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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

EFFETTO MPS SULLE URNE. IL PD PERDE 11 PUNTI E CECCUZZI RINUNCIA ALLA CORSA A SINDACO —

Undici punti sono davvero tanti. Ma nel giorno più difficile per Franco Ceccuzzi, l’ex sindaco di Siena che già era pronto a tornare, sono quasi un sollievo. Il Pd li ha persi tutti, quei 4-5 mila voti. Passati armi e bagagli al Movimento 5 Stelle. Da queste parti lo tsunami grillino, però, poteva essere ancora più devastante, dopo quello che è successo. Mezzora dopo la chiusura delle urne, sotto un cielo plumbeo, in una città deserta e infreddolita, Ceccuzzi annuncia il ritiro. Abbandona la corsa al Comune, azzoppato da un avviso di garanzia che gli è arrivato da Salerno. I pm sospettano che abbia avuto un ruolo chiave in una faccenda di finanziamenti del Monte dei Paschi di Siena a un imprenditore campano, assieme all’ex presidente Giuseppe Mussari e a Paolo Del Mese, un ex sottosegretario andreottiano del quale s’erano perse le tracce. Giovedì si deve presentare dal magistrato, ma è niente rispetto a quello che è successo ieri. Fuori dal Parlamento, che ha dovuto lasciare quando è diventato sindaco, e adesso anche fuori dal Comune, Ceccuzzi si ritrova di fronte una vita da reinventare. Il suo mestiere è sempre stato quello del politico. E adesso?
Per lui non si è aperto, come è successo ai suoi predecessori, il confortevole paracadute della banca. Perché a Siena, negli ultimi vent’anni, c’è sempre stata una regola: il sindaco di turno era dipendente del Monte dei Paschi, e quando è rientrato in banca ha trovato i galloni pronti ad accoglierlo. Il suo predecessore Maurizio Cenni si è ritrovato superdirigente: e un paio di scatti ha ottenuto anche Daniela Bindi, l’assessore comunale alle attività produttive moglie dell’ex sindacalista Fabio Borghi, per dieci anni nella stanza dei bottoni. Prima come deputato della Fondazione, l’ente che controlla l’istituto, poi addirittura consigliere di amministrazione. Un sindacalista della Fisac Cgil ai vertici della banca: e ci si stupisce che i dipendenti avessero il contratto integrativo probabilmente più opulento di tutto il sistema bancario italiano.
Da superdirigente, l’ex diessino fedele alla linea del partito, ha anche cambiato schieramento. Adesso Cenni sostiene la lista civica «Ora Siena». Dicono vicina alla destra. Ma vai a capire che cosa vuol dire, in questa città, destra... Il fatto è che i partiti assomigliano spesso a dei taxi, che non trasportano idee, ma interessi. Solo così si spiegano certe storie, come la guerra scoppiata nel Pd, con ex margheritini contro ex diessini, il consiglio comunale spaccato, il sindaco dimissionario. Per non parlare degli strascichi velenosi nelle primarie rivinte da Ceccuzzi, materializzati in un ricorso presentato dal vicepresidente della Provincia del suo stesso partito. Un signore che è, guarda caso, il figlio del primo matrimonio della moglie di Alberto Monaci. Ovvero, il presidente del consiglio regionale toscano, ex margheritino, altro protagonista del terremoto interno al Pd. Un sisma così forte che l’onda d’urto ha investito anche il centrodestra. Se il Pd ha perso undici punti secchi, il Pdl si è quasi dimezzato. Colpa, si fa per dire, dei montiani, che hanno candidato Alfredo Monaci, fratello minore del potente Alberto, nonché dipendente del gruppo bancario e già quasi vicepresidente del Monte. Dicono anzi che il fallimento della sua nomina sia stata una delle cause scatenanti della guerra. E nella sua scelta di andare con Monti sentono anche profumo di vendetta. Malelingue...
Banali storie di contrada, penserete. A ragione: peccato che l’oggetto del contendere sia il destino della terza banca italiana. Com’è noto, Mps è controllata da una fondazione che è a sua volta controllata dagli enti locali. Quindi dalla politica, e qui significa centrosinistra. Alle elezioni del 2008 il Pd era al 47%, con punte superiori al 50 in alcuni comuni. Per esempio Monteriggioni, di cui è sindaco Bruno Valentini, possibile pretendente alla poltrona di primo cittadino di Siena: anche a casa sua la batosta è stata pesante. Ritrovarsi al 41% non è stata una bella sorpresa. La fondazione è presieduta da un altro politico ex margheritino. Si chiama Gabriello Mancini ed è legatissimo a Monaci senior. Praticamente il suo braccio destro. È stato, ed è, uno dei più strenui difensori della «senesità» del Monte. Un principio, malinteso, che è alla base delle disgrazie attuali della banca. Atto primo: per non perdere il controllo dell’istituto quando si è trattato di acquistare l’Antonveneta, la fondazione presieduta da Mancini non ha esitato a mettere sul piatto 2 miliardi e mezzo per l’aumento di capitale. Avete capito bene: 2 miliardi e mezzo. Non è bastato. Perché quando lo smottamento è iniziato, pur di non cedere la maggioranza relativa della banca, la fondazione ha tirato fuori ancora più di un miliardo. Prendendo a prestito dall’americana JPMorgan qualcosa come 600 milioni. Una follia, che ora li ha messi con le spalle al muro. E il paradosso vuole che ora tutti i componenti degli organi della fondazione siano in scadenza, con una città senza sindaco, cui spetta di nominarne la metà. Ma pure senza che ci sia una chiara direzione di marcia. Intendiamoci: non che Ceccuzzi non abbia la sua fetta di responsabilità. Per anni segretario provinciale dei Ds, è stato a lungo il capo del partito. Poi è diventato deputato, quindi sindaco. E quando le cose andavano bene e si trattava di difendere la «senesità», anche lui era in prima fila. Soprattutto in Parlamento, dove si è dato molto da fare. Al punto da prendersi, un giorno, pubblici ringraziamenti del suo attuale avversario Mancini. Un attestato di stima come quello che gli è arrivato ieri dal quartier generale del Pd, dopo le sue dimissioni, che però non sposta di un millimetro il problema.
Siena è nel marasma. Tanto che gli undici punti persi dal Pd non rendono nemmeno bene la situazione. Il Monte è nei guai, i suoi ex vertici sono sotto inchiesta. La fondazione è indebitatissima e si prospetta un periodo di vacche magrissime: niente più ricchi dividendi da distribuire al territorio. L’università è nei guai. E anche l’ospedale, terzo pilastro su cui si reggeva Siena, non si sente troppo bene. Il Pd, finora granitica certezza del sistema senese, è lacerato. Il sindaco non c’è. Le elezioni sono in programma fra tre mesi e le eventuali candidature sono avvolte nella nebbia più fitta. Correrà Valentini? O il deputato senese Fabrizio Vigni? O il direttore del pronto soccorso Fulvio Bruni? E se fosse il medico Eugenio Neri? L’unica certezza, per ora, sono quegli undici punti persi. Che qualcuno si ostina a vedere come un bicchiere mezzo pieno. Poteva andare peggio? Chissà. In fondo qui i grillini sono appena al 20 per cento...
Sergio Rizzo