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 2013  gennaio 24 Giovedì calendario

CORONA, LA RESA E LA PAURA FINE DEL REALITY ITALIANO


IL GIORNO in cui disintegrò Fabrizio Corona, Belen Rodriguez se ne stava al sole su una terrazza di Los Angeles e guardava il suo amore giovane e nuovo. Disse: «Con quello di prima non ce la facevo più: era vecchio, con la testa piena di complotti e paura». Si uccidono così anche i tamarri. Una frase appena e le immagini falliche diventano fallaci, il muso duro una maschera.

E SUL torace, all’altezza del cuore, si tatua quella parola: «paura». Che poi quest’uomo fugga davanti alla prospettiva del carcere e crolli di fronte ai poliziotti che lo arrestano appare, più che un epilogo, una scena sui titoli di coda, quando la storia è già finita e il protagonista un’ombra sul muro.
Soltanto nel Paese di Schettino uno come Corona poteva assurgere a simbolo del Male, mentre incarna faticosamente il Così Così: tira a campare, cede e si concede, abbaia e demorde. O. J. Simpson
era accusato di duplice omicidio, scappò su un’autostrada californiana guidando una Ford Bronco, inseguito da uno sciame di auto della polizia e dallo sguardo di cento milioni di telespettatori. Fabrizio Corona era condannato per estorsione, è fuggito su una Fiat 500, lungo le statali, braccato con il tom tom da agenti seduti al caldo e vegliato da tutti i suoi amici su Facebook. Colonna sonora: Anna Oxa, «Un’emozione da poco».
Quel che può valere tanto è la chiusura di un capitolo di cronaca che voleva farsi storia, senza averne la statura. L’epopea del trash non era altro che una stagione di telerealtà fomentata da comparse spacciate per primattori. Il mormorio di fondo è stato amplificato da intellettuali stanchi di duellare con Lacan e allora, dai, scambiamo Signorini per un avversario. Tutto è trasfigurato, si usano termini di contrabbando, eufemismi di comodo: la fuga diventa «un viaggio», arrendersi alle forze dell’ordine «costituirsi». Di qua le chiacchiere, di là il distintivo. «Corona ha pianto vedendo i poliziotti», Corona querelerà chi lo afferma. Colonna sonora: Bobby Solo, «Una lacrima sul viso».
Se ne sono sentite fin troppe su questo personaggio. Alle critiche più feroci ha replicato: tutta invidia. Per la sua vita, le sue donne, la sua spavalda energia. Non sono qui a seppellire Corona, né a elogiarlo. Un po’, ad entrambe le co-
se, ha già provveduto da sé. Francamente, la sua esistenza non è di quelle a cui penso con entusiasmo: ha passato notti con Lele Mora, ha discusso in tinello e in tribunale con Nina Moric, ha pagato il conto di una cena di Nicole Minetti e compagnia mentre stava seduto a un altro tavolo.
Berlusconi in una intercettazione dice che «non ha cervello una che si mette con questo qua». E lui, uomo incendiario, manco una scintilla d’orgoglio. Mentre scappava dalla (in) giustizia ha proclamato che sarebbe morto come Scarface, idolo di tutti i guappi. In scala 1: 1.000.000 è la
storia dei dittatori mediorientali. Giuravano: «Ho vissuto con la spada, morirò con la spada», poi li sono andati a tirar fuori da buche nella sabbia, tremanti di paura.
Paura è, dunque, la parola chiave. Corona se n’era andato in Portogallo per timore di essere rinchiuso nelle carceri italiane. Perfettamente comprensibile. E tuttavia c’è il diverso atteggiamento di Fioravante Palestrini, meglio conosciuto come Uomo Plasmon per via di un carosello in cui mostrava scultoree terga. Arrestato al largo mentre trafficava stupefacenti fu richiuso nelle prigioni egiziane, al cui confronto quelle italiane sono centri benessere. Alla prima ora d’aria vide
una enorme sfera di cemento in mezzo al cortile. Ce l’avevano sospinta quattro guardie. La sollevò da solo, la tenne alta e si guardò in torno con aria di sfida. Si fece vent’anni senza una molestia. Erano tempi in cui, detto senza nostalgia, perfino nella pubblicità c’era del vero. Corona, invece, sembra la reclame di se stesso. Un prodotto, della sua fantasia. Come è successo a molti (penso a Sgarbi o Grillo, per esempio) ha affondato la propria natura sotto una marea di slogan, atteggiamenti e velleità. L’ultima destinazione è la prova del suo disorientamento. In Portogallo ci si andava «alla rivoluzione con la due cavalli», ma ora i garofani sono appassiti. Gli ultimi esuli da quelle parti furono i Savoia a Oporto e Miccoli al Benfica, ma nessuno ebbe fortuna. Essere fermato a una stazione della metropolitana appare una contraddizione in termini, ma tutta questa storia lo è.
Colonna sonora: Franco Battiato,
«Il silenzio del rumore».