Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 25 Lunedì calendario

URBANO CAIRO, L’EDITORE DI CARTA CHE SI È COMPRATO LA7 A FORZA DI CAMMINARE E VENDERE SETTIMANALI A 50 CENTESIMI

Con un’offerta da 100 milioni di euro la Cairo Communication, tratterà in esclusiva con Telecom Italia l’acquisto di La7 (tutto si dovrebbe concludere entro giugno). La decisione è arrivata un po’ a sorpresa lunedì 18 febbraio dopo diversi mesi di trattative e di offerte poi decadute. Il cda di Telecom ha infatti respinto le proposte di Claudio Sposito, presidente del fondo Clessidra (più interessato alle frequenze che alla tv) e del patron di Tod’s, Diego Della Valle, che aveva manifestato interesse per La7 solo pochi giorni prima. [1]

«Apprendo la notizia con positività», le prime parole di Cairo. [2] «Per come la vedo io La7 è una tv che ha alcuni programmi di grande qualità che fanno ascolti importanti, penso a Santoro, a Crozza e a Mentana. Per un editore se questi programmi funzionano bene dal punto di vista degli ascolti è giusto lasciare fare loro quei programmi in totale autonomia. Semmai ci sono momenti del palinsesto, dalla mezzanotte in poi e nel pomeriggio, in cui si può fare qualcosa in più». [3]

Manacorda: «Il primo dato è che Cairo si porterà a casa – se tutto va come previsto – La7 e la sorellina digitale La7D, non solo gratis ma anche con una dote: un “prestito del venditore”, così si chiama, al compratore di circa 90 milioni che dovrebbe consentirgli di far partire senza angustie la sua avventura». [4]

Ma allora Telecom, che vende in perdita la sua tv, che ci guadagna? Nulla. Però, visto che da tempo La7 brucia circa cento milioni l’anno su poco più di duecento di fatturato, cedere le chiavi significa non doversi più accollare in futuro le possibili perdite. Inoltre Cairo lascia a Telecom un pezzo pregiato del pacchetto potenzialmente in vendita, ossia quelle tre frequenze televisive (più antenne e tralicci) che assieme valgono circa 450 milioni. [4] Montanari:«Diciamola tutta: il vero obiettivo degli acquirenti di La7 è proprio il numero 7. Quel tasto nella prima decina del telecomando, subito a ridosso dei canali Rai e Mediaset». [5]

A pochi giorni dalle elezioni politiche, anche questa partita è finita dentro la polemica tra Pd e Pdl (Bersani ha parlato di «conflitto di interessi» e «posizioni dominanti», affermazioni che per Berlusconi sono «avvertimenti mafiosi»). Meletti sul Fatto: «La Telecom consegna all’ex assistente di B. la tv che negli ultimi anni era diventata una spina nel fianco di Mediaset». [6]

Urbano Cairo, 55 anni, cresciuto ad Abazia di Masio in provincia di Alessandria, piemontese innamorato di Milano, bocconiano. «Sempre gioviale, ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio». Riesce a organizzare pensieri e azioni solo camminando. «All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare». [7]

Manacorda: «Molti lo chiamano – non certo per fargli un complimento – “Berluschino” ma quel giovane manager è diventato grande da tempo, cammina con le sue gambe e anzi – rivendica spesso – “a Berlusconi faccio concorrenza”; un po’ perché di diminutivo, nella considerazione che Cairo ha di se stesso c’è davvero poco. Per capirlo basta ricordare il regalo che fece proprio a Silvio e Veronica per le loro nozze: un ritratto – il suo – opera della pittrice Lila De Nobili». [4]
Berlusconi, intuendone l’ambizione e i talenti, mandò Cairo a farsi le ossa in Publitalia, e, dopo poco tempo, lo chiamò in Mondadori pubblicità come amministratore delegato. Marcello Dell’Utri, ai vertici di Publitalia, non ne voleva sapere, ma Berlusconi, quella volta, si impose. I risultati furono piuttosto buoni, il fatturato cresceva, ma Dell’Utri era sempre lì, a remare contro. [9]

Cairo: «Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il “Berluschino” che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. Io con lui ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori. Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. E me ne trovi un altro che – da licenziato – si rimbocca le maniche e si mette a costruire da zero la sua impresa multimediale: vendo pubblicità su ogni mezzo di comunicazione, sono editore di un numero elevato di periodici, da quelli più pop a marchi prestigiosi, sono presidente di una squadra di calcio. Amo la televisione e ancor di più i giornali. Anzi, a dirla tutta mi sarebbe piaciuto fondare un quotidiano. Non ho trovato il giornalista giusto, poi la crisi economica si è messa di mezzo e mi sono arreso all’evidenza». [7]

«L’uomo ha già dimostrato di essere un amante dell’“usato sicuro”. Compra società che sono decotte o quasi e poi, senza colpi d’ala ma con grande costanza, le rimette in sesto, scegliendo manager, direttori e allenatori non esattamente di primo pelo, ma di provata capacità ed esperienza. È successo con il Torino, che ha preso nel 2005 per un pugno di euro dopo il fallimento; è accaduto con l’acquisto di attività editoriali, a partire dalla Giorgio Mondadori. [4] Nella pubblicità, invece, si è fatto da solo o quasi: nel ’95 ha fondato la sua concessionaria pubblicitaria e cinque anni dopo ha quotato in Borsa la sua Cairo Communication. [6]

Editore di carta che più di carta non si può (internet non lo prende neanche in considerazione), «ridendo e scherzando ha sviluppato una casa editrice che, non esitando ad andare in edicola a 50 centesimi, fattura 320 milioni e ne ha guadagnati 18 nel 2012». [2] Il gruppo, che ha sede in corso Magenta a Milano, e che a inizio 2004 vendeva zero copie di settimanali, ora si consolida a quota 1,9 milioni ogni sette giorni (Dipiù, Dipiù Tv, Tv Mia, Diva & Donna, Settimanale Nuovo, F), diventando il primo venditore di settimanali popolari d’Italia. [10]

Da giovane giocava a calcio: «Ero un “veneziano”, un’ala destra dribblomane. Mi ispiravo a Claudio Sala». Sposato in terze nozze (dopo Tove Hornelius e Anna Cataldi) con Mali Pelandini, madre di tre dei suoi quattro figli. «Il primo voto l’ho dato alla Dc, nel ’75. Poi ho cambiato. Non ho mai votato per il Msi o per la Lega. Forza Italia? L’ho votata nel ’94». Grande passione per l’arte contemporanea (un amore per Schifano). [8]

«Ah, dimenticavo: non ho mai licenziato nessuno». [7]
(a cura di Francesco Billi)

Note: [1] Alberto Brambilla, Foglio 20/2; [2] Giovanni Pons, Repubblica 19/2; [3] Massimo Sideri, Corriere 20/02; [4] Francesco Manacorda, Stampa 20/2; [5] Andrea Montanari, MF 8/2; [6] Giorgio Meletti, Fatto 19/2; [7] Antonello Caporale, Fatto 7/2; [8] Dell’Arti-Parrini, Il Catalogo dei viventi; [9] Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 13/7/2011; [10] Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 17/7/2012.