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 2013  marzo 01 Venerdì calendario

UN COMPROMESSO A CINQUE STELLE

Ci sono un paio di settimane per inventarsi un governo. E al momento, pur tra polemiche e incomprensioni, la sola ipotesi di cui si discute è quella di una collaborazione tra Partito democratico e Movimento Cinque stelle. I programmi, su entrambi i fronti, sono poco dettagliati. Ma se Pier Luigi Bersani vuole coinvolgere i grillini dovrà offrire loro qualcosa sui temi qualificanti del movimento: casta, grandi opere, giustizia, redistribuzione del reddito. Il punto di incontro più immediato è sui tagli ai costi della politica: dimezzamento del numero dei parlamentari e taglio ai rimborsi elettorali ai partiti. Sull’economia le intese sono possibili su vari dossier: il reddito di cittadinanza caro a Grillo – una forma di sussidio di disoccupazione da 600 euro per tutti – è tecnicamente possibile, ma richiede una complessa riforma degli ammortizzatori sociali, o il suo costo sale da 5 a 45 miliardi di euro. Il Pd ha le sue proposte in materia, è semplice trovarsi a metà strada. Idem per il patto di stabilità interno dei Comuni, la regola che blocca gli investimenti anche negli enti locali virtuosi. Tutte le forze politiche ne chiedono una revisione, qualcosa si potrà fare. I guai sono maggiori quando si passa ai conti pubblici nazionali: Grillo ha nel programma l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, dell’Irap, l’aumento delle risorse per scuola e sanità. E non indica alcuna fonte di copertura. Il Pd può essere d’accordo, se si trovano i soldi. Il punto di partenza può essere applicare la proposta dei democratici sull’Imu, cioè toglierla a chi paga fino a 500 euro scaricando il peso sui grandi patrimoni immobiliari.

Lo scoglio maggiore, forse insuperabile, è quello del Tav, la linea ad alta velocità e dubbia utilità tra Torino e Lione: molti degli eletti a 5 stelle vengono dal movimento di protesta della Val di Susa, mentre il Pd (piemontese e non solo) si batte da anni a difesa della grande opera. Lì non ci sono compromessi: o si fa o non si fa. Magari si può prendere tempo, in modo tipicamente italiano, creando qualche tavolo o commissione. E intanto si fa il governo.

Reddito di cittadinanza Costa almeno 5 miliardi, ma riforma complessa
Il problema non è di principio, ma pratico: Pd e Movimento 5 stelle hanno idee compatibili sul reddito di cittadinanza, la cosa difficile è realizzarle. Il reddito di cittadinanza non è altro che una forma di ammortizzatore sociale: chi non ha un lavoro, deve poter beneficiare di un minimo di reddito che gli permetta una vita dignitosa. Nella visione grillina, che si ispira ai lavori di Andrea Fumagalli e del Basic Income Network, è una specie di dividendo che spetta al cittadino in quanto titolare di una quota dei beni comuni. Può assumere la forma non di un vero sussidio (che scoraggia dal lavorare), ma di una imposta negativa: se esistono detrazioni e deduzioni – come quelle per i figli a carico – ne deve beneficiare anche chi non paga le tasse perché guadagna troppo poco. Il reddito minimo di cittadinanza, secondo Grillo, ha un costo complessivo che va tra i 20,7 e i 45 miliardi di euro a seconda che si voglia garantire un reddito superiore del 10 o del 20 per cento alla soglia di povertà. L’obiettivo minimo di Grillo è quello di garantire a tutti 7200 euro all’anno, 600 al mese. E nei suoi comizi ribadisce spesso che costerebbe soltanto poco più di 5 miliardi. Miracolo? No, perché il reddito di cittadinanza sostituirebbe tutti gli altri ammortizzatori (cassa integrazione, mobilità, indennità di disoccupazione) che costano circa 15,5 miliardi all’anno. La differenza è appunto di 5.

Si può fare? Non è tanto quindi il costo, il problema, quanto che per introdurre il reddito di cittadinanza bisogna riformare tutto il sistema degli ammortizzatori (e tutti quelli che oggi ricevono più di 600 euro dovrebbero rassegnarsi a incassare meno). Il Pd usa un lessico diverso, ma la sostanza è simile: nei documenti programmatici si parla di un salario minimo per chi non è coperto dai contratti nazionali di lavoro e di “Reddito minimo di inserimento”, che in Italia è già stato sperimentato a livello degli enti locali a partire dal 1998 (la differenza è che questo tipo di sostegno è più orientato al reinserimento nel mercato del lavoro, quello di Grillo è meno condizionato). Ammesso che si risolvano i nodi politici e tecnici, poi bisogna trovare le coperture: i teorici del reddito di cittadinanza evocano una nuova aliquota Irpef al 45 per cento e patrimoniali. Il Pd potrebbe anche dire sì.

Lavoro Modifica (o abolizione?) delle leggi sulla precarietà
Sul tema del lavoro il movimento grillino e il Partito democratico sono molto avari di riferimenti precisi. Per quanto riguarda i Cinque Stelle, nel loro programma è indicato solo un punto specifico, certamente di grande impatto, l’abolizione della “legge Biagi”. La legge 30 del 2002 è considerata la “madre” della flessibilità con la creazione di circa quaranta tipologie contrattuali anche se le aziende ne utilizzano ormai meno di dieci. L’altro grande tema è il ruolo dei sindacati. Grillo, in campagna elettorale, si è lasciato andare a dichiarazioni impegnative sulla fine del ruolo di queste organizzazioni e sul fatto che “si sono eliminati da soli”. Il suo economista di fiducia, Mauro Gallegati, proprio al Fatto, però, ha spiegato che l’affermazione discende dall’idea di voler rendere i lavoratori partecipi degli utili dell’azienda, così non avrebbero più bisogno di un sindacato. Lo stesso Grillo, però, quando ha dovuto spiegare meglio il senso delle proprie dichiarazioni ha attaccato Cgil, Cisl e Uil ma ha difeso i Cobas e la Fiom.

Il Pd ha invece un rapporto organico con la Cgil e il sindacato in generale. Al di là dei programmi si è distinto per l’appoggio dato alla riforma Fornero e quindi per la diluizione dell’articolo 18 che Bersani, in campagna elettorale, ha detto di voler “aggiustare” ampliandone la parte relativa alla flessibilità. Un impegno è stato preso anche in direzione di una legge sulla rappresentanza dopo l’impasse generata dai contratti Fiat.

Si può fare? Sembra difficile che il Pd possa accettare di abrogare la legge Biagi ma questa è stata già ritoccata dalla legge Fornero e quindi si tratta di vedere in che modo questa verrà “aggiustata”. Il M5S non ha pregiudiziali sulla flessibilità a condizione che ci sia un’apertura concreta sul reddito di cittadinanza come protezione universale. Una convergenza si potrebbe trovare sulla legge sulla rappresentanza fortemente sostenuta da Sel e dall Fiom, che alla Camera ha eletto Giorgio Airaudo. Un provvedimento “anti-Marchionne” potrebbe essere apprezzato anche da Grillo. Anche un provvedimento “salva-esodati” avrebbe un consenso ampio.

Tasse Meno Imu e più patrimoniale, incognita Irap
Compromesso non impossibile in materia fiscale, soprattutto quando si arriverà al dunque di scrivere davvero il bilancio dello Stato. Il primo capitolo sarà probabilmente l’Imu sulla prima casa: il M5S ne propone l’abolizione secca, il Pd invece una rimodulazione che sgravi chi ha pagato fino a 500 euro circa e carichi la differenza su chi possiede un patrimonio immobiliare superiore al milione e mezzo di euro di valore catastale, cioè circa tre milioni al valore di mercato (non proprio il “ceto medio”, come sostiene qualche commentatore). Un accordo si può trovare, come pure sulla defiscalizzazione degli utili reinvestiti in azienda e qualche forma di credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Sull’Irap, invece, ci sarà da penare. Il movimento di Grillo – o meglio lui stesso, visto che nel programma ufficiale di questa proposta non c’è traccia – ne ha promesso l’abolizione (35 miliardi l’anno il gettito), una cosa impossibile dentro i meccanismi di bilancio costruiti dagli accordi europei a meno di non procedere a tagli di spesa strutturali – non basta, insomma, non costruire il Tav – che rischiano di peggiorare l’andamento del nostro Pil e costringerci a ulteriori manovre correttive in una continua spirale. La direzione, comunque, è la stessa: ammesso che ci siano le condizioni, anche il Pd ha previsto una graduale diminuzione dell’Irap, anche se preferirebbe iniziare sgravando i redditi da lavoro con un aumento delle detrazioni. Pd e M5S potrebbero poi trovare un accordo su una drastica riforma o l’abolizione secca del redditometro, mentre difficoltà potrebbe incontrare la proposta di Bersani di abbassare il limite per l’uso del contante a cui Grillo si è sempre detto contrarissimo (nel programma, comunque, non c’è).

Si può fare? Come nel caso dei conti pubblici, a cui la materia fisco è legata a filo doppio, non ci sono ostacoli enormi, eppure è difficile al momento data l’estemporaneità delle proposte del movimento sul tema, capire come si comporteranno i parlamentari Cinque stelle. La gradualità e la moderazione, che è la cifra principale della proposta Bersani, potrebbe non soddisfare l’urgenza “rivoluzionaria” dei “cittadini entrati in Parlamento”.

Casta Dimezzare i parlamentari e taglio ai rimborsi ai partiti
Ridurre i costi della politica a ogni livello è un punto delicato per un accordo, ma anche quello dal contenuto simbolico più evidente se davvero Pier Luigi Bersani vuole inviare un segnale al Movimento 5 Stelle e, ancor di più, al suo elettorato. Tra i punti qualificanti del suo governo di scopo, il segretario del Pd avrebbe dunque intenzione di inserire alcune proposte sul tema. Si parte col dimezzamento dei parlamentari: serve una legge costituzionale, quindi da approvare in doppia lettura sia alla Camera che al Senato con maggioranza assoluta e una distanza di almeno tre mesi tra la prima e la seconda votazione (se l’ultima approvazione non raggiunge il sì dei due terzi dei parlamentari, la legge può essere sottoposta a referendum confermativo, senza quorum). Le altre idee del Pd sono meno complesse da applicare: un taglio agli stipendi dei parlamentari (“saranno pagati come un sindaco”) e in generale delle poltrone legate alla politica nelle società controllate da Stato, regioni o enti locali attraverso l’obbligo di accorpamento; una legge sui partiti che garantisca la trasparenza delle loro spese e delle loro fonti di finanziamento; l’incompatibilità tra incarichi elettivi e qualunque altra nomina. Fonti democratiche, infine, annunciano che nel programma breve di Bersani ci sarà anche una “ulteriore riduzione” del finanziamento pubblico ai partiti che, al momento, costa una novantina di milioni l’anno tra elezioni nazionali, locali e contributo diretto reintrodotto con la riforma del 2012.

Si può fare? Probabilmente il M5S non direbbe no a queste proposte, ma di certo le sue sono assai più radicali. I rimborsi elettorali, ad esempio, il movimento di Beppe Grillo li vuole abolire del tutto, non ridurli (il Pd, invece, ritiene che senza il contributo della fiscalità generale si tornerà a una politica fatta solo dai ricchi). Pure sulle Province c’è un punto di frizione: i Cinque Stelle sono per l’abolizione secca – ma esagerano assai sui risparmi ottenibili – mentre il Pd vorrebbe sostanzialmente proseguire con più radicalità sulla strada di Monti (accorpamento e declassamento a “istituzioni di secondo livello”). La seconda strada ha il vantaggio che non necessita di una legge costituzionale.

Grandi Opere Il difficile sacrificio del Tav a Torino (e niente Ponte)
Al netto di tutti i dubbi politici e istituzionali, c’è una enorme differenza tra il programma del Pd e quello del Movimento 5 stelle: il Tav, la linea ad alta velocità e alta capacità tra Torino e Lione. Anche nella sua versione low cost attuale richiede almeno 8 miliardi di euro, per non parlare dell’impatto ambientale che preoccupa i residenti assai più che l’effetto sulla finanza pubblica. Beppe Grillo ha raccolto consensi massicci proprio nelle zone della protesta da cui è venuta anche una folta pattuglia di parlamentari, cresciuti politicamente proprio nel movimento di protesta No Tav. Il Pd, invece, pur con qualche sfumatura ha sempre difeso l’opera, anche in assenza di studi o simulazioni che ne giustifichino la realizzazione. Alcuni parlamentari piemontesi del Pd sono anche andati in Francia a difendere il Tav dopo le obiezioni della Corte dei conti francese. La base di Grillo non potrebbe tollerare alcun cedimento su questo punto, neppure in cambio delle più feroci misure anti-casta.

Anche perché il Tav è ormai anche un simbolo, una filosofia. Dire no al Tav significa bocciare anche il Terzo Valico tra Genova e Tortona (altri 6 miliardi), considerato altrettanto inutile e pericoloso dai grillini. Oggi poi dovrebbe andare in liquidazione la Stretto di Messina spa, archiviando il progetto assurdo e faraonico del ponte voluto da Berlusconi. Ci sarà da gestire il nodo delle penali, ma almeno questo dossier dovrebbe essere superato. Altro tema tabù rischia di essere l’Ilva: dovendo scegliere, il Pd si è schierato con il governo Monti, ha ricandidato un deputato in buoni rapporti con l’azienda (Vico) scaricando l’ambientalista Della Seta. Grillo non ha ricette precise sullo stabilimento, ma pretende che tutti i costi di riqualificazione siano a carico della famiglia Riva , fino a espropriarli. Solo a quel punto interverrebbe lo Stato.

Si può fare? In realtà la filosofia del Pd e del M5s sulle infrastrutture sarebbero compatibili: basta grandi opere costosissime che danno benefici sull’occupazione in decenni. Meglio manutenzione di quello che c’è e riqualificazione, si spende meno e si crea lavoro subito. Però il Pd non transige sul Tav. Forse, visti gli attuali rapporti di forza, però Bersani potrebbe sacrificare la parte piemontese del partito in nome dell’accordo programmatico con Grillo.

Conti pubblici Comuni e patto di stabilità interno , ma c’è il nodo dell’Europa
Gestione e intervento sui conti pubblici sono il problema fondamentale per ogni governo ed è difficile dire quale potrebbe essere il rapporto tra Pd e Movimento 5 Stelle su questo punto. Intanto c’è un problema filosofico. Il partito di Pier Luigi Bersani è europeista fino all’autolesionismo e intende comunque rispettare tutti gli impegni assunti a Bruxelles col Fiscal compact (pareggio di bilancio immediato, percorso di riduzione del debito al 60% del Pil a partire dal 2015), anche se – com’è probabile – le sue proposte di riforma del Patto di Stabilità venissero respinte dai partner europei. Il M5S, al contrario, parla di referendum sull’euro (e Grillo, ma solo qualche volta, di uscita) e di una non meglio precisata “riforma” dell’Europa. In realtà, sulle linee generali da tenere in contabilità pubblica ci sarebbero meno problemi di quanti se ne immaginino visto che entrambi sembrano condividere la stessa visione della crisi: il problema italiano è la spesa pubblica “improduttiva” e l’alto debito che ne consegue. Un punto di contatto, per di più, potrebbe riguardare il cosiddetto Patto di stabilità interno, quello che riguarda regioni ed enti locali: negli ultimi anni è stato talmente irrigidito che molti comuni non possono spendere soldi che hanno già in cassa per non incidere sul deficit annuale programmato a Roma. La sua riforma è uno dei punti programmatici qualificanti del Pd e potrebbe piacere anche al M5S, che è assai attento alla politica locale.

Si può fare? Sì, ma probabilmente solo per poco tempo. Nessuno è in grado di prevedere come reagirebbe la base M5S – e dunque il suo gruppo parlamentare – se il combinato disposto tra impegni di bilancio imposti dall’Ue e recessione costringesse il futuro governo ad una di quelle manovre che si definiscono “lacrime e sangue” per la quale non basterebbe certo il taglio degli stipendi dei parlamentari o delle pensioni d’oro. Di certo sui temi macro, il movimento di Grillo è un po’ vago (ad esempio, “riduzione del debito pubblico con il taglio degli sprechi e l’introduzione di nuove tecnologie”). Ma questo può anche significare una certa libertà di manovra rispetto alle promesse elettorali.

Imprese Beni comuni e nazionalizzazione del Monte Paschi
Molte cose nei programmi di 5 Stelle e Pd sono vaghe. Ma a grandi linee il Pd propone più liberalizzazioni (non si sa bene quali, si immagina nei servizi) e una riforma degli incentivi alle imprese che favorisca l’innovazione. Grillo chiede invece un maggior ruolo dello Stato soprattutto nei servizi pubblici locali, a cominciare dall’acqua, anche eliminando la messa a gara dei servizi per ridurre il peso dei privati. Il movimento ha anche drastiche ricette di mercato per le grandi imprese: no a incroci azionari tra banche e imprese industriali, difesa (anche con misure protezionistiche, par di capire) delle aziende del made in Italy e dell’agricoltura, introduzione di una vera class action riducendo il ruolo o abolendo proprio le autorità di vigilanza come la Consob. Il Pd non ha mai neppure ipotizzato qualcosa di simile, anzi, nell’approccio democratico le authority vanno rafforzate e il sostegno alle imprese passa soprattutto per la leva fiscale, con i crediti di imposta. Poi c’è il caso Monte Paschi: Grillo ha una posizione molto netta, chiede la nazionalizzazione immediata, cacciando gli attuali manager. Bersani traccheggia, ma anche nel Pd molti sanno che la banca non potrà ripagare i Monti bond (3,9 miliardi). Quindi il problema, prima o dopo, va affrontato.

Si può fare? Le posizioni di partenza sono molto distanti. Però qualche compromesso è possibile: Grillo chiede sostegno alla green economy, cioè alle imprese che operano nel settore delle energie rinnovabili (pesantemente sussidiato in questi anni, senza grandi risultati in termini di occupazione e innovazione). Nonostante la recente riforma degli incentivi all’energia verde che ha ridotto i sussidi, Bersani e il Pd potrebbero declinare la loro riforma degli incentivi in modo da favorire le imprese più green. E se le liberalizzazioni riguardassero anche settori fondamentali per Grillo, banche e grandi imprese, i 5 stelle potrebbero anche approvare nuove “lenzuolate” di provvedimenti bersaniani. Più difficile immaginare una convergenza sul ruolo delle authority. Entrambi gli schieramenti mancano di idee forti sull’industria, a cominciare dal caso Fiat.

Corruzione e conflitto di interessi anti-B. e contro gli intrecci di poltrone
La legalità e il conflitto di interessi sono i temi su cui il rapporto tra Bersani che tenta l’azzardo del governo di minoranza e il Movimento 5 Stelle potrebbe dare i frutti migliori. Il segretario del Pd ha già annunciato tanto in campagna elettorale che nel-l’ultima conferenza stampa alcune misure che intende proporre da subito: nei primi tre mesi dovrebbero arrivare in Parlamento per essere discusse una legge più dura contro la corruzione (con l’introduzione, ad esempio, del reato di auto riciclaggio), una sul voto di scambio politico-mafioso e l’incandidabilità, una che garantisca maggiore trasparenza sugli appalti. Bersani punta anche su due interventi che di sicuro faranno infuriare Silvio Berlusconi e il Pdl. Il primo è la cancellazione della legge del Cavaliere sul falso in bilancio (che lo aveva depenalizzato) come di altre norme ad personam, tipo la ex Cirielli. Il secondo ddl, invece, è la nuova legge sul conflitto di interessi che scatenerebbe la guerra totale col centrodestra: due diverse norme, una antitrust (“cioè contro le concentrazioni”), la seconda “una legge severa sulle incompatibilità”, ovvero decidere quali incroci di posizioni, patrimoni e cariche pubbliche e private sono vietati. Questo è, in sostanza, il provvedimento che potrebbe impedire a Berlusconi – o a qualcuno con le sue caratteristiche – di candidarsi alle prossime politiche.

Si può fare? Difficile che ci siano problemi su questo punto se Bersani farà seguire i fatti alle parole. Anzi, il Movimento 5 Stelle potrebbe introdurre nel pacchetto “conflitti di interesse” alcune misure inserite nel suo programma e che l’attuale gruppo dirigente del Pd potrebbe facilmente appoggiare. Si tratta, ad esempio, della vigilanza sugli incroci tra sistema bancario e industriale, delle norme sulle “scatole cinesi” in Borsa con cui capitalisti senza capitali controllano le grandi imprese italiane, di un più deciso divieto sugli incroci di poltrone tra società diverse, dell’introduzione di una legge che consenta davvero ai cittadini di intentare una class action contro un’azienda scorretta. In questo contesto potrebbe passare anche la proposta più hard per un paese col nostro recente passato: “Le frequenze tv vanno assegnate attraverso un’asta pubblica ogni cinque anni”.