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 2013  febbraio 26 Martedì calendario

PER BERSANI DUE VITTORIE DI PIRRO

Per il Pd due vittorie a metà: in leggero vantaggio alla Camera e come seggi al Senato, ma si tratta di due vittorie di Pirro, perché non aprono al partito di maggioranza relativa le porte di una maggioranza autosufficiente. Un dato che condanna all’impasse sia Bersani che Berlusconi: l’impossibilità di contare su una autonoma maggioranza a Palazzo Madama.

Senato bloccato, bloccatissimo. Una doppia impotenza che è l’effetto di un dato numerico: in sessantasette anni di Repubblica una vittoria così risicata (a chiunque vada) non si era mai vista, non era mai accaduto che la coalizione vincente conquistasse il consenso di così pochi elettori e con una percentuale così bassa. Ieri sera, quando il risultato nelle due Camere era ancora incerto, sia il centrodestra che il centrosinistra non erano comunque in grado di superare in entrambe le Camere la soglia del 33%.

Dunque, alla fine qualunque coalizione prevalga sull’altra, comunque non sarà riuscita a conquistare neppure il consenso di un elettore su tre. Dato senza precedenti, perché tutte le coalizioni vincenti col sistema maggioritario, dal 1994 ad oggi hanno sempre superato almeno il 43%. Il risultato di questa anomalia si è espresso nell’impotenza operativa che ieri sera paralizzava sia Berlusconi che Bersani: entrambi hanno tardato a parlare, nessuno dei due era in grado di poter disporre di una sicura maggioranza in entrambe le Camere.

In altre parole due minoranze: nel Paese ma anche in Parlamento. Lo scrutinio della Camera si è prolungato fino a tarda notte e non è indifferente quale dei due schieramenti riuscirà a conquistare un voto in più dell’altro, perché col sistema del premio (55% dei seggi) la coalizione prima arrivata potrà rivendicare il diritto di ricevere l’incarico di formare il governo da parte del President della Repubblica. Ma chiunque vinca alla Camera dovrà fare i conti con un Senato senza maggioranza.

Ieri notte il più accreditato alla conquista del premio alla Camera era il Pd, che però non è assolutamente in grado di mettere assieme una maggioranza al Senato. Nell’aula di Palazzo Madama, autentico crocevia per qualsiasi maggioranza, stretta o larga che sia, i calcoli dell’ultima ora ieri notte davano un sorpasso finale del Pd (120 seggi contro 118, con Monti a quota 20), ma il leggero vantaggio potrebbe essere azzerato dai senatori all’estero e. virtualmente, dai senatori a vita Colombo e Napolitano. Considerando che al Senato la maggioranza è fissata a quota 158, è fin da ora è chiaro che un’eventuale alleanza tra Pd-Sel con l’area Monti metterebbe assieme nel migliore dei casi 139 senatori, abbondantemente sotto la quota necessaria. Ma anche il centrodestra, laddove riuscisse ad imbastire una improbabile alleanza con Monti, non sarebbe in grado di poter contare su una maggioranza perché la somma delle due coalizioni si fermerebbe alla medesima a quota, 138 senatori.

I numeri sono eloquenti: né Bersani né Berlusconi possono contare su voti necessari ad una maggioranza. Né per fare un governo. Né per eleggersi autonomamente i due Presidenti delle Camere. E neanche per eleggere il Capo dello Stato. Da domani si apre una stagione di interregno che si profila assai più lunga e tormentata del previsto. E si aprirà con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, con la prima seduta fissata per il 15 marzo. Subito dopo è prevista l’elezione dei presidenti delle varie Commissioni parlamentari e in quella occasione alla opposizione dovrà andare la presidenza di due commissioni delicate, Vigilanza Rai e Copasir. Se a metà marzo, risulterà che il Cinque Stelle sarà l’unica opposizione, la guida di quelle commissioni per regolamento spetterà a due rappresentanti del Movimento di Cinque Stelle. In tarda serata si è quasi concluso lo spoglio alla Camera e, in mancanza di un esito finale, era comunque disponibile un dato senza precedenti: la coalizione in testa Pd-Sel-Psi con i suoi 10 milioni non solo era nettamente al di sotto dei 13 milioni e 700 mila voti ottenuto dalla coalizione (perdente) Veltroni-Di Pietro del 2008, ma era sostenuta da un numero di elettori inferiore a quello ottenuto da tutte le coalizioni vincenti dal 1994 in poi. Nel 2006 l’Unione di Prodi ottenne quasi il doppio dei voti portati a casa dai Progressisti di Bersani. E tutte le altre coalizioni hanno vinto con più voti, anche quella meno «brillante», il Berlusconi nel 1994 che raggiunse 16 milioni e mezzo e il 42.9%.