Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 21 Giovedì calendario

L’ANTIBERLUSCONISMO NON È UNA POLITICA

La politica è, essenzialmente, compromesso e movimento. Per gli ottimisti è anche un gioco. Per i pessimisti è anche una guerra. Prevalga l’una o l’altra ipotesi (gioco o guerra), la politica va affrontata nel modo meno appesantito possibile perché bisogna sempre essere pronti ad aggirare l’avversario, a metterlo di fronte a realtà diverse da quelle che lui si era prefigurato. È con questa identica strategia, del resto, che due pugili si affrontano sul ring. Nella boxe, non c’è dubbio, vince chi ha il pugno risolutivo. Ma è ben messo chi, fino all’ultimo, resta agile sulle gambe e quindi è in grado di scompaginare, con il movimento, gli schemi che l’avversario aveva studiato a tavolino in precedenza.

Da questo punto di vista, lo schema di gioco del segretario del Pd, Bersani, non solo è inutilmente rigido ma anche, in gran parte, incomprensibile. Per formare il governo infatti, Bersani sta facendo gli occhi dolci al M5S, accettando, senza fare una piega, anche le richieste dei grillini che, nel suo recentissimo programma elettorale, erano state da lui aborrite e, ciò nonostante, ricevendo, da parte di Beppe Grillo, delle risposte che sarebbero considerate sanguinosamente offensive da parte di chiunque. Risposte così ulceranti che dovrebbero seppellire ogni desiderio di ulteriore trattativa, ma che invece passano sulla pelle di Bersani come le gocce d’acqua sulle piume delle anatre.

Bersani, mentre ottiene dei vaffa a ripetizione da Grillo, si è chiuso da solo la porta delle trattative (non dico dell’accordo) con il Pdl, che è sì il partito dell’aborrito Berlusconi ma è anche il partito che, con gli alleati, ha raccolto il consenso del 30% degli elettori italiani. Una parte sociale e politica rilevantissima, questa, della quale nessuno che voglia governare può far finta che non esista. Certo, ci si può togliere il pensiero, negando questo fatto. Ma, in tal modo, si entra sul ring per formare il governo con un braccio volontariamente legato dietro le spalle. Il combattimento, a questo punto, finirà per essere, oltre che faticoso, anche squilibrato. E, alla fine, poco produttivo. Sono gli smacchi che si pagano sull’altare del rancido manicheismo ideologico di comodo: di qui gli eletti, di là i reprobi. Come se la realtà fosse questa.