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 2013  gennaio 25 Venerdì calendario

COME SALTA IL GRILLO

In viaggio con i leader
È l’unico che corre da una piazza all’altra a cercarsi l’elettore. Tra eccessi verbali e slogan, ecco a voi lo show–

Il corpo del Grillo si allunga, si sporge, si spalanca. Sul palco i piedi battono il ritmo, evitano una selva di fili, due passi avanti due indietro, il petto si gonfia, la voce sale di tono, il microfono passa di mano. «Abbassa la musica!», ordina. «Alza il volume!», ri-ordina. «Alza, sennò mi tocca urlare! Ce l’hai un po’ d’acqua?», beve. «Quanti siamo stasera? Per la questura settanta, per i giornali nessuno...», ri-beve. In autunno cominciò la corsa elettorale in Sicilia attraversando a nuoto lo stretto, oggi la campagna elettorale di Beppe Grillo, lo Tsunami tour, è un tuffo in un mare umano, sono in tanti a volerlo vedere, sentire, toccare, votarlo mah, chissà. Perfino il quasi omonimo Beppe Cirillo che a Caserta si presenta con il simbolo taroccato del Movimento 5 Stelle. Oppure i ragazzi dei centri sociali che a Napoli e a Salerno lo contestano al grido di: «Qui non c’è Casa Pound». Grillo passa, benedice, imbacuccato in un impermeabile bianco sembra un inquisitore domenicano, un angelo sterminatore, il pupazzo della Michelin. L’uomo della tv anni Ottanta, di Sanremo e di Fantastico, della pubblicità e poi di Internet getta nella battaglia l’arma più antica: il contatto fisico. La sua voce, le sue manone, la saliva, il sudore. Il corpo del Grillo.
È l’unico evento di questa triste campagna 2013. Tabelloni vuoti perché i manifesti sono pochi e i soldi dei partiti sono finiti, candidati fantasma, tutti barricati in tv, nel deserto l’unico che va a cercarsi l’elettore in casa e senza rete è il comico che si è fatto Leader. A Taranto, dove finora non si è visto nessuno, a lambire il quartiere Tamburi, segnalato dalla polverina rosa che si deposita sul guard-rail della tangenziale intorno all’Ilva, sui muri del cimitero, nei polmoni, «qui per parlare ho dovuto metterci il sangue, non ascoltano più nessuno», dice Grillo. Su palchetti improvvisati, sotto la pioggia, con il fiato che si gela. Su e giù per il Sud, dove 5 Stelle non ha ancora sfondato e il terreno è fertile, piazza per piazza, paese per paese. Come in un altro viaggio elettorale, quello per il voto del 17 gennaio 1875, il candidato era l’insigne critico Francesco De Sanctis, un altro outsider della politica, anche in quel caso si votava d’inverno, borghi irraggiungibili, strade di fango, «i sentieri erano innevati e pietrosi», scrisse il letterato nel suo famoso libretto, il primo reportage sul voto dell’Italia unita. All’epoca si viaggiava in carrozza, Grillo si sposta in camper, un camerino ambulante: un lavabo, un bagnetto, un armadio, sul tavolino c’è un asciugamano, una bottiglia di Gatorade, un libro di Ferdinando Boero biologo marino, un cesto di arance che gli hanno regalato in Salento. A bordo con il capo viaggiano in tre, lo staff: Walter, l’autista guardaspalle con il cappello da surfista e gli stivali a punta, Pietro, l’addetto ai social network, la new entry Salvo Mandarà, ingegnere elettronico immigrato ad Abbiategrasso, ha cominciato a filmare e mettere in Rete in diretta i comizi di Grillo a Misterbianco, erano in 15 a collegarsi, ora lo tallona ovunque e connette via streaming ogni sospiro del Leader, accanto a lui tutta la giornata, «comincia a riprendermi alle otto del mattino», sospira Beppe, uno zainetto, un treppiede, una telecamera, la pettorina del movimento. Un cyborg grillino.
Cambiano i mezzi di trasporto e di comunicazione, ma nel rapporto con il potere il Sud è ancora simile a quello descritto da De Sanctis 140 anni fa. «Qui non c’è politica, o meglio politica c’è, ma è nome senza sostanza, pretesto di altri interessi e di altre passioni. La lotta qui, piuttosto che da principi politici, è ispirata da aderenze, parentele, clientele, sudditanze...». A Napoli, in attesa dello sbarco di Grillo, si consuma la faida nel Pdl campano, nell’albergo con spettacolare vista sul Golfo Nicola Cosentino rovescia la sua rabbia sui compagni di partito, gli Alfano, i Caldoro, «i fighetti di Palazzo», «i perdenti di successo». La sala è piena di signore imbellettate, clienti affannati, «Nicola non devi mollare!», gli gridano. A Caserta sotto il palco di Grillo, accanto alla Reggia dove una volta si riunì anche il governo Prodi, si discute del giovane, brillante Gianpiero Zinzi, candidato nell’Udc, figlio dell’uomo forte della provincia Domenico, gran collettore di voti, «è organizzato in tutti i comuni, settantamila, ottantamila preferenze», raccontano. A Taranto ricordano ancora di quando il sindaco Cito si fece riprendere dalla sua tv mentre faceva a nuoto da Campo Marino al porto, prima di mandare in dissesto la città, altro che traversate grilline.
De Sanctis, nel 1875, sentì il bisogno di arrampicarsi sulle montagne irpine per incontrare fisicamente gli abitanti di Rocchetta, il voto precedente era stato annullato per brogli: «I miei elettori sono involti in una rete di menzogne e di equivoci. Avete intorno al mio nome inalberata la bandiera della moralità. Ed eccomi qui in mezzo a voi. Ed ecco la verità». Per dire che l’anti-politica, e l’indignazione, hanno da queste parti una nobile tradizione. «Ma ora di anti-politica non parla più nessuno», si ribella Grillo. Nel 2007, quando tutto cominciò con il Vaffa-day di Bologna, i partiti sembravano fortezze inespugnabili. L’iniziativa di legge popolare per le liste pulite prevedeva il divieto di candidarsi per i condannati, il limite di due legislature, il ripristino del voto di preferenza per i parlamentari, raccolse oltre 300 mila firme ma non fu mai neppure discussa. Oggi, rivendica beffardo Grillo, «ci stanno copiando tutti, Cosentino scappa con Corona, la vera antipolitica la fanno i partiti, il Pdl è a Cinque Stelle. Vogliono le liste senza condannati: e chi cazzo li vota, non resta più nessuno». Nelle piazze la benzina è sempre la stessa: «Il nostro programma è uno solo: a casa tutti», urla. Ma la novità di questi giorni è che nell’Italia della crisi attaccare i partiti non basta più, gli applausi più forti scattano quando il comico difende la casa «che è sacra» o chiede la chiusura di Equitalia. E poi via con l’abolizione dell’Irap, la difesa delle piccole e medie aziende, l’eliminazione del redditometro «perché non è lo Stato che deve sapere come spendo i soldi, sono io che voglio sapere cosa fanno loro con i miei». Ricorda qualcuno? Nelle piazze l’elettore berlusconiano è una preda appetibile, visibilissima, applaude convinto, ritrova temi e toni a lui cari. Insieme alla rivendicazione di temi di sinistra: scuola pubblica, acqua pubblica, sanità pubblica, reddito di cittadinanza per giovani disoccupati e per chi perde il lavoro, contro le banche e contro la finanza. Un po’ Berlusconi un po’ No Global. Di destra o di sinistra? «Macché», si ribella il comico, «le idee o sono buone o sono cazzate».
Lui, per esempio, ne spara tante. Alcune innocenti, altre pericolose. «Invece di fare la guerra in Mali perché non sparare qualche missile al centro di Roma dove c’è un Parlamento che ci prende in giro da trent’anni?». Bombardare il Parlamento? Una mostruosità che si aggiunge alle altre: chiudere i sindacati, «la triplice Cgil-Cisl-Uil è uno scivolo per andare in politica», tagliare i fondi pubblici ai giornali «linoleum del sistema», i politici «malati psichiatrici», Giorgio Napolitano «o’ guaglione che ha tre Maserati», ottimizzare i costi negli ospedali per i malati cronici, «perché, signori, a un certo punto si muore, qualcuno dovrà pur dirlo...».
«Ma è da trent’anni che parlo così, in modo paradossale, non posso cambiare ora», spiega il Grillo furioso ma finalmente pacato, lontano dai riflettori, mentre fa colazione in un albergo sul lungomare di Taranto e aspetta di farsi intervistare dalla tv svedese. Tutto paradossale, già, perché poi in quel Parlamento che vuole bombardare Grillo si prepara a spedire un centinaio e più di deputati e senatori grillini. Li presenta tutte le sere nelle piazze, sul palco con lui a prendere coraggio e presentarsi così come sono, goffi, impacciati, rompicoglioni da condominio («Faccio il rappresentante di istituto, mi batto per i termosifoni a scuola...»). Con i loro curriculum improbabili, inconcepibili per i cinici habitué del Transatlantico: avvocati, professori universitari. Ma anche postini, vigili del fuoco, custodi di parchi marini. Luigi Di Maio, 26 anni di Pomigliano d’Arco, numero due in Campania 1, ben piazzato per un seggio alla Camera, ha fatto lo steward in tribuna allo stadio San Paolo e il cameriere, studia giurisprudenza e lavora come video-maker. Fabiola Anitori, capolista nel Lazio, sicura senatrice, insegna scienze in un liceo di Ostia. Giulia Sarti, 26 anni, numero uno in Emilia, futura deputata, è animatrice di spiaggia per bambini a Rimini. Ma ci sono gli attivisti, impegnati nei referendum sull’acqua pubblica e sul nucleare come la capolista romana Federica Daga, i militanti No Tav come il valsusino Marco Scibona, i volontari internazionali come Alessandro Di Battista, candidato nel Lazio, che ha lavorato in Colombia, in Cile «a sostegno del popolo Mapuche» e in Guatemala, in posizione forse più scomoda dell’ex pm Antonio Ingroia. E qualche professionista del grillismo, tipo il capolista al Senato in Puglia Maurizio Buccarella, che si vanta di aver partecipato al movimento fin dall’inizio, si candida con la sorella Tiziana ed è contestato dagli iscritti di Galatone per aver fatto campagna per sé alle primarie on line per il posto in Parlamento. In Puglia hanno inseguito Grillo con uno striscione: «Beppe, le parlamentarie sono truccate, tu lo sai e taci!». Perché è vero, come recita lo slogan di 5 Stelle, che «uno vale uno», ma poi uno si accorda con un altro e diventano due e in tre già fanno una corrente...
Cittadini normali, nell’insieme, il contrario dell’uomo qualunque. Perché non si può ignorare che questi matti grillini che raccolgono le firme per le loro liste e si candidano a entrare nelle istituzioni sono una riserva di partecipazione in un Paese dove il voto è in crisi, la messa in moto di energie che i partiti tradizionali non intercettano più da tempo. Si può ironizzare sulla fragilità della pattuglia grillina che si prepara ad assaltare il Parlamento, i sondaggi tornano a segnalare 5 Stelle in crescita, sopra il 15 per cento, come sempre quando si muove il Leader e gli altri partiti si involvono nel politichese, si può temere che lo tsunami partorisca un topolino e che dopo poche settimane i deputati e i senatori grillini affondino nell’irrilevanza. E lo teme, in fondo, anche Grillo. «Forse in Parlamento ci saranno i voltagabbana, non lo so, dieci su cento se ne andranno, cosa posso farci io?». Visto da vicino e giù dal palco è un uomo di 65 anni, con ombre di imprevista malinconia, un’incertezza, un indugio, quasi un bagliore di disperazione per quello che ha messo in piedi e che forse teme di non riuscire a controllare. «Non mollo il movimento, ma dopo le elezioni voglio tornare a fare il mio lavoro, farò uno spettacolo a pagamento, mi devo sperimentare con qualcosa di nuovo», confessa. «Non mi piace questa esaltazione nei miei confronti, il leaderismo è finito, io sono solo l’acceleratore di un processo». Di fronte alla tragedia dell’Ilva e agli abitanti di Taranto una sera gli è capitato di restare senza parole: «Non ho una soluzione. Siete voi che dovete trovarla». Succede: il populismo resta senza argomenti quando è chiamato a dare risposte anziché lanciare domande. Ma il grillismo ha già fatto scuola, costringendo già da ora gli altri partiti a cambiare volto: Berlusconi caccia Cosentino, Monti presenta le sue liste senza parlamentari uscenti, dal 5 Stelle al Rotary, Bersani rottama D’Alema e rinnova con giovani e donne. «5 Stelle si trova di fronte alla sfida classica e difficile per ogni organizzazione, (non)partiti compresi: l’istituzionalizzazione del movimento», hanno scritto i ricercatori Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini sull’ultimo numero del "Mulino". E dunque attenzione a liquidare l’esercito dei comici spaventati guerrieri grillini sotto l’etichetta dell’antipolitica. Sono semmai l’avamposto variopinto, smodato, confuso come ogni stato nascente di una nuova politica.