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 2013  gennaio 25 Venerdì calendario

IL CAVIALE PADANO METTE IN CRISI QUELLO DEGLI ZAR

[Esportate 24 tonnellate di prodotto. In tutto il mondo, Russia esclusa. Un miracolo iniziato 20 anni fa. Dentro un “capannone nursery”] –
È capitato quasi a tutti almeno una volta, durante un viaggio all’Est – a cavallo della dissoluzione della Cortina di Ferro – di vedersi offrire, sottobanco, dal cameriere di un hotel, da un taxista, da un barista, perfino da un poliziotto, la tondeggiante confezione azzurra del caviale. Se accadesse ora, probabilmente quel caviale sarebbe italiano. «Veramente in Russia esportiamo solo lo storione, per il caviale ci sono dei problemi burocratici» ammette Sandro Cancellieri, amministratore delegato di Agroittica Lombarda. Viadana di Calvisano, pianura bresciana. Pare incredibile, ma qui, dietro l’acciaieria Feralpi, disteso su sessanta ettari di vasche e capannoni, che ospitano vita e opere dello storione, c’è il più grande produttore ed esportatore di caviale della terra: 24 tonnellate sulle 120 mondiali. In un momento di crisi, con l’economia italiana in difficoltà soprattutto nelle esportazioni, può sembrare paradossale che sia il caviale “made in Italy” ad avere successo, ma non lo è. Dietro ci sono 40 anni di storia ed esperienza.
Il caviale rappresenta per molti uno status, per altri una prelibatezza – e lo è, ad apprezzarne le differenze di sapore e di provenienza – ed è l’ospite d’onore di opulenti banchetti fin dall’antica Roma. Secondo la leggenda, un nobile cavaliere dai gusti raffinati si stabilì a Calvisano per la stessa ragione per cui vi è nata Agroittica: le acque sorgive fresche e abbondanti. Qui, duemila anni fa, questo patrizio romano allevò storioni e offrì caviale ai suoi commensali. Si chiamava Calvisius ed è questo il nome dato al caviale “made in Italy” la cui produzione è cominciata nel 1992. Da più di vent’anni finisce sulle tavole di tutto il mondo, dalla Francia al Giappone, dalla Germania all’Australia, dal Regno Unito alla Corea. Per la Russia vediamo. Lassù non lo esportano più e anche se nessuno se lo fa mancare, o è di allevamento o è illegale perché lo storione selvaggio è una specie sotto tutela dell’Onu dal 1998. La convenzione di Washington protegge questo straordinario pesce che viene dal passato: dopo anni di bracconaggio, pesca indiscriminata e di degrado e inquinamento, era giunto sull’orlo dell’estinzione. Il futuro è nell’allevamento. «Noi mangiamo caviale migliore di quello degli Zar» afferma Cancellieri. Lo mangiano anche i viaggiatori di alcune grandi compagnie aeree, a cominciare dalla Lufthansa.

Una lavorazione delicata. Ma com’è che la pianura bresciana si è trasformata nel paradiso del caviale? Tutto nasce all’inizio degli anni Settanta per una felice intuizione dei soci dell’acciaieria. Bisogna disfarsi, secondo la normativa, dell’acqua calda avanzata dal processo siderurgico. Così viene costruito lo stabilimento di itticoltura: con un semplice scambiatore di calore si risucchia il calore residuo dall’acciaieria (50 gradi) e lo si taglia con l’acqua della falda creando un habitat perfetto per alcune specie pregiate. In principio è l’anguilla, poi abbandonata per via della difficile reperibilità del novellame. L’incontro tra Gino Ravagnan, uno dei soci storici, e il professor Serge Doroshov, biologo marino dell’Università di Davis in California, determina l’arrivo a Calvisano del suo inquilino attuale, lo storione bianco (Acipenser Transmontanus): carne bianca, alto contenuto di proteine (17 per cento), modesto di grassi 
(3), età raggiungibile 100 anni, fino a 400 kg di peso. Ma all’inizio è molto fragile e quindi passa il primo anno di vita nel “capannone nursery”. Quindi comincia la sua avventura all’esterno. Il caviale “sente” le stagioni un po’ come il vino, ci sono annate migliori di altre. Le uova dello storione bianco arrivano a maturazione quando il pesce ha dieci anni. Ma se vengono estratte troppo presto, l’addome è pieno di grasso, se troppo tardi, l’uovo si spappola. Tutto è tracciato, ripercorribile. È un tragitto affascinante perché intreccia l’antica arte artigiana del nostro Paese e le moderne tecnologie, la mano dell’uomo e i macchinari più sofisticati. A Calvisano, oltre allo storione e al caviale, di produzione propria, vengono lavorati anche pesci “stranieri”, quali il tonno, il salmone (scozzese e norvegese), il pesce spada, la trota. Nel futuro c’è una barretta di caviale tipo bottarga, a fette o da grattugiare. Ora c’è la degustazione, nelle comode (e meno costose, sui 25 euro) confezioni da 10 grammi. Il caviale non deve avere odore, ma il sapore è inconfondibile. Si assaggia come il vino. Con la panna acida o con le patate. Buonissimo.