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 2013  gennaio 25 Venerdì calendario

CHE EMOZIONE SENTIRSI DIRE: «SUONA PIÙ FORTE, RAPHAEL»

[Gli studi al conservatorio. La passione per blues, jazz, ragtime. Una voce alla Jamiroquai. Il pianista torna nella città dei fiori perché la musica è un sogno, ma anche una cosa seria] –
Ha cominciato, come molti, suonando dappertutto. Pub, pizzerie, matrimoni. La solita gavetta, quando il gestore del locale di solito paga poco e ti grida di abbassare il volume, solo che a Raphael Gualazzi il volume dicevano di alzarlo. Come mai? «Non volevo disturbare. Mi ricordo una sera di San Valentino: cercavo di rimanere in sottofondo, mi sembrava il caso, invece una coppia si è avvicinata per dirmi che la mia musica era bella, magari potevo suonare un po’ più forte…».
Parigi, auditorium Emi. Raphael sta provando con i nuovi musicisti che ha scelto per accompagnarlo nelle prossime, importanti settimane, quelle di Sanremo e del nuovo album Happy Mistake. Il suo modo di fare un po’ in punta di piedi è rimasto: sul finale di un pezzo la band va ognuno per conto suo, Raphael alza la mano e si affretta a dire: «Colpa mia, scusate, non ho chiamato l’ultimo giro, adesso sto più attento», e si riparte. La timidezza scompare mentre Gualazzi suona e canta con la sua voce un po’ alla Jamiroquai; i musicisti non si conoscono ma lui trascina tutti.
Dopo la vittoria a Sanremo giovani, nel 2011, Raphael ha preso un po’ di distacco e adesso vive a Londra. «Vengo spesso a Parigi: per il tipo di musica che mi piace, il jazz e il soul, è un luogo importante. La Francia mi ha portato fortuna, qui nel 2008 è uscita la raccolta della Wagram Piano Jazz con una mia cover di Georgia on My Mind di Ray Charles accanto a pezzi di Diana Krall o Michel Petrucciani. È stato un primo passo per farmi notare».

Influenza paterna. Trentuno anni, nato a Pesaro, Raphael Gualazzi ha una formazione classica. «Ho studiato al conservatorio, ma ho cominciato a interessarmi presto alla musica popolare, alle tradizioni americane: blues, jazz, ragtime». È arrivato al contratto discografico senza passare da un talent, «ma non ho niente contro quel percorso: ogni modo per emergere va bene, l’importante è crederci e avere qualcosa da dare. I talent hanno tirato fuori gente molto in gamba». Raphael è passato da Mozart a Fats Waller grazie al padre, Velio Gualazzi, che negli anni Sessanta suonava la batteria con Ivan Graziani (con lui fondò gli Anonima Sound), e all’incontro con il grande chitarrista Jimmy Villotti, l’uomo di Jimmy, ballando di Paolo Conte: «Ci siamo conosciuti a un festival jazz, io ero affascinato e lui mi ha dato molti ottimi consigli su che cosa ascoltare e studiare».
Una carriera nella musica jazz – sia pure declinata in modo facile e piacevole, quasi pop – è un percorso atipico, di questi tempi, per un trentenne italiano. Che ne pensa Gualazzi del celebre suggerimento ai giovani della ministra Fornero – accettate i lavori che vi offrono – e della sua critica ai ragazzi troppo choosy, schizzinosi? «Non so, io consiglierei al contrario di inseguire le proprie passioni, i sogni. Non in modo velleitario, ci mancherebbe. Non voglio portarmi a esempio, naturalmente, ma io ho studiato molto, la musica è una cosa seria, bisogna essere preparati, responsabili, è un lavoro difficile. Ma se ti piace davvero fare una cosa, bastano piccolissime soddisfazioni per ripagarti».
Suonare nei locali jazz di Parigi e a Sanremo non sono piccole soddisfazioni. «È vero, sono molto contento perché ho raggiunto un certo livello, ma ero felice anche prima, quando suonavo in qualsiasi posto avessero bisogno di un pianista. Sono sicuro che avrei fatto il musicista comunque, e che lo farò per il resto della mia vita. In ogni caso, successo o non successo».
Avere un padre già nell’ambiente è stato un aiuto? «Sì, più che altro come mentalità. Diciamo che mio padre non mi ha mai fatto scenate per obbligarmi a trovare un posto fisso da impiegato, ecco. Condividiamo la stessa passione, è molto bello avere il suo incoraggiamento. Allo stesso tempo, mio padre ha sempre insistito sul fatto che scegliere la musica non vuol dire fare la festa. È un lavoro. Ma io adoro questo lavoro».

Onore a Ellington. Raphael ricorda il momento decisivo, quello del provino con Caterina Caselli, alla Sugar. «Ero emozionato, ma più che stress sentivo il piacere di suonare davanti a una donna che è parte della storia della musica italiana, una persona davvero molto esperta». Che pezzi ha scelto per impressionarla? «Ho voluto suonare qualcosa di mio, perché tengo molto alle mie canzoni. E poi una cover, il classico Caravan di Duke Ellington, che è piaciuta ed è finita nel primo album con la Sugar, Reality and Fantasy».
Osservare Gualazzi, ragazzone gentile nato a Urbino, mentre parla di ragtime in ottimo inglese a Parigi con le tre coriste nere e la sezione fiati, fa pensare alle imprevedibili strade che prende talvolta la musica tradizionale lontano dal luogo d’origine. Come il tango, che a partire dagli anni Trenta è bizzarramente entrato a far parte della cultura finlandese con una sua variante autoctona, qui c’è una musica autentica, personale e non scopiazzata, una via marchigiana al jazz che si sviluppa a migliaia di chilometri da Louisiana e Missouri. «Non riesco a fare a meno di scrivere le canzoni che canto, è una parte fondamentale del mio lavoro», dice Raphael, e alla fine questo permette alla sua musica di non limitarsi a riprodurre un canone.
Gualazzi trasmette la pacifica serenità di chi ha trovato la sua strada, non sarà certo la rivoluzione digitale nella musica a poterlo turbare: «Gli mp3 e lo streaming sono un’ottima cosa per assaggiare un po’ di tutto, è facile passare in un attimo da una canzone all’altra, da un genere all’altro. È una cosa molto utile. Dopodiché, quando si tratta di mettersi lì ad ascoltare un album per intero, con attenzione e piacere, preferisco tornare al vinile. Un buon antidoto contro lo zapping».
Mancano pochi giorni al Festival di Sanremo, questa volta Raphael partecipa nella sezione “big”. Come ci arriva? Che cosa legge, vede, ascolta? «Una biografia di Ray Charles, e un film su Edith Piaf».