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 2013  gennaio 25 Venerdì calendario

I NUOVI ANALFABETI, IGNORANTI DI RITORNO

Analfabeti in quattro mosse. O meglio, in quattro date: 1985, nascita di Explorer; 1996, maturazione della prima generazio­ne di nativi digitali; 2001, crescita e­sponenziale dei non istruiti; 2006, i non istruiti tornano a essere la mag­gioranza. Sempre che non ci si trovi agli albori di un nuovo alfabeto. Ma andiamo per ordine. Tutto lo si può far cominciare con i dati Istat 1951, secondo i quali il 46,3% degli italiani erano senza licenza elementare e circa il 50% di costoro era analfabeta totale. Scenario completamente tra­sformato nel 2011, quando il 53% della popolazione ha almeno il di­ploma e solo il 5% non ha alcun tito­lo di studio. E allora, dov’è il proble­ma? È in un recente studio di Arturo Marcello Allega Analfabetismo. Il punto di non ritorno (Herald Edito­re) che, ricchissimo di grafici e tabel­le, rimette tutto in discussione. Gli a­ridi numeri della statistica, vi si leg­ge, non documentano affatto il suc­cesso dell’istruzione dal ’51 a oggi. A ben analizzarli, infatti, risulta non solo che una buona fetta della popo­lazione non è in linea con gli attuali limiti dell’obbligo scolastico, ma che c’è anche, a partire dal 2001, una crescita esponenziale degli analfabe­ti di ritorno al punto da dire con «precisione matematica» che oggi i non istruiti sono più degli istruiti. A sottolineare il concetto di «precisio­ne matematica» è lo stesso Allega che, docente di fisica e dirigente sco­lastico di un importante liceo roma­no, si occupa da sempre di modelli e di tecniche didattiche anche per il Miur. Una competenza e una pratica quotidiana tale da consentirgli di ben rappresentare la «disperazione dei docenti» di fronte all’incapacità delle riforme ministeriali e dei re­centi indirizzi scolastici di far fronte alla «disperante situazione dei nostri ragazzi». Se infatti si prendono per buoni i dati forniti sia dagli studi ’In­valsi’ che da quelli ’Ocse-Pisa’ (che sta per Programme for International Student Assessment ), si scopre che «in terza media il 98% dei ragazzi si colloca sotto la media europea per capacità di apprendimento, ma oltre il 99% supera l’esame. Un paradosso che evidenzia l’incapacità istituzio­nale di governare quella che nei fatti è un’emergenza concreta».

Dunque le positive statistiche del 2011, rispetto a quelle del ’51, dico­

no in realtà il falso.

«La constatazione l’avevano già fatta Tullio De Mauro e Saverio Avveduto in un libro Laterza del 1995. Se dopo aver conseguito un titolo di studio un individuo non continua ad eser­citare e aggiornare le conoscenze apprese, succede che finisce per per­derle. Secondo De Mauro e Avvedu­to le perde in un periodo quantifica­bile negli anni che ha impiegato per ottenere il titolo. Se ha la quinta ele­mentare ci mette 5 anni, se ha la li­cenza media ne impiega 8 e via di­cendo... ».

Per costruire il suo modellino mate­matico ha applicato queste scaden­ze?

«Sono stato più buono. Ho stimato un tempo di azzeramento più ampio per ogni fascia di istruzione e l’ho applicato ai dati Ocse forniti ogni decennio per le medesime fasce. Poi sono andato a vedere quanti sono coloro che possono aver perso le competenze relative al loro ti­tolo di studio. Ho incrociato i dati con altri parametri come gli indici di lettura».

Ed è emerso?

«Che le curve generate dal modello tendono ad avvici­narsi progressivamente all’an­damento descritto dalla legge di Pareto secondo la quale gran parte dei fenomeni so­no descrivibili con la propor­zione 80-20 ».

E alla cultura nel nostro Paese que­sto come si applica?

«I dati dal 1971 al 2011 dicono che la popolazione con un livello di cultura non più sufficiente è ormai il 70% del totale. Ho misurato anche la ve­locità con la quale crescono le due popolazioni e ho scoperto che il boom di crescita dei non istruiti si è avuto a partire dal 2001. In sostanza dal 1981 al 2001 sono cresciuti del 4%, ma dal 2001 al 2011 sono cre­sciuti del 16%. Al contempo gli i­struiti, che dal dopoguerra erano sempre cresciuti, dal 2001 sono di­minuiti del 6% fino al punto che nel 2006 i non istruiti hanno superato gli istruiti crescendo poi in maniera esponenziale».

Questo prendendo per buono il suo modello applicato al ragionamento di De Mauro e Avveduto. Ma il suo libro evidenzia anche dati reali che lasciano perplessi.

«Nessuno ci pensa, ma la percen­tuale dei laureati sulla popolazione è stabile da ormai una decina d’an­ni e si colloca fra il 12 e il 13%. Ana­logamente la percentuale dei diplo­mati, attestata fra il 38 e il 39%.

Mentre da circa vent’anni la percen­tuale di chi non ha alcun titolo di studio, anche a causa dell’immigra­zione, è fra il 7 e il 5%».

Numeri che nel libro lei associa a fenomeni sociali come l’avvento di Internet.

«Non è un caso che la prima delle quattro date che secondo me han­no rivoluzionato il mondo la indico nel 1985, anno della comparsa di

Explorer e quindi del web. Così co­me quella del 2001 coincide con l’e­splosione della diffusione delle tec­nologie digitali. Si può anche pen­sare che stia nascendo un nuovo al­fabeto e che quel 70% non sia com­posto da ’nuovi barbari’, ma da ’nuovi alfabeti’. Nei fatti, però, ci troviamo in un mondo del tutto nuovo in cui il successo sociale ed economico, così co­me propagandato dai media tradizionali e da internet, appare slegato dalle capacità culturali dell’indivi­duo. Si assiste all’ar­roganza del self made man orgoglioso di es­sere senza studi. La scuola è impreparata. E mi viene da pensa­re che una società de­mocratica rischia, su questa strada, di diventare sempre più manovrabi­le e fragile».