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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

IL NORD TRA VENDETTE E RIVOLUZIONE. CAMBIA IL POPOLO DELLE PARTITE IVA —

In Veneto il Movimento 5 Stelle è diventato in un colpo solo il primo partito con il 24,3%, eppure la prima reazione dei politici locali di lungo corso è stata quella di procedere ad epurazioni oppure di chiedere il rimpasto di giunta a Palazzo Balbi, sede della Regione. Appena uscite le proiezioni la presidente della Provincia di Padova, Barbara Degani (Pdl), ha dimissionato l’assessore all’Interporto Domenico Riolfatto, reo di aver lasciato nelle settimane scorse gli azzurri e di esser passato armi e bagagli con la Lista Monti. Più preoccupante è il conflitto che si è aperto già nel pomeriggio di ieri tra i due partiti del forzaleghismo a proposito della giunta Zaia: i berlusconiani Giancarlo Galan e Dario Bond hanno chiesto senza mezzi termini il rimpasto in Regione. Contando i voti del Senato la Lega appare in Veneto come la grande sconfitta (a Treviso città è scesa sotto il 9%!), i suoi elettori sono stati il bacino di consenso di Beppe Grillo visto che il partito del Carroccio aveva alle ultime politiche incassato il 27% dei consensi, alle Regionali il 35% e ieri è passato a un misero 11,1%.
Il 24,3% di voti presi da 5 Stelle sono la traduzione nelle urne delle piazze che Beppe Grillo ha riempito in quasi tutte le città del Nord Est e dell’appoggio che ha trovato presso il popolo delle partite Iva, tra gli artigiani e i commercianti. La «pancia del Paese» che era stata la leva del forzaleghismo da queste elezioni esce come in condominio, parte con il centrodestra e parte con i grillini. Ci sarà tempo per analizzare questa mutazione repentina ma nel Nord Est il voto sembra aver preso questa strada. E del resto gli ultimi comizi di Grillo, che è andato fino a Belluno e Rovigo, sono stati dedicati almeno per metà a temi come la difesa del made in Italy, l’abolizione dell’Irap, i soprusi di Equitalia e la revisione degli studi di settore. È interessante notare come in Piemonte il Movimento 5 Stelle ieri abbia preso grosso modo i voti del Veneto (attorno al 25,3%) mentre resta relativamente dietro in Lombardia, attorno al 17-18%. Il paradosso è che anche in una piazza come Varese, dove pure Grillo è rimasto basso (17,4%), pareggia grosso modo i voti presi dalla Lega Nord in quella che è considerata la sua capitale politica per aver espresso le leadership prima di Umberto Bossi e poi di Roberto Maroni.
Intuita la mala parata il sindaco di Verona, Flavio Tosi, già negli ultimi giorni di campagna elettorale aveva iniziato a sostenere la necessità di creare un nuovo contenitore politico che andasse «oltre la Lega». Ieri, dopo i dati che hanno visto il suo partito conquistare un misero 13% a Verona, ha individuato nell’alleanza con il Cavaliere la causa prima della sconfitta della Lega ma tutto ciò non potrà evitare che si riapra il contenzioso con Zaia. Il governatore è parso poco impegnato nei comizi e l’unica affermazione degna di nota che si ricorda di lui nelle ultime settimane è stata sibillina («Il Nord Est è finito») e poca adatta a rastrellare voti. Ieri Zaia pressato dai cronisti se l’è cavata dichiarando che «il vero bocciato di queste elezioni è Mario Monti» ma è il primo a sapere di aver solo tirato il pallone in tribuna.
Il risultato delle regioni del Nord boccia anche il neo laburismo di Pier Luigi Bersani, in Veneto il Pd con il 23,3% segna una performance più bassa di quella delle elezioni politiche del 2008 dove aveva fatto toccato il 26,5%. Il leader piacentino aveva puntato su una candidatura locale, Laura Puppato, che non sembra aver prodotto valore aggiunto. Il risultato delle regioni settentrionali resta amaro per il centrosinistra: al Senato in alcune province come Bergamo e Brescia il distacco dal centrodestra oscilla tra i 17 e i 15 punti. Durissima è stata la competizione in Piemonte che era considerata una regione sicura per il centrosinistra e che invece lo ha visto prevalere sulla coalizione di Berlusconi solo sul filo di lana. C’è da dire che il Piemonte ha riservato un pessimo lunedì ai leghisti che hanno subito un effetto-Cota all’incontrario, pur avendo il governatore della Regione hanno appena superato il 5%.
Scelta civica, la lista promossa da Mario Monti, non è riuscita a entrare in sintonia con la società nordestina. È stata vissuta come un’operazione di establishment appoggiata da qualche struttura confindustriale di base ma poco più. E nemmeno lo svuotamento della lista di Oscar Giannino, che in un primo tempo aveva attirato molte attenzioni, sembra averlo aiutato. Anche in questo caso è stato Grillo a fare da magnete e ad attirare il voto di una protesta indirizzata in primo luogo contro la soffocante pressione fiscale. Uno dei risultati migliori Monti l’ha raggiunto nella sua Varese (11,4%) ma anche a Bergamo e in Piemonte è stato raggiunto lo stesso livello di consensi. Ma non c’è dubbio che dovendo scegliere tra il Cavaliere e il Professore che l’ha sostituito a Palazzo Chigi la risposta del Nord è stata nettamente a favore del primo. L’elettorato moderato continua a pensare che Berlusconi sia il miglior campione che si possa schierare in campo contro la sinistra e anche questa volta non gli ha fatto mancare il suo appoggio.
Di sicuro davanti a un voto così frammentato e alla palese mancanza di indirizzi condivisi la società produttiva del Nord si ritrova oggi un po’ più sola. I giovani per sperare di trovare lavoro aprono la partita Iva ma non pare che portino con sé una vera idea di business, nel Nord Est almeno due delle grandi imprese (Electrolux e Benetton) hanno denunciato esuberi di personale, non si riesce a trovare sedi certe nelle quali decidere se sviluppare o meno il traffico cargo dall’aeroporto di Montichiari e intanto sono 12 mila le imprese che rispetto a quattro anni fa hanno chiuso i battenti in Veneto. Eppure aperte le urne e contati i voti assisteremo a un duello per il rimpasto della Regione e a un regolamento di conti in casa leghista tra Tosi e Zaia. Il teatrino della politica non conosce pause.
Dario Di Vico