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 2013  marzo 01 Venerdì calendario

THYSSEN, NON FU OMICIDIO VOLONTARIO

Per opposte ragioni accusa e difesa faranno ricorso contro la sentenza d’appello sul terribile rogo nella notte del 6 dicembre 2007 che portò via le vite nel fuoco di Antonio Schiavone e, uno dopo l’altro, consumati dalle gravissime ustioni, di cinque suoi compagni di lavoro e del capoturno nello stabilimento torinese della ThyssenKrupp: Rocco Marzo, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rosario Rodinò, Bruno Santino e Roberto Scola.

La loro morte si è tradotta in una delle più grandi tragedie sul lavoro degli ultimi decenni in Italia e anche per questo motivo il processo torinese è tornato sotto i riflettori nel giorno della sentenza, ieri, appena dopo che il presidente della Corte d’Assise d’appello ne ha letto il dispositivo introducendolo con le parole «in parziale riforma dell’appellata sentenza» che hanno anticipato di un soffio il senso della nuova decisione: sparisce la condanna per omicidio volontario con dolo eventuale a carico dell’allora amministratore delegato di ThyssenKrupp Italia, l’ingegnere tedesco Herald Hespenhahn. Ed è la maggiore novità. Di conseguenza la pena scende per lui da 16 anni e mezzo a 10 per il reato di omicidio colposo plurimo con l’aggravante della «colpa cosciente».

Ai familiari delle vittime è parsa una caduta verticale, per tipo di condanna ed entità della pena. Soprattutto alcune madri e sorelle delle vittime hanno inveito a lungo nella grande maxi-aula gremita di folla prima di lasciarla, a quattro ore dalla lettura della sentenza. Il dolo eventuale significava che l’ad aveva messo in conto la morte dei suoi dipendenti pur di non investire in sicurezza e risparmiare 800 mila euro in vista del trasferimento della linea 5, ora dissequestrata, nello stabilimento di Terni. La condanna per colpa cosciente è a mezza strada: gli otto giudici di appello hanno stabilito che Espenhahn era consapevole dello stato di abbandono dell’acciaieria torinese di cui si protraeva la chiusura da tempo, vi aveva previsto incidenti ma riteneva che fossero evitabili.

Sulla riduzione della sua pena e di quelle degli altri cinque imputati - 9 anni a Daniele Moroni, 8,6 a Raffaele Salerno, 8 a Cosimo Cafueri, 7 a testa ai due del board Marco Pucci e Gerald Priegnitz - incidono altri meccanismi giuridici: in primo luogo l’assorbimento del reato di incendio doloso a carico dell’ad (diventato colposo) in quello di omissioni dolose di norme antinfortunistiche (la parte dell’impianto della sentenza di primo grado che ha retto). Poi, il replicarsi del medesimo meccanismo di assorbimento di un reato in un altro e il riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ha consentito di quasi dimezzare le pene per altri coimputati, condannati in primo grado in quattro a 13 anni e mezzo di carcere.

Soprattutto la decisione di assorbire un reato autonomo in un altro fa pensare – si teme in procura - a possibili riflessi di questo tipo sulla sentenza Eternit d’appello prevista in estate. Vero che il caso ThyssenKrupp è stato deciso anche in secondo grado da una Corte d’Assise, ma in questo caso i giudici popolari sembrano essersi allineati a quelli togati.

Il risarcimento dei familiari delle vittime e prima del processo d’appello di tutte le altre parti civili (tranne Medicina democratica che si è vista dimezzare i 100 mila euro ottenuti in primo grado), per l’ammontare complessivo di 20 milioni di euro, è stato ritenuto decisivo dai nuovi giudici per ridurre le pene agli imputati. Laura Longo e Francesca Traverso, applicate con Raffaele Guariniello dalla Procura Generale per sostenere l’accusa, sono convinte della correttezza della contestazione di omicidio volontario con dolo eventuale: «Un’acciaieria è stata abbandonata a se stessa consapevolmente e volontariamente». Ritengono pure che le nuove pene «non siano proporzionate alla gravità dei fatti». «Si è trattato di una strage sul lavoro - fa loro eco il sopravvissuto della tragedia, Antonio Boccuzzi, eletto senatore con il Pd – Sono profondamente deluso dalla sentenza».

GUARINIELLO: "DIECI ANNI SONO TANTI UN GIORNO ANDRANNO IN PRIGIONE" -
Alla fine non si trattiene: «Se puntavamo sulla colpa non uscivamo dal processo d’appello con una condanna a 10 anni dell’amministratore delegato».

Dottor Guariniello, pochi giorni fa ha dichiarato pubblicamente che questo sarebbe stato il suo penultimo dibattimento eppure si è appena impegnato con i familiari delle vittime a sostenerne le ragioni anche in Cassazione. Non lascerà la toga?

«Verissimo. Mi sono impegnato. La sentenza mi gioca in due modi: da un lato, mi spinge ad insistere il fatto che il governo non cambia questa organizzazione giudiziaria: in troppe regioni non si fanno processi per infortuni sul lavoro e malattie professionali. Poi, la sentenza Thyssen-Krupp, comunque la si voglia considerare criticamente, mi incoraggia ad andare avanti e a proseguire i nostri ragionamenti sulla correttezza del dolo eventuale anche in Cassazione».

Nel corso della sua requisitoria ha indicato 445 sentenze di Cassazione sull’omicidio volontario con dolo eventuale. Ritiene che a Roma sarà più ascoltato?

«Il profilo giuridico del dolo eventuale permane come grande novità. L’abbiamo contestato perché c’erano tutti gli elementi per farlo nel caso esemplare di un’acciaieria abbandonata senza sicurezza pur avendovi proseguito la produzione. Insisteremo e non perché l’ho promesso ai familiari delle vittime. Ci credo, ci crediamo».

È stato il solo rappresentante dell’accusa ad aver visto, ieri, il bicchiere mezzo pieno.

«Dobbiamo ragionare con freddezza: non abbiamo avuto la risposta che ci attendevamo in termini giuridici, ma rispetto alla pena comminata ad Espenhahn osservo che 10 anni di carcere non sono affatto pochi per un amministratore delegato. La Corte d’Assise d’appello ha risposto alla mia ultima domanda in sede di repliche: quanto vale la vita di un lavoratore? La sanzione fotografa il giudizio che si dà. Se i giudici hanno scelto questa pena significa che hanno compreso la gravità del fatto».

Insomma, è realista?

«Ricordo un procuratore generale degli Anni 70. In occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario ebbe a definire gli incidenti sul lavoro “fatalità”. Da allora al 2013 si è arrivati a 10 anni di condanna del vertice di una grande azienda. E nessuno coglie che sono state confermate da questa sentenza tutte le sanzioni e misure adottate in primo grado contro la Thyssen-Krupp. Voglio vedere se vi saranno ancora imprenditori e manager distratti rispetto alla sicurezza del lavoro».

Non vuol dire niente di negativo su questo giudizio di appello?

«Si dirà, anzi si sta già dicendo che per noi è stata una cocente sconfitta per questa “anomalia” del dolo eventuale cancellato. Ridotte anche le pene, resta l’interrogativo “ma come?” Con una sentenza così, quando diverrà definitiva, tutti i sei imputati andranno in carcere. Quante volte è accaduto in casi simili per dei colletti bianchi al vertice delle aziende? Ripeto che anche così la sentenza sarà di monito».

E poi?

«Le pene in appello, non ho mai capito bene perché, vengono sempre ridotte».
[AL.GA.]