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 2013  gennaio 25 Venerdì calendario

ARGENTINA, A QUALCUNO NON PIACE IL MIO CLARÍN


Ricardo Kirschbaum è il direttore del Clarín , il principale giornale argentino, ed è presidente del Global Editors’ Network, un’associazione di direttori di quotidiani nata per salvaguardare la qualità dell’informazione e la libertà di espressione. A Torino per visitare la nuova redazione e il museo della Stampa , Kirschbaum parla della situazione del suo giornale, la cui sopravvivenza è minacciata dai continui attacchi del governo della signora Cristina Kirchner. La battaglia del Clarín contro i tentativi di assoggettarlo al potere politico è guardata con interesse e preoccupazione in tutto il mondo, perché è diventata il simbolo della lotta per la libertà di informazione, minacciata non solo in Argentina ma anche in molti altri paesi.

Quando è cominciata la guerra fra voi e la signora Kirchner?

«Il Clarín non fa la guerra a nessuno. Ma è stato costretto a difendersi da attacchi pesantissimi, che sono iniziati nel 2008 dopo la pubblicazione di una serie di articoli in difesa dei contadini che protestavano contro nuove tasse sulle esportazioni di prodotti agricoli».

Ma quattro anni di intimidazioni non si spiegano solo per questo.

«No, certo. Il punto è che il governo non tollera un giornalismo autonomo. Se i giornali sono amici e si sottomettono, ricevono in cambio importante pubblicità istituzionale e molti aiuti. Se non si piegano vengono combattuti con tutti i mezzi».

E i giornali amici del governo quanti sono?

«Si può dire che in Argentina il potere politico controlla ormai l’80% dell’informazione. Tra le pubblicazioni più importanti rimaste libere ci sono solo il Clarín , La Nación e il periodico Perfil , che vengono attaccati in continuazione».

Come cercano di condizionarvi?

«In molti modi. Il giorno che abbiamo pubblicato un articolo sulla corruzione nel governo ci siamo trovati 200 poliziotti in redazione. Hanno tentato di bloccare la distribuzione delle copie, hanno minacciato gli inserzionisti obbligandoli a non fare pubblicità sul nostro giornale, hanno denunciato direttori e dirigenti».

Anche la proprietaria del gruppo, Ernestina Herrera de Noble, è stata attaccata.

«Sì. La signora de Noble ha due figli adottivi, Marcela e Felipe. Il governo l’ha accusata di averli sottratti a una coppia di desaparecidos, i dissidenti che durante il regime militare venivano uccisi e fatti sparire. Sono stati eseguiti numerosi esami del Dna che hanno dimostrato come questa tesi non sia vera, ma il governo si è rifiutato di chiudere il caso».

E i giornalisti che tipo di pressioni ricevono?

«C’è una televisione governativa che produce una trasmissione il cui compito è quello di denigrare i giornalisti che criticano la “presidenta”. Vengono messi alla berlina senza la possibilità di un contraddittorio. Ai tempi dell’attacco a Ernestina de Noble, sui muri comparvero dei manifesti con le foto di redattori del Clarín e la scritta: vi fidate di giornalisti che lavorano per chi ha rapito figli di desaparecidos?”

La signora Kirchner è davvero così potente?

«Ha fatto in modo di controllare tutti i poteri dello Stato, che ora dipendono da lei. L’unico che non controlla ancora completamente è l’informazione. È brava, sa parlare molto bene. E si comporta come se l’investitura popolare le desse il diritto di fare qualunque cosa. Siccome mi hanno eletta, non dovete criticarmi».

Non è la sola a pensarla così. Ma la gente non si ribella?

«Sta cominciando. Ci sono state alcune manifestazioni spontanee, convocate con i social network, che hanno radunato migliaia di giovani. La Kirchner non potrebbe più essere rieletta nel 2015, ma sta cercando di cambiare la legge per avere un altro mandato, un po’ come ha fatto Putin. Ma l’economia sta peggiorando, per cambiare pesos con dollari o euro bisogna rivolgersi al mercato nero e anche gli equilibri politici potrebbero modificarsi».

Il Clarín sopravviverà?

«Il gruppo è forte, ce la faremo. Ma tutto ora dipende dalla legge sui media, fatta approvare nel 2009 proprio contro di noi, che impedisce a privati di possedere televisioni nazionali. Il 70% dei nostri utili viene da una tv via cavo che possediamo e che si vuole fare tacere con questa norma. Abbiamo fatto ricorso e in pendenza del ricorso l’applicazione è stata sospesa. Quest’anno, tra pochi mesi o settimane, la Corte Suprema deciderà».

Chi sta all’opposizione ha l’impressione di rivivere i tempi della dittatura?

«Non scherziamo. Nonostante tutto, siamo ancora una democrazia nella quale si vota e le due situazioni non sono comparabili. Ma è in gioco uno degli elementi che sono vitali in ogni democrazia, la libertà di informare: se perdessimo questa battaglia, ci sarebbe davvero da preoccuparsi per il futuro dell’Argentina».