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 2013  marzo 19 Martedì calendario

LA STRAGE DIMENTICATA DEI CARABINIERI. ORA NASSIRIYA RINASCE SENZA L’ITALIA —

«Ma perché voi italiani vi state facendo portare via quello che doveva essere vostro? Potevate guadagnare miliardi, tutto sommato ve li eravate meritati. Avete avuto tanti morti e speso un mucchio di dollari quando Nassiriya era solo tensioni, polvere e rovine. Ma adesso, che sarebbe il momento di esserci, non ci siete più. I vostri costi non sono stati affatto proporzionali ai risultati! Un vero spreco!». Le frasi arrivano quasi a ciel sereno. Per i primi minuti dell’intervista, il governatore della regione di Dhi-Qar, Taleb Al-Hassan, ha recitato compassato la parte dell’uomo di governo che riceve l’ospite straniero. Ovviamente ringrazia l’Italia, fa parte del cerimoniale. Ha 64 anni, dal 2008 rappresenta la massima autorità nella regione di Nassiriya, però per una volta ci tiene ad andare oltre alle frasi di circostanza. L’incontro doveva durare il tempo di un breve saluto. L’attende una cena ufficiale, tra un mese si terranno le elezioni provinciali in tutto il Paese. Ma il nostro colloquio proseguirà per un’ora. «Avete contribuito a pacificare la regione subito dopo la guerra del 2003. Anche grazie a voi e ai vostri soldati ora il sud dell’Iraq gode della tranquillità necessaria al rilancio dell’economia. Ma è un vero peccato che al posto vostro ci siano ora ditte turche, francesi, cinesi, sudcoreane, britanniche», rincara la dose.
«Guardate i francesi», aggiunge indicando dall’altra parte dell’Eufrate l’area dove da pochi mesi è stato messo in sicurezza un quartiere di edifici rimodernati. «Per ordine di Parigi hanno aperto un nuovo consolato. Così i nostri uomini d’affari non sono costretti a rischiare la vita sulla via di Bagdad ancora colpita dagli attentati. Il visto lo possono ottenere direttamente qui. La cosa ovviamente facilita anche le ditte francesi». Risultato? Proprio i francesi hanno appena vinto la gara di costruzione per lo stadio cittadino: 95 miliardi di dollari. A loro anche l’appalto per un ponte sull’Eufrate, valore 28 miliardi. Ma qui, come del resto anche a Bagdad e soprattutto nelle regioni curde indipendenti al nord, a fare la parte del leone sono turchi e cinesi. Quasi non c’è palazzo in costruzione o grande opera pubblica che non veda presente una ditta di Istanbul o Ankara. Nell’albergo dove stiamo, lo Al Janub, stanno folti gruppi di ingegneri sudcoreani impegnati alla riabilitazione delle linee elettriche. «C’erano stati contatti con una ditta edile italiana per la ricostruzione di 6 chilometri di sponde sul lungo Eufrate. Un buon affare. In questo momento non ci mancano i soldi. L’Iraq produce oltre 3 milioni di barili di greggio al giorno. Il governo centrale è pronto ad investire con generosità. Però alla fine gli italiani si sono tirati indietro. E non abbiamo capito il perché. Avremmo voluto affidare loro anche la partecipazione alla costruzione di quattro ospedali», commenta il governatore.
Parole che con accenti diversi ritornano di continuo in questa che è stata la capitale dell’impegno italiano in Iraq tra il 2003 e 2006. «Gli italiani? Bravissima gente. Una grande umanità. Persone che sapevano come trattare con i civili. Niente a che vedere con il militarismo aggressivo degli americani. Peccato però che della loro presenza resti poco o nulla. Una memoria distante e forse neppure quella», dicono gli impiegati nell’edificio a tre piani che ospita la Camera di commercio dove si trovava la palazzina della base «Maestrale» sventrata dall’attentato della mattina del 12 novembre 2003. Nulla testimonia di quell’evento. Ci furono 28 morti, 19 italiani e 9 iracheni. Il camion bomba esplose proprio di fronte alla palazzina. Da allora l’impegno italiano si ridusse al lumicino: molti progetti di cooperazione civile furono annullati o diminuiti per motivi di sicurezza. Tra le tante vittime di quell’azione terroristica furono anche le attività per la formazione di un corpo di polizia iracheno a difesa dei siti archeologici. «Fu lo sbando. È ben noto che molti degli agenti iracheni lasciati a loro stessi diventarono tombaroli», ci raccontano alla Camera di commercio. Dall’ambasciata italiana di Bagdad confermano la mancanza di imprenditori a Nassiriya: «Gli italiani sono concentrati specie nelle regioni curde. Dove abbiamo aperto un consolato. Si pensa di avviarne anche uno onorario a Bassora, che non avrà tuttavia l’autorità per concedere visti».
Curioso però che sul luogo della strage non vi sia neppure una targa commemorativa. Non un monumento. Nulla. Come non fosse mai avvenuta. La Camera di commercio è totalmente rifatta. E oggi il vecchio presidente, Abu Zine, l’unica cosa che chiede al governo di Roma sono gli indennizzi per i danni subiti nell’attentato del 2003. Dove invece quella tragica mattina di 10 anni fa stavano parcheggiati i mezzi blu dei carabinieri ora è stata costruita la villa del vice-governatore. Dall’altra parte del fiume il giardino del museo archeologico (ancora chiuso), dove stava la base «Libeccio» con il comando dei carabinieri, ospita da quattro anni un commissariato locale circondato da alti muri di cemento con blindati di guardia alle entrate. Per cercare qualche traccia delle attività italiane andiamo allora all’ospedale provinciale. «Ci furono tante promesse. Ma pochi fatti», dicono al reparto grande ustionati. La palazzina è stata costruita con fondi della Cooperazione. Ma lamentano che è mal fatta: crepe ai muri, plafoniere traballanti, sistema elettrico scadente, fredda d’inverno, un forno d’estate. Al momento tra le sue camere spoglie si consumano dolorose tragedie famigliari molto diffuse in queste regioni. La maggioranza dei ricoverati sono giovani donne che tentano il suicidio dandosi fuoco dopo una lite con il marito, oppure ragazzine che non vogliono andare in spose a lontani parenti spesso tre volte più vecchi della loro età.
Lorenzo Cremonesi