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 2013  marzo 03 Domenica calendario

IL VOTO «COSTA» 17 MILIARDI IN BORSA

Diciassette miliardi di euro in meno di valore delle aziende quotate in Borsa, una «tassa» potenziale da quasi 1,2 miliardi di euro l’anno per le casse dello Stato. La settimana più difficile per i mercati finanziari impone all’Italia un dazio pesante da pagare, oggi e in prospettiva se la situazione ingarbugliata che si è creata all’apertura delle urne non troverà una soluzione rapida e soprattutto non sgradita agli investitori.
Il bilancio è semplice quanto preoccupante, tanto per il debito quanto per le azioni italiane: nel primo caso, il rialzo di circa 30 centesimi subito dai rendimenti dei BTp nell’ultima settimana, sempre che sia confermato e proiettato all’intero anno, potrebbe rappresentare un aggravio appunto superiore al miliardo di euro per il Tesoro tenendo conto delle emissioni complessive di titoli di Stato italiani per 410 miliardi. L’aggravante – e qui è chiara la pressione provocata dallo stallo post-elettorale – è che negli ultimi giorni l’Italia ha perso terreno non soltanto nei confronti della Germania (i cui Bund decennali, favoriti dalla rinnovata rincorsa ai «porti sicuri», hanno addirittura ridotto i rendimenti all’1,41%), ma anche al cospetto della traballante Spagna, visto che lo spread Roma-Madrid (31 punti base) si è più che dimezzato in 5 giorni tornando su livelli che non si vedevano dal maggio scorso.
Sul versante azionario il discorso è simile: con il -3,2% sofferto nelle ultime 5 sedute Piazza Affari ha praticamente ridotto a circa 322 miliardi la capitalizzazione dell’intero listino, 17 miliardi appunto in meno rispetto al venerdì precedente e anche al valore di inizio anno. Nei primi due mesi del 2013, l’indice Ftse Ita All-Share (-3,1%) è l’unico pesantemente in rosso tra i principali dell’Eurozona, che a sua volta però non può sorridere perché arranca rispetto al resto del mondo. Basta infatti uscire soltanto dai confini della moneta unica per trovare rialzi dell’8% a Londra e di oltre l’11% a Zurigo, ed è questo l’altro aspetto rilevante di questi primi due mesi del 2013.
La delusione europea
L’Europa era infatti indicata fra le prime scelte per l’anno a venire negli outlook dei gestori, ma sta largamente deludendo le attese: l’EuroStoxx 50 cede lo 0,7% mentre Wall Street (+7% il Dow Jones) è a caccia dei record storici e Tokyo (+11,7%) in forte ripresa. La correlazione fra l’andamento degli indici europei e quelli mondiali è scesa i minimi dal 2008, e non soltanto perché le disavventure politiche italiane (e spagnole) hanno riportato alla ribalta il tema della sostenibilità del debito pubblico.
A frenare l’Eurozona è ovviamente la crescita, ancora di fatto inesistente nell’area, se si esclude la locomotiva Germania: una stagnazione aggravata ulteriormente dall’apprezzamento registrato a gennaio e per larga parte di febbraio dall’euro (vittima delle politiche ultra-espansive delle banche centrali extraeuropee) che ha sottratto ulteriore competitività alle aziende continentali. «Gli investitori si fanno più prudenti – spiega Giampio Bracchi, presidente della Fondazione Politecnico di Milano – perché in Europa la ripresa resta bloccata e l’economia reale presenta debolezze in prospettiva, come dimostrano gli indicatori Pmi sul settore manifatturiero diffusi venerdì». E a completare il circolo vizioso, in un’Europa che arranca, le politiche di austerity necessarie a risistemare i conti pubblici non fanno altro che deprimere ulteriormente la ripresa e rafforzare indirettamente l’euro.
Esiste però anche il rovescio della medaglia: «In uno scenario simile – osserva ancora Bracchi – il mercato sa riconoscere e dare valore alle società che hanno attività proiettate soprattutto sui mercati internazionali e per questo soffrono in misura più limitata la debolezza dell’Europa». Marchi riconosciuti a livello globale e società che operano nel settore del lusso (con lo sguardo rivolto verso l’Asia, che continua ancora ad avanzare) sono infatti stati in grado di reggere l’urto degli ultimi giorni. Salvatore Ferragamo, Luxottica e Tod’s, che registrano le migliori performance da inizio anno fra le «blue chip» del listino milanese, hanno come denominatore comune la predominante esposizione verso mercati extra-europei. Tra i «vincitori» della settimana nera per l’Italia, schivando le tensioni politiche, ci sono anche loro.