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 2012  dicembre 03 Lunedì calendario

Anno IX – Quattrocentocinquantatreesima settimana Primarie Bersani ha vinto le primarie del centro-sinistra battendo Renzi per 61 a 39 (cioè, il 61 per cento dei voti a lui, il 39 a Renzi)

Anno IX – Quattrocentocinquantatreesima settimana

Primarie Bersani ha vinto le primarie del centro-sinistra battendo Renzi per 61 a 39 (cioè, il 61 per cento dei voti a lui, il 39 a Renzi). È andata al seggio un 10-15% di gente in meno, l’apparato democratico ha fatto muro contro quelli che volevano votare nonostante la domenica prima non si fossero presentati, dopo la sconfitta Renzi ha annunciato che non ci saranno ricorsi né contestazioni e insomma l’atmosfera sorridente che ha caratterizzato tutto il periodo delle competizione – con due dibattiti tv di grande successo - non verrà guastata dalle carte da bollo.

Sinistra «Ho finalmente fatto una cosa di sinistra: ho perso» (Renzi, a commento del risultato).

Scenari Il Pd andrà dunque alle elezioni avendo Bersani come candidato-prenier e le probabilità che alla fine Bersani entri effettivamente a Palazzo Chigi sono a questo punto piuttosto alte. Gli aficionados di Monti – cioè Casini, Fini e Montezemolo – godono, in base ai sondaggi, di una forza elettorale piuttosto scarsa, qualcosa che non arriva, nell’insieme, al 9%. Monti ha poi da calcolar bene la convenienza a schierarsi ufficialmente o a permettere che si adoperi il suo nome in qualche lista di bei nomi: uno dei suoi punti di forza è la terzietà, cioè la non-appartenenza a nessuno degli schieramenti in lizza. Questa caratteristica potrebbe risultare indispensabile, a un certo punto, per farlo eventualmente rientrare nel gioco. Resta sempre la possibilità che Bersani, una volta premier, lo imbarchi come ministro dell’Economia, o magari come ministro degli Esteri (o magari tutt’e due le cose). Sempre che Monti non succeda a Napolitano al Quirinale. L’altra questione aperta riguarda Renzi e il suo 40%. Bersani deve in qualche modo conciliarla e Renzi gli ha reso la vita più facile comunicando che non vuole creare una corrente (o una «correntina»). L’esito più probabile è questo: che l’ingresso di Bersani a Palazzo Chigi sia seguito da un congresso straordinario del Pd nel quale Renzi potrebbe diventare segretario del partito. Intanto, sulla scia di un’intesa tra i due finalisti delle primarie, appare pressoché inevitabile la rottamazione effettiva di tutta la vecchia classe dirigente democratica, non solo i D’Alema e i Veltroni che si sono saggiamente già sfilati, ma anche i Fioroni, le Bindi, i Letta, i Franceschini, le Finocchiaro. La Bindi, che durante le primarie ha avuto scambi con Renzi assai pepati, ha comunicato il giorno dopo: «Mi rimetto alle decisioni del partito».

Twitter Tra i commenti captati su Twitter: «È come a Sanremo. Quello che vende più dischi è il secondo arrivato».

Sallusti La vicenda Sallusti, il direttore del “Giornale” condannato per diffamazione a 14 mesi di carcere senza condizionale, ha avuto un epilogo tempestoso (se si tratta di un epilogo). Prima di tutto: il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, ha deciso di sua iniziativa che sarebbe stato opportuno far passare al giornalista i 14 mesi della condanna non in cella ma a casa. Già questo atto, a cui si è opposto subito lo stesso Sallusti (il quale vuole finire in galera per far sentire ai magistrati tutto il peso delle loro sentenze ritenute aberranti), ha provocato una mezza rivolta in Procura: giudici e avvocati hanno fatto sapere che, ove il giudice di sorveglianza competente per la lettera S accogliesse veramente l’istanza del procuratore, pioverebbero sulla scrivania di Bruti Liberati centinaia di richieste di detenzione domiciliare inoltrate da poveri cristi che si trovano condannati allo stesso modo di Sallusti senza avere il suo pedigree. Lo stesso “Giornale”, coerente con la posizione del suo direttore, ha sostenuto con forza questa linea. Esauriti dunque tutti i rinvii e le pause, la mattina di sabato 1° dicembre la polizia s’è presentata in via Negri, sede del “Giornale”, e ha preso in consegna Sallusti trasferendolo nella casa della sua compagna Daniela Santanché, scelta dal giornalista come luogo della sua detenzione domiciliare (è qui del resto che normalmente vive). Appena chiusa la porta, però, il direttore è tornato in via Negri e a questo punto è venuto a riprenderlo la Digos, che l’ha portato davanti a un giudice, il quale ha confermato l’arresto e ha fissato per il 6 dicembre la prima udienza di un nuovo processo in cui il giornalista sarà giudicato per evasione (rischia da uno a tre anni). Poiché il Senato non riesce ad approvare una legge decente che risolva il caso per la via maestra (i senatori, specie quelli del centro-destra, si sono scatenati nell’elaborare una serie di norme che definire vendicative è poco), Napolitano sta pensando di intervenire con un provvedimento di grazia. Che sarebbe però, anche questo, frutto di una sua iniziativa autonoma, dato che Sallusti non intende chiedere clemenza a nessuno. Non è neanche certo che il Capo dello Stato, in assenza di una domanda formale del condannato o di un suo familiare, possa agire con un motu proprio.

Marchini Alfio Marchini, imprenditore, 47 anni, bello come e più di Ridge, sposato con tre figli, si candiderà a sindaco di Roma con una lista civica. «È il primo passo per la costruzione di un movimento metropolitano». Promette di vendere tutte le sue attività («due mestieri non li so fare»), non ha votato alle primarie, promette che non farà il gioco del suo amico Caltagirone: «A Roma servono ristrutturazione, manutenzione straordinaria e ordinaria, non nuove case».

Tg1 Mario Orfeo, già direttore del “Messaggero”, è il nuovo direttore del Tg1. Scelto dal direttore generale Gubitosi dopo un serrato testa e testa con Marcello Sorgi. La redazione, capeggiata dal duo Busi-Ferrario, ha impedito la nomina del primo direttore donna, Monica Maggioni, rea di aver firmato a suo tempo un documento a favore dell’ex direttore berlusconiano Augusto Minzolini. Sul nome di Orfeo il cda della Rai s’è spaccato: cinque voti a favore, quattro contro.

Ilva Venerdì scorso il consiglio dei ministri ha emanato un decreto legge in forza del quale l’Ilva deve bonificarsi ma tornando a produrre. In pratica, il governo ha tolto di forza il sequestro all’acciaieria che era stato imposto dalla giudice Patrizia Todisco, convinta che si debba chiudere la fabbrica senza tener conto dei 20.000 posti di lavoro, bonificare e solo al termine della bonifica ricominciare a produrre. La Procura di Taranto, del tutto solidale con il suo gip, solleverà conflitto d’attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Intanto, contro l’Ilva, sono partite 148 cause che chiedono risarcimenti, per i danni da inquinamento e deprezzamento delle abitazioni, per complessivi 9 milioni di euro. Il sito ambientalista Peacelink calcola che il valore potenziale dei risarcimenti di tutta la zona è pari sei miliardi.

Palestina L’assemblea dell’Onu ha riconosciuto alla Palestina la qualifica di “Stato osservatore non membro”, atto che il leader dell’Olp Abu Mazen ha definito «certificato di nascita del nostro paese». Si parla qui della Palestina di Cisgiordania, dove governano, appunto, i moderati del Fatah e da dove in genere non si sparano razzi verso le città israeliane. Tel Aviv ha tuttavia risposto con durezza a questo importante successo diplomatico dei suoi avversari, autorizzando tremila nuovi insediamenti di coloni in Cisgiordania (sulla strada che collega Maale Adumim a Gerusalemme) e minacciando di trattenere per sé le tasse pagate dai suoi cittadini arabi che di solito vengono girate alla Cisgiordania. Il premier israeliano Netanyahu giudica il voto dell’Onu una violazione dei trattati di Oslo. Inoltre: mantenendo la linea dura è sicuro di avere più probabilità nelle elezioni politiche che si terranno a gennaio. Polemiche, soprattutto dal centro-destra, perché l’Italia, innovando una politica estera da molti anni appiattita sul punto di vista di Tel Aviv, ha votato a favore del riconoscimento palestinese.