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 2013  marzo 03 Domenica calendario

LA STORIA DI CELLINO CHE NON VOLEVA USCIRE DAL CARCERE —

Massimo Cellino proprio non voleva saperne di andar via dal carcere. Difficile per lui ammainare la bandiera dell’orgoglio («Uscirò di qui soltanto da uomo libero» aveva giurato) e soffocare la debordante ossessione per la scaramanzia: «Preferivo star qui a Buoncammino, almeno fino a domani, perché così ero certo che il Cagliari avrebbe vinto per la terza volta» ha detto serio al suo avvocato Benedetto Ballero.
Credere o non credere, il Cagliari non perde da due mesi, esattamente da quando sulla testa del suo presidente si è abbattuta la tegola della storia di Is Arenas, lo stadio che i magistrati sostengono essere stato costruito con fondi pubblici destinati ad aree vicine al Molentargius, lo stagno dove svernano i fenicotteri rosa. Orgoglio e superstizione: «Sono uscito dal carcere contro la mia volontà» ha ripetuto ancora, arrivando nella masseria di Terramanna, fra Villamassargia e Domusnovas, vicino a Iglesias, agli arresti domiciliari. «Qui è molto peggio che in galera. Non c’è nessuno, ci abita soltanto il custode e io sono l’unico ospite». Terramanna è una grande azienda agricola, un tempo appartenuta ad Angelo Corsi, leggendaria figura di socialista, più volte parlamentare, amico di Giuseppe Saragat. La famiglia Corsi l’ha donata alla città di Iglesias e la cooperativa San Lorenzo ha recuperato masseria e terreni incolti, ora a disposizione di detenuti soggetti a misure alternative al carcere.
Trenta camere, desolatamente vuote. Una fortuna per i magistrati che proprio non sapevano che fare dell’ostinato Cellino: «Io — ripeteva — di qui non mi muovo». Ultime ore concitate, quasi una commedia dell’assurdo. Un detenuto che vuole rimanere in prigione? Quasi mai accaduto. Generalmente gli avvocati si danno da fare per far uscire i loro clienti, invece Cellino aveva ingiunto ai suoi legali: «Non azzardatevi a chiedere i domiciliari!». Infatti quando l’avvocato Giovanni Cocco ieri è andato a portargli la (buona?) notizia (il Tribunale del riesame aveva disposto che poteva tornare a casa) lui non ha neanche voluto riceverlo. E la storia si è complicata. Quale casa? Già, perché il presidente del Cagliari non ha residenza in Sardegna: da anni ha trasferito affari e domicilio in Florida, a Miami. E a Cagliari la villa dove abita la moglie non è ritenuta «adatta» come pure il centro sportivo di Assemini, la «casa» del Cagliari calcio: «Isolamento a rischio, ci passa troppa gente».
Ore frenetiche. Con i magistrati, pur di trovare un luogo «idoneo», disposti a mandare l’ostinato Cellino in convento. Ma quale? A Cagliari ci sono i francescani di Fra’ Ignazio. Escluso: «Centinaia di fedeli ogni giorno, un porto di mare». Meglio una comunità. Ma intanto venerdì è andato, con Cellino ancora in prigione. Ieri, infine, la soluzione: ok per la masseria Terramanna.
A questo punto si trattava di far sloggiare il presidente del Cagliari da Buoncammino. Primo no a padre Massimiliano Sira, cappellano del carcere: «Voglio rimanere qui, almeno fino a domani. Assistere alla messa e poi c’è la partita col Bologna...». Fede e scaramanzia, così è Massimo Cellino, il presidente che ha collezionato un’incredibile sfilza di aneddoti (più o meno veri, ma tutti verosimili): si sfila una lacrima e la lancia contro il giocatore della squadra avversaria che sta per calciare un rigore. Mai vorrebbe giocare una partita il giorno 17 (cancellato dalla tribuna main, dove c’è un posto numero 16 e un posto 16 bis) e proprio quando è costretto invita i tifosi ad andare allo stadio «con qualcosa di viola, perché due sfortune si elidono e fanno fortuna» (in duemila eseguono). È il presidente che fa acquistare tre panini alla mortadella «perché così col Siena facciamo tre gol» (e fu così!); e alla vigilia di una partita con l’Udinese, con il Cagliari a 16 punti in classifica, negli spogliatoi non chiede di vincere. Dice soltanto: «Mi raccomando, niente pareggio...». E che prima di ogni partita e dopo ogni gol del Cagliari bacia l’immaginetta di fra Nazzareno, che porta sempre con sé. Ce l’aveva anche ieri quando gli agenti di custodia, tifosi del Cagliari e però inflessibili, con in mano l’ordinanza del magistrato si sono affacciati alla sua cella: «Su, presidente, ci segua. Se non viene con le sue gambe, dobbiamo portarla via noi».
Alberto Pinna