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 2013  febbraio 25 Lunedì calendario

PAGAMENTI, LA TRASPARENZA NON VA ONLINE [

Gli enti disattendono l’obbligo di pubblicazione sui siti delle spese oltre mille euro in vigore da gennaio] –
Quanto spende il tuo sindaco? In teoria dal primo gennaio dovrebbe bastare un click per saperlo. In pratica, invece, il sipario sui pagamenti della pubblica amministrazione non si è ancora alzato.
A distanza di due mesi dall’entrata in vigore dell’obbligo di mettere on line tutti i pagamenti oltre i mille euro sono veramente pochissime le amministrazioni pubbliche in regola con le nuove disposizioni (articolo 18 del Dl 83/2012).
Un censimento ufficiale non è ancora disponibile, ma un monitoraggio ufficioso, svolto dal sito «L’era della trasparenza» e coordinato da Agorà digitale, segnala a fine gennaio un tasso di regolarità praticamente nullo: su circa mille siti pubblici censiti sono poco più di una trentina - molte le Province - quelli con l’elenco.
Tra questi, c’è la Regione Lombardia. Il monitoraggio fornisce uno spaccato rappresentativo di tutte le provvidenze, le fatture, le spese grandi e piccole dell’era Formigoni. Tutto visibile, fin nei minimi dettagli: dai 363mila euro richiesti dal Centro studi interregionale Cinsedo come quota associativa 2013 ai 2.860 versati alla Royal Food (rinfresco o tramezzini?) per spese di rappresentanza. La Regione Lazio, invece, rende noti solo i dati del microcredito, dei sussidi agricoli e per il diritto allo studio. Ancora un po’ poco per l’ente di Fiorito.
Buio pesto, poi, nelle aziende sanitarie locali lombarde. A fronte di 797 milioni di servizi acquistati (bilancio 2010), ad esempio, dalla Asl 2 di Milano, non un centesimo è ancora visibile nella sezione "Trasparenza, valutazione e merito" dell’azienda. Zero anche per le medesime realtà di Bergamo. Ma non è un fatto territoriale: nulla cambia, per esempio, nelle Asl di Alessandria o di Livorno.
Tra le amministrazioni centrali rispetta l’obiettivo la Presidenza del Consiglio dei ministri, ma non l’enorme centro di spesa rappresentato dal ministero delle Infrastrutture.
L’intento della norma è chiaro: fare luce sulla gestione della spesa pubblica, sui 140 miliardi di euro solo per gli acquisti (stima Istat), senza contare i mille rivoli dei finanziamenti e contributi a pioggia. Da qui l’obbligo di mettere in rete, in formato aperto, qualsiasi uscita (fatture, contributi) sopra i modesti mille euro.
Alla Pa è stato dato un po’ di tempo per organizzarsi di fronte alla ciclopica sfida: l’obbligo è in vigore da agosto scorso, ma solo da gennaio è accompagnato da pesanti «sanzioni». Innanzitutto per i beneficiari dei pagamenti: la pubblicazione preventiva degli importi è «condizione legale di efficacia del titolo» di pagamento. In altre parole se si aggira la norma, il pagamento diventa un fatto indebito (e va restituito). Una vera e propria spada di Damocle che dal primo gennaio pende su milioni di cittadini (e pochi lo sanno): dall’impresa appaltatrice di un lavoro pubblico, fino allo studente che incassa il sussidio scolastico. Possono tutelarsi solo segnalando l’inadempienza. Anche i dirigenti dell’amministrazione rischiano in proprio: per loro può scattare la responsabilità patrimoniale e devono risarcire i danni.
Eppure l’opacità resta. «In realtà sappiamo che molte amministrazioni stanno cercando di mettersi in regola - spiega Antonio Naddeo, capo dipartimento della Funzione pubblica - ma hanno difficoltà organizzative, e nessuna risorsa aggiuntiva». Ancora più difficile per le realtà più grandi e articolate sul territorio organizzare il flusso di informazioni e centralizzarle.
Per Ernesto Belisario di Agorà digitale a rallentare le scelte degli enti hanno contribuito «le prime bozze del decreto di riordino della trasparenza amministrativa che sembravano rimensionare questi obblighi e sospenderli per sei mesi». Proprio Agorà rivendica di essere riuscita «con un emendamento a ripristinare il testo vigente». La riforma è stata approvata il 15 febbraio dal Consiglio dei ministri. Se come sembra anche si confermerà il rigore sulla spesa non è più tempo di sconti. Dopo la stretta sui tempi di pagamento dei fornitori, anche la mancata trasparenza sui destinatari dei soldi pubblici può costare molto cara alle amministrazioni.