sì, proprio loro. Roberto Lucchini, un sacerdote, e Michele Briamonte, giovane e brillante avvocato dello studio torinese Grande Stevens nonché consulente legale dello Ior. Lucchini non è un prete qualunque, ma un monsignore, un diplomatico della Santa Sede. I finanzieri hanno un mandato di perquisizione e chiedono alla coppia di consegnare le borse e i documenti in loro possesso. Con gran sorpresa dei militari, Briamonte e Lucchini mostrano il passaporto diplomatico del Vaticano. Come faccia Briamonte non si sa: il documento potrebbe essere un passaporto "di servizio", rilasciato in casi eccezionali dalla segreteria di Stato. Con quel documento (anche se non garantisce l’immunità) Briamonte cerca di non farsi perquisire. Comincia a fare telefonate. La richiesta d’aiuto arriva subito a destinazione. Si muove il Vaticano. Il messaggio è chiaro: «Nessuna perquisizione», in caso contrario l’incidente diplomatico tra Italia e Santa Sede sarebbe inevitabile. Dopo qualche tira e molla, il pressing della segreteria di Stato alla fine ha successo. L’avvocato e il monsignore si tengono strette le borse ed escono dall’aeroporto. Entrambi però sanno bene che la vicenda non si chiude qui.
L’affondo della magistratura, con la tentata perquisizione all’illustre coppia di viaggiatori segnala un salto di qualità nelle indagini della procura romana sugli affari dello Ior, la banca del Vaticano. L’inchiesta aperta a Roma sin dal 2009 si arricchisce così di un nuovo filone. E chissà se papa Francesco, da pochi giorni nel pieno dei suoi poteri, è già stato informato di questa nuova grana. Preti infedeli, banchieri e bancari, perfino malavitosi vicino alla banda della Magliana. Il vaso di Pandora della finanza vaticana riserva sempre nuove sorprese. E adesso al centro dell’attenzione finiscono, loro malgrado, don Lucchini e Briamonte.
Non sappiamo perché i due viaggiassero insieme e quali documenti gli investigatori sperassero di trovare nelle loro valigie. Certo è che il monsignore bloccato a Ciampino viene descritto come un diplomatico di rango, un nome che conta nell’organigramma della segreteria di Stato guidata da Tarcisio Bertone. Il suo compagno di viaggio Briamonte appare invece come l’anello di congiunzione tra due vicende ugualmente scottanti: lo Ior e l’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena. Sarà un caso, ma il 5 marzo, proprio pochi giorni dopo l’incidente di Ciampino, il giovane e rampante avvocato, classe 1977, si è visto perquisire ufficio e casa nel centro di Torino su ordine dei pm senesi che indagano sulle presunte malversazioni al Monte. Briamonte, che è entrato nel consiglio della banca solo 11 mesi fa, non è indagato. L’intervento della procura di Siena in questo caso è legato alla denuncia presentata dagli stessi vertici di Mps per scoprire chi tra i consiglieri abbia passato a due quotidiani la notizia, che doveva restare segreta, dell’avvio di una causa per risarcimento danni contro Deutsche Bank e Nomura.«Sono del tutto tranquillo», ha dichiarato Briamonte il giorno delle perquisizioni. Quelle per cui non ha potuto ripararsi dietro lo scudo del passaporto diplomatico della Santa Sede.
L’avvocato è di casa Oltretevere. A garantire per lui, almeno da principio, era il suo maestro Franzo Grande Stevens che da decenni è in prima fila tra i legali di fiducia della curia papale. Già nel 1993, nel pieno di Mani pulite, quando lo Ior rischia di essere travolto dallo scandalo del riciclaggio della maxitangente Enimont, la regia della difesa vaticana venne affidata a Grande Stevens. Briamonte però ha imparato in fretta a muoversi nelle segrete stanze della Santa Sede dove gode della massima considerazione. Secondo quanto è emerso nei mesi scorsi sarebbe lui l’autore del parere che fornisce allo Ior le basi legali per opporsi alla richiesta dell’Aif (l’Autorità di vigilanza finanziaria vaticana) di informazioni che riguardano operazioni concluse entro il primo aprile del 2011. Da quella data, infatti, entravano in vigore le nuove norme in materia di trasparenza bancaria, adottate dalla Santa Sede per effetto delle pressioni internazionali. Secondo Briamonte, però, quelle regole non avevano validità retroattiva e quindi andavano applicate solo dall’aprile 2011 in avanti.
È questo uno degli snodi centrali dello scontro che ha opposto innovatori e conservatori all’interno della Curia. L’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, forse la vittima più illustre della battaglia, in documenti e colloqui fatti trapelare all’esterno indica proprio in Briamonte uno dei nemici che hanno tramato contro di lui fino a provocarne il clamoroso licenziamento nel maggio 2012. Questa, ovviamente, è la versione di Gotti Tedeschi, a cui il suo presunto nemico non ha mai replicato pubblicamente. Di sicuro la vicenda ha portato sotto i riflettori della cronaca un avvocato noto fino ad allora solo come legale della Juventus e in particolare del suo allenatore, Antonio Conte. Il rapporto con il mondo bianconero si è chiuso bruscamente nell’agosto del 2012. A Briamonte è stata rinfacciata la scelta di chiedere il patteggiamento a tre mesi di squalifica per il tecnico juventino nel processo sportivo per il presunto illecito che risaliva ad anni prima, quando era sulla panchina del Siena. Niente da fare. Conte è stato punito per dieci mesi (poi ridotti a quattro) e Briamonte ha perso l’incarico, con uno strascico di polemiche e porte sbattute.
È stato questo il primo incidente di una carriera a passo di carica. Laureato in giurisprudenza nel 2000, pochi mesi dopo, a soli 24 anni, Briamonte viene chiamato da Grande Stevens come suo assistente personale. Tempo cinque anni e l’enfant prodige è già partner del suo maestro nello studio legale più prestigioso della città, da sempre al servizio degli Agnelli e della Fiat. Fin da subito fioccano gli incarichi nella galassia di società controllate da John Elkann e famiglia. La Juventus, appunto, ma anche la holding Ifil e poi Exor. All’occorrenza, Grande Stevens affida al suo pupillo incarichi meno prestigiosi. E così nel 2008 troviamo Briamonte tra gli amministratori della It holding, capofila del gruppo di abbigliamento Itierre, all’epoca sull’orlo del dissesto. Il giovane avvocato era però stato designato in consiglio su indicazione del socio di minoranza Luigi Giribaldi, il finanziere con base a Montecarlo scomparso pochi mesi fa. Strada facendo Briamonte fa esperienza, conquista spazi e autorevolezza. I nemici (un esercito), ma anche molti amici, lo descrivono come un professionista di straordinaria preparazione che però sempre più spesso ama calarsi nella parte dell’uomo di potere, impegnato a muoversi dietro le quinte per conto dei clienti ma anche in proprio. La passione per le operazioni segrete deve avercela nel sangue, se è vero, come si favoleggia, che il nonno materno era un alto ufficiale del Mossad. Il legame con il mondo ebraico è confermato dal ruolo di socio fondatore della camera di commercio italo-israeliana, ente con base nella sua Torino gestito dal presidente Giuseppe Pichetto e da Itzhak Pakin, uomo d’affari ben conosciuto da Briamonte.
Ambizioso (anche troppo, sussurrano i maligni), l’avvocato esibisce un curriculum da primato. Tra gli incarichi sfoggia anche quello di membro del consiglio di amministrazione dell’Università di Tor Vergata "per decreto rettorale in corso di registrazione". Dall’ateneo romano, però, spiegano che a loro non risulta l’incarico e neppure il decreto. Poco male. Briamonte frequenta da tempo i palazzi del potere. È ospite fisso dei salotti romani che contano. Con gli Agnelli i rapporti si sono più che raffreddati, ma nell’aprile 2012 è arrivata la nomina nel consiglio del Mps (vedi scheda qui sopra). Per questo molti hanno pensato a lui quando nelle settimane scorse hanno cominciato a circolare voci su un possibile ruolo dello Ior nelle malversazioni al centro dell’inchiesta su Mps. Solo voci che per il momento, dopo mesi di indagini, non hanno trovato alcun riscontro. Roma, aeroporto di Ciampino. Una mattina di fine febbraio due passeggeri sbarcano da un aereo privato appena atterrato da Torino. La coppia si avvia verso l’uscita a passo svelto. Pochi minuti e gli agenti della Guardia di Finanza li circondano. Le Fiamme gialle cercano loro. Sì, proprio loro. Roberto Lucchini, un sacerdote, e Michele Briamonte, giovane e brillante avvocato dello studio torinese Grande Stevens nonché consulente legale dello Ior. Lucchini non è un prete qualunque, ma un monsignore, un diplomatico della Santa Sede. I finanzieri hanno un mandato di perquisizione e chiedono alla coppia di consegnare le borse e i documenti in loro possesso. Con gran sorpresa dei militari, Briamonte e Lucchini mostrano il passaporto diplomatico del Vaticano. Come faccia Briamonte non si sa: il documento potrebbe essere un passaporto "di servizio", rilasciato in casi eccezionali dalla segreteria di Stato. Con quel documento (anche se non garantisce l’immunità) Briamonte cerca di non farsi perquisire. Comincia a fare telefonate. La richiesta d’aiuto arriva subito a destinazione. Si muove il Vaticano. Il messaggio è chiaro: «Nessuna perquisizione», in caso contrario l’incidente diplomatico tra Italia e Santa Sede sarebbe inevitabile. Dopo qualche tira e molla, il pressing della segreteria di Stato alla fine ha successo. L’avvocato e il monsignore si tengono strette le borse ed escono dall’aeroporto. Entrambi però sanno bene che la vicenda non si chiude qui.
L’affondo della magistratura, con la tentata perquisizione all’illustre coppia di viaggiatori segnala un salto di qualità nelle indagini della procura romana sugli affari dello Ior, la banca del Vaticano. L’inchiesta aperta a Roma sin dal 2009 si arricchisce così di un nuovo filone. E chissà se papa Francesco, da pochi giorni nel pieno dei suoi poteri, è già stato informato di questa nuova grana. Preti infedeli, banchieri e bancari, perfino malavitosi vicino alla banda della Magliana. Il vaso di Pandora della finanza vaticana riserva sempre nuove sorprese. E adesso al centro dell’attenzione finiscono, loro malgrado, don Lucchini e Briamonte.
Non sappiamo perché i due viaggiassero insieme e quali documenti gli investigatori sperassero di trovare nelle loro valigie. Certo è che il monsignore bloccato a Ciampino viene descritto come un diplomatico di rango, un nome che conta nell’organigramma della segreteria di Stato guidata da Tarcisio Bertone. Il suo compagno di viaggio Briamonte appare invece come l’anello di congiunzione tra due vicende ugualmente scottanti: lo Ior e l’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena. Sarà un caso, ma il 5 marzo, proprio pochi giorni dopo l’incidente di Ciampino, il giovane e rampante avvocato, classe 1977, si è visto perquisire ufficio e casa nel centro di Torino su ordine dei pm senesi che indagano sulle presunte malversazioni al Monte. Briamonte, che è entrato nel consiglio della banca solo 11 mesi fa, non è indagato. L’intervento della procura di Siena in questo caso è legato alla denuncia presentata dagli stessi vertici di Mps per scoprire chi tra i consiglieri abbia passato a due quotidiani la notizia, che doveva restare segreta, dell’avvio di una causa per risarcimento danni contro Deutsche Bank e Nomura.«Sono del tutto tranquillo», ha dichiarato Briamonte il giorno delle perquisizioni. Quelle per cui non ha potuto ripararsi dietro lo scudo del passaporto diplomatico della Santa Sede.
L’avvocato è di casa Oltretevere. A garantire per lui, almeno da principio, era il suo maestro Franzo Grande Stevens che da decenni è in prima fila tra i legali di fiducia della curia papale. Già nel 1993, nel pieno di Mani pulite, quando lo Ior rischia di essere travolto dallo scandalo del riciclaggio della maxitangente Enimont, la regia della difesa vaticana venne affidata a Grande Stevens. Briamonte però ha imparato in fretta a muoversi nelle segrete stanze della Santa Sede dove gode della massima considerazione. Secondo quanto è emerso nei mesi scorsi sarebbe lui l’autore del parere che fornisce allo Ior le basi legali per opporsi alla richiesta dell’Aif (l’Autorità di vigilanza finanziaria vaticana) di informazioni che riguardano operazioni concluse entro il primo aprile del 2011. Da quella data, infatti, entravano in vigore le nuove norme in materia di trasparenza bancaria, adottate dalla Santa Sede per effetto delle pressioni internazionali. Secondo Briamonte, però, quelle regole non avevano validità retroattiva e quindi andavano applicate solo dall’aprile 2011 in avanti.
È questo uno degli snodi centrali dello scontro che ha opposto innovatori e conservatori all’interno della Curia. L’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, forse la vittima più illustre della battaglia, in documenti e colloqui fatti trapelare all’esterno indica proprio in Briamonte uno dei nemici che hanno tramato contro di lui fino a provocarne il clamoroso licenziamento nel maggio 2012. Questa, ovviamente, è la versione di Gotti Tedeschi, a cui il suo presunto nemico non ha mai replicato pubblicamente. Di sicuro la vicenda ha portato sotto i riflettori della cronaca un avvocato noto fino ad allora solo come legale della Juventus e in particolare del suo allenatore, Antonio Conte. Il rapporto con il mondo bianconero si è chiuso bruscamente nell’agosto del 2012. A Briamonte è stata rinfacciata la scelta di chiedere il patteggiamento a tre mesi di squalifica per il tecnico juventino nel processo sportivo per il presunto illecito che risaliva ad anni prima, quando era sulla panchina del Siena. Niente da fare. Conte è stato punito per dieci mesi (poi ridotti a quattro) e Briamonte ha perso l’incarico, con uno strascico di polemiche e porte sbattute.
È stato questo il primo incidente di una carriera a passo di carica. Laureato in giurisprudenza nel 2000, pochi mesi dopo, a soli 24 anni, Briamonte viene chiamato da Grande Stevens come suo assistente personale. Tempo cinque anni e l’enfant prodige è già partner del suo maestro nello studio legale più prestigioso della città, da sempre al servizio degli Agnelli e della Fiat. Fin da subito fioccano gli incarichi nella galassia di società controllate da John Elkann e famiglia. La Juventus, appunto, ma anche la holding Ifil e poi Exor. All’occorrenza, Grande Stevens affida al suo pupillo incarichi meno prestigiosi. E così nel 2008 troviamo Briamonte tra gli amministratori della It holding, capofila del gruppo di abbigliamento Itierre, all’epoca sull’orlo del dissesto. Il giovane avvocato era però stato designato in consiglio su indicazione del socio di minoranza Luigi Giribaldi, il finanziere con base a Montecarlo scomparso pochi mesi fa. Strada facendo Briamonte fa esperienza, conquista spazi e autorevolezza. I nemici (un esercito), ma anche molti amici, lo descrivono come un professionista di straordinaria preparazione che però sempre più spesso ama calarsi nella parte dell’uomo di potere, impegnato a muoversi dietro le quinte per conto dei clienti ma anche in proprio. La passione per le operazioni segrete deve avercela nel sangue, se è vero, come si favoleggia, che il nonno materno era un alto ufficiale del Mossad. Il legame con il mondo ebraico è confermato dal ruolo di socio fondatore della camera di commercio italo-israeliana, ente con base nella sua Torino gestito dal presidente Giuseppe Pichetto e da Itzhak Pakin, uomo d’affari ben conosciuto da Briamonte.
Ambizioso (anche troppo, sussurrano i maligni), l’avvocato esibisce un curriculum da primato. Tra gli incarichi sfoggia anche quello di membro del consiglio di amministrazione dell’Università di Tor Vergata "per decreto rettorale in corso di registrazione". Dall’ateneo romano, però, spiegano che a loro non risulta l’incarico e neppure il decreto. Poco male. Briamonte frequenta da tempo i palazzi del potere. È ospite fisso dei salotti romani che contano. Con gli Agnelli i rapporti si sono più che raffreddati, ma nell’aprile 2012 è arrivata la nomina nel consiglio del Mps (vedi scheda qui sopra). Per questo molti hanno pensato a lui quando nelle settimane scorse hanno cominciato a circolare voci su un possibile ruolo dello Ior nelle malversazioni al centro dell’inchiesta su Mps. Solo voci che per il momento, dopo mesi di indagini, non hanno trovato alcun riscontro.