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 2013  gennaio 24 Giovedì calendario

FRATELLASTRI D’ITALIA

[Fabrizio Gifuni]

«Si era arrivati a un situazione non so se più tragica o grottesca di un blocco di milioni e milioni di uomini i quali acconsentirono di obbedire a un branco di ladri e di avventurieri, sapendo che essi erano avventurieri e ladri, e non riuscivano a sperarne la liberazione se non da forze esterne a loro…». Quando Fabrizio Gifuni legge le parole scritte da Raffaello Ramat, critico letterario e partigiano, nell’estate del 1943, alla vigilia della caduta del fascismo, ciascuno degli spettatori pensa ai ladri e agli
avventurieri che sono venuti dopo e ai quali gli italiani hanno obbedito. L’attualità della memoria storica è il lavoro degli ultimi dieci anni di teatro di Gifuni, in scena stasera all’Olimpico di Roma con
Gli indifferenti — Parole e musica da un ventennio,
di e con Gifuni, Monica Bacelli e Luisa Prayer, una ricerca di materiali letterari, musicali e storici sulla comoda acquiescenza del mondo intellettuale italiano al regime mussoliniano.
Il filo della memoria lega la serata alla serie di quattro spettacoli che andranno in scena dal 29 gennaio al 10 febbraio al teatro Vascello di Roma, dedicati da Gifuni e da Sonia Bergamasco al grande compagno di scoperte teatrali di questi anni, Giuseppe Bertolucci, splendido regista e bella persona.
Nelle locandine de
Gli indifferenti
non avete dovuto scrivere che si trattava soltanto di materiale di archivio, come nello spettacolo preso dai diari di guerra e dall’Eros
e Priapo
di Carlo Emilio Gadda, me l’effetto è ugualmente sbalorditivo.
«Sì, allora avevamo dovuto scriverlo perché qualche spettatore si era convinto che quelle non fossero parole scritte da Gadda, ma una specie di pamphlet adattato da Giuseppe Bertolucci in chiave antiberlusconiana. C’era anche chi prendeva e se ne andava, borbottando frasi contro i comizi della sinistra. Povero Gadda, fieramente conservatore e liberale, scambiato per un comunista ».
Con
Gli indifferenti
corre lo stesso rischio. Le parole di Ramat non sembrano un commento a questo ventennio?
«C’è un problema eterno degli italiani col fascismo e con le classi dirigenti criminali. Quelli che Gadda definiva gli “entusiasmati a delinquere”».
Vi sono squarci fra il grottesco e l’orripilante, come la lettera servile di Pietro Mascagni
a Mussolini, gli articoli del
Corriere
che invocano la persecuzione degli ebrei prima delle leggi razziali. Avete scelto di raccontare l’Italia maggioritaria che aderì al fascismo, piuttosto delle nobili minoranze antifasciste e l’effetto è emotivamente molto più forte.
«Appunto perché si tende a rimuovere quella storia. Si parla molto degli undici professori che rifiutarono il giuramento al fascismo, piuttosto che dei 1250 che vi aderirono. In quale modo, perché, con quali parole e quali sentimenti, questo ci interessava».
Il teatro è ormai l’ultimo luogo della memoria civile. Cinema e letteratura sembrano aver abbandonato il genere. Perché?
«Gli attori vivono di memoria, anche da un punto di vista tecnico. Siamo gli ultimi a imparare a memoria qualcosa. A parte questo, il teatro è rimasto l’ultimo luogo dove una comunità
si sente tale».
E’ questa la ragione per cui si svuotano tutti i luoghi collettivi, le piazze dei comizi, le sale di cinema,
perfino gli stadi di calcio, ma non i teatri, nonostante
la crisi?
«C’è una grande voglia, di giovani e meno giovani assediati dalla virtualità, di tornare a far passare l’esperienza attraverso il corpo. “Corpo di scena” si intitola la rassegna del Vascello dedicata a Giuseppe Bertolucci. Pasolini diceva che la differenza fra lui e altri intellettuali era che tutta la sua ideologia nasceva sempre da un’esperienza fisica. Ed è quello che fa sopravvivere le parole e la figura di Pasolini ancora oggi, rispetto a tanti passati di moda».
Gadda e Pasolini sono stati i numi della sua ricerca teatrale. Che cosa ha trovato di comune in due scrittori così lontani?
«Prima di tutto, un furioso amore per il proprio Paese. Sono etichettati come due antitaliani, ma è difficile trovare in altri scrittori del Novecento un così struggente amor di patria. L’altro è un tratto etico, la capacità di assumersi la responsabilità ».
E questo non è un tratto antitaliano? In tutti i suoi spettacoli emerge una fantasmagorica, a tratti geniale capacità degli italiani di rimuovere qualsiasi responsabilità individuale o collettiva. Una specie di costante ricerca dell’alibi.
«Oggi c’è la casta, questa meravigliosa parola magica che ci toglie ogni peccato. Mi domando: che cosa avrebbero scritto oggi Gadda e Pasolini su un espediente tanto volgare?».
Gli indifferenti
è all’Olimpico soltanto stasera. Dal 29 gennaio Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco sono al Vascello con ‘
Na specie di cadavere lunghissimo
da scritti di Pier Paolo Pasolini,
Un’amicizia in versi
ovvero il carteggio fra Pasolini e Attilio Bertolucci,
Karenina, prove aperte di infelicità
di Sonia Bergamasco ed Emanuele Trevi da Tolstoj,
Il piccolo principe
da Antoine Saint-Exupéry.