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 2013  marzo 02 Sabato calendario

IMPULSI ELETTRICI A DISTANZA, COSì COMUNICANO I RATTI TELEPATICI

Hanno un vago sapore di fantascienza gli esperimenti fatti su ratti i cui cervelli comunicano per via telematica riportati di recente dalla rivista Journal of Scientific Reports e rimbalzati sul Financial Times, ma a pensarci bene non c’è niente di misterioso. Si tratta di mettere in comunicazione il cervello di due ratti, uno chiamato encoder, codificatore, l’altro chiamato decoder, decodificatore. La comunicazione avviene ovviamente per via elettronica, dopo che un microscopico elettrodo preleva un segnale elettrico dal cervello del primo ratto e l’informazione viene poi immessa nel cervello del secondo ratto attraverso un altro elettrodo. In sostanza, la coppia tende a comportarsi come un ratto solo, anche se i due non si vedono o sono addirittura separati da chilometri e chilometri. Tendono a comportarsi come un solo ratto nel senso che il secondo «impara» qualcosa dal primo, e si comporta come se sapesse cose che non sa, ma che il primo sa.
Se si addestra per esempio il primo ad abbassare una leva per avere un premio, un sorso d’acqua, dopo un po’ di prove il secondo farà lo stesso anche se non è stato addestrato. Non lo farà sempre con sicurezza, ovviamente, ma con una buona probabilità, per esempio il 70% delle volte. Da notare che le prestazioni migliorano se la comunicazione è «a due vie», se parte del segnale cerebrale del secondo ratto viene cioè a sua volta immesso nel cervello del primo.
Detta così la cosa fa un po’ effetto, ma non fa altro che dimostrare cose che già sappiamo e che sono già state utilizzate nella clinica. Il punto centrale è che il cervello, come tutto il sistema nervoso, non fa altro che emettere segnali elettrici. Questi possono essere trasmessi, amplificati, filtrati, rigirati, e immessi di nuovo nelle cellule nervose. Così si può aprire una finestra «con il pensiero», oppure muovere un arto che altrimenti non si muoverebbe. Siamo qui nel campo della Bmi, brain machine interface, che tante speranze ha sollevato nel trattamento di pazienti paralitici.
Il fatto è che alcuni non credono che sia così, non credono cioè che le cellule del cervello si limitino a emettere segnali elettrici, e si stupiscono dei risultati di esperimenti del genere. Ma si dovranno rassegnare: la natura è di gran lunga più semplice di come noi siamo portati a immaginarla.
Ho parlato di vago sapore fantascientifico di esperimenti del genere. Perché? Perché possiamo immaginare estese reti di cervelli, di ratto o di altro animale, che si comportino come supercervelli, supercervelli spesso invocati in opere di fantascienza. Occorre però pensare che, mutatis mutandis, anche l’umanità nella sua evoluzione culturale si è comportata e si comporta un po’ come un supercervello, senza elettrodi o cavi elettrici, ovviamente, ma semplicemente con la trasmissione delle informazioni da una persona all’altra, a volte attraverso le generazioni.
C’è un ultimo aspetto, abbastanza eccitante, in alcuni degli esperimenti riportati. Alcuni ratti hanno cominciato a comportarsi come se avessero i baffi degli altri.
Sembra uno scherzo, ma può essere l’inizio di una coscienza condivisa, di un io corporeo collettivo. E questo veramente sa di fantascienza, ma è realtà: sapere le stesse cose prefigura l’inizio di una condivisione dell’io corporeo, cioè della coscienza di sé. Meno male che sono ratti!