Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 01 Venerdì calendario

L’OMBRA DEI LAVITOLA SULLA TERZA REPUBBLICA

E nell’Italia sconvolta dalle attese e dai pericoli, dalle novità e dai vuoti, l’unica certezza è il ritorno di Lavitola e De Gregorio, il gatto e la volpe del berlusconismo più
oscuro e ruspante.
Toh, guarda chi si rivede!
Non si dirà qui che i morti afferrano il vivo, le due condizioni risultando piuttosto relative in un paese decisamente in bilico. Ma certo questa duplice e graziosa ricomparsa, con un corredo antropologico e giudiziario di risonante attualità, non rischia solo di tradursi in un ulteriore colpo a uno dei presunti vincitori, che il Cavaliere oltretutto si aspettava, ma soprattutto alla speranza di chiudere un ciclo di ricordi e di potere. Mentre queste due figure, più che riaprirlo, lo squarciano, lo spalancano, lo squadernano riportando l’orologio a tempi ormai lontanissimi.
La storia ha infatti a che fare
con l’«acquisto» - così crudamente definito in atti - di un certo numero di senatori che avrebbero dovuto mandare a casa il governo Prodi. Sembra di ricordare che Berlusconi aveva battezzato tale proposito «Operazione Spallata», o qualcosa del genere. Ma siccome l’Italia è il paese della commedia, e Berlusconi vi svolge il ruolo di impresario, regista e attore, occorre ricordare che di quell’annoso mercimonio si venne a conoscenza nel primissimo ciclo di intercettazioni telefoniche, deflagrato come una «bomba», così disse il Cavaliere, nel dicembre 2007.
Bene, delle cinque attrici
che egli cercava affannosamente di arruolare in qualche fiction Rai, una - la stessa che gli aveva regalato un gattino, di nome Miele, con annesso topo meccanico ribattezzato Romano, come Prodi - sarebbe appunto stata «a cuore» di un senatore dell’opposizione che in tal modo, vistola sistemata in qualche sceneggiato, sarebbe passato con il centrodestra.
Era in realtà una balla, come poi comprese anche la poverina, che qualche illusione se l’era pure fatta, e ci rimase un po’ male di quell’interessamento di un senatore che nemmeno la conosceva. Ma pazienza. Per tornare al gatto e alla volpe, si viene a sapere oggi che Berlusconi si affidò a Valterino Lavitola per portare a sé Sergio De Gregorio, con la consueta lungimiranza selezionato dal talent scout Di Pietro. I due personaggi arrivarono in braccio a Berlusconi come cespiti relazionali dell’eredità di Craxi (vedi i documenti, anche iconografici, lodevolmente messi a disposizione e on line dall’omonima fondazione) . Gente sveglia, comunque, pure troppo.
Sarebbe impossibile seguirli nel viluppo rovinoso delle loro peripezie, spesso contraddittorie e non di rado reciprocamente conflittuali. Tra affari, ambizioni, gelosie e beghe la comune origine napoletana, come documentata da irresistibili
intercettazioni in dialetto, arricchisce senz’altro la tonalità farsesca di alcune vicende, che tuttavia restano così gravi da interessare diverse procure. Ma il fatto decisivo è che entrambi, almeno fino a un certo punto, si posero al servizio del Cavaliere traendone un certo beneficio.
De Gregorio, giornalista avventuroso e uomo d’affari non proprio solidissimo, divenne un autentico leader, alla testa del movimento «Italiani nel mondo», fondato alla presenza del cardinal Martino, che fece anche recitare il Padre nostro, e socio fondatore del Pdl. Per le vie d’Italia apparvero poster che lo raffiguravano sorridente sotto lo slogan «Il Coraggio dei Valori». Promise in seguito di imprigionare chi rimuoveva il crocifisso dagli uffici ed ebbe pure una tv che però, nei momenti di scanca, si scoprì mandare in onda porno. Poi si stufò della politica, ma eccolo qui.
Lavitola, d’altra parte, va ricordato come il terminale berlusconiano in Sudamerica: affari Finmeccanica, paradossale costruzione di carceri, e altri «bingo biblici», come li designava. Oltre ad operazioni più o meno coperte sul disvelamento contundente della casa di Montecarlo e alla gestione romana, invero assai costosa, di quell’altro gentiluomo e procacciatore di signorine,
insomma di Gianpy Tarantini, nei riguardi del quale Valterino non fu in verità poi così leale. Ma anche di questo, con la rivoluzione grillina e ciò che si delinea per i destini del paese, i lettori potranno farsi una ragione.
Certo la fidata segretaria berlusconiana, Marinella, non lo sopportava per la sua insistenza: «Mi togli il fiato» diceva, come pure «Lasciami vivere ». Ma il Cavaliere lo stava a sentire, eccome. Forse perché Lavitola era molto abile nell’adulazione, e a tale proposito non si resiste a riportare un gioiellino di pestilenziale oscenità: «Io sinceramente non credo che ci sia una donna che al mondo che se lei telefona e le dice: “Vieni qui e fammi una pompa”, quella non viene correndo». E quindi, con magico tocco fantozziano: «Dottore, lei mi perdona se mi permetto
».
Più che perdonato. E infatti è Lavitola l’interlocutore al quale il Presidente del Consiglio, vincitore molto parziale delle ultime elezioni, affidò un dimenticato, ma in fondo anche ragionevole proposito: «Non me ne fotte niente, io tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei, e quindi vado via da questo paese di merda di cui sono nauseato. Punto e basta».
Ecco: punto sì, ma evidentemente non basta, infatti non basta mai, e tutto cambia, in Italia, ma il peggio resta ed è sempre più difficile sperare, anche se ci si prova sempre.