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 2013  marzo 21 Giovedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

NICOSIA
— Palazzi, terreni, quote di società, azioni degli istituti bancari, persino una birreria: non è modesto il patrimonio della chiesa ortodossa cipriota. L’arcivescovo Crisostomo II lo ha messo a disposizione del governo, per salvare le banche e il Paese dal collasso, dopo il “no” alle misure proposte dall’Europa. Il primo ministro Nicos Anastasiades aveva chiesto al leader religioso di sollecitare il patriarca Kirill, a Mosca, perché questi chiedesse al Cremlino almeno una rinegoziazione del prestito russo a Nicosia. Ma l’arcivescovo, che già in gennaio aveva chiesto sostegno a Kirill, stavolta ha preferito prendere sulle spalle la
responsabilità: «Usiamo le nostre proprietà per salvare i bilanci ». Il governo ha preso sul serio la proposta, una commissione sta studiando come metterla in pratica. La strada, probabilmente, sarà quella di ipotecare i beni per acquistare bond governativi.
In un primo momento sembrava che l’offerta di Crisostomo II fosse una proposta parziale, avanzata già martedì sera con il ministro degli Interni Sokratis Haiskos e limitata ai beni già trasferiti nel patrimonio dello Stato dall’arcivescovo Makarios, presidente di Cipro negli anni Settanta. Queste proprietà, scriveva ieri il giornale greco
Ekathimerini,
sono registrate come beni statali ma ancora amministrate dalla chiesa. Il loro valore si aggira sugli 80 milioni di euro. Forse proprio la proporzione tra questa somma e la cifra necessaria per far scattare il piano di aiuti ha fatto scattare un’offerta globale.
Quanto si potrà ricavare dalle proprietà ecclesiastiche non è ancora chiaro, ma il contributo sarà significativo. La Storia ha portato la Chiesa cipriota ad essere il primo possidente terriero del Paese: sotto l’Impero ottomano i cristiani erano discriminati e di fatto non potevano trasmettere i beni immobili in eredità ai figli. La scelta era fra convertirsi all’islam o rinunciare alle proprietà. Decine di piccoli proprietari scelsero la prima via, magari praticando il culto musulmano in pubblico e la fede cristiana in privato. Molti decisero di dare i beni alla chiesa, rispettata dai funzionari imperiali perché considerata anche un’autorità politica.
Questo immenso patrimonio dà ancora frutti: appena ad apri-
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le 2012 l’arcivescovo aveva annunciato all’allora presidente Demetris Christofias investimenti per centinaia di milioni di euro, «perché la gente possa lavorare e la chiesa prosperare». Il piano riguardava banche (la
Hellenic Bank, di cui la chiesa controlla il 25 per cento, la Bank of Cyprus e una quota della Laiki, ora nel mirino di investitori russi), ma anche gas naturale, pannelli solari, e persino una centrale elettrica. Solo pochi giorni fa,
con il giornale economico
Financial Mirror,
l’energico primate proponeva di investire in strutture di lusso per i nord europei, ventilando l’idea di puntare sul turismo medico, mercato che lo stesso religioso stimava
fra i 30 e i 50 miliardi di euro. E visto che c’era Crisostomo suggeriva una risposta per l’Europa, se questa insiste nella linea dura: «Minacciamoli di uscire dall’euro e tornare alla lira cipriota».