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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

DARIA BIGNARDI HO INCONTRATO I CATTIVI

Quello tra Daria Bignardi e la televisione è un rapporto che, se fosse tra umani, avrebbe delle note sado-maso. Di quelli che le amiche ti dicono di lasciar perdere.
Le invasioni barbariche riparte mercoledì 23 gennaio per la sua nona stagione (le due novità: l’Agenda di Geppi Cucciari, un monologo di cinque minuti; e quattro interviste per ogni puntata, senza nessun talk) e lei dice «sì-sono-contenta-sì» fischiandolo fuori come un sospiro, sicura che con il programma ripartirà tutto: le critiche, le lodi, i punti percentuali dello share.
Seduta al tavolo di casa e alla presenza del gatto Obama (perennemente sofferente perché lei, la padrona, vive nel ricordo dell’amatissimo primo gatto Micione) racconta che una volta, agli inizi, soffriva come un cane, durante e dopo. Prima, invece, doveva bere qualcosa di forte, tipo un grappino. Ora va meglio, molto meglio perché «è come guidare l’aereo: le ore di volo cumulate fanno differenza. Però ancora adesso quando ci sono i neri della pubblicità mi truccano, mi danno il tè caldo e io neanche mi accorgo, mi ricordo. La Tv è una cosa che posso fare per poco tempo, una sola stagione: oltre le 12 puntate non reggo. Ho questo fisico macilento». Macilento no, ma magro. Le chiedo se è dimagrita. Mi spiega che no, che lei è così, è sempre lei, la televisione, che la ingrassa.
Pure quello.

Perché non ha mai smesso se ci sono tutte queste controindicazioni?
«Per senso del dovere: per qualche strana ragione sento che la devo fare la televisione. Non so, c’è qualcosa di karmico».
Anche qualcosa di vanitoso?
«No, per niente. Se mi rivedo mi trovo bruttissima e con la voce da gallina. Mi sotterrerei».
Qual è la cosa bella di questo lavoro?
«Raccontare delle storie, tirare fuori lati inaspettati delle persone. Quest’anno in ogni puntata ci sarà una storia forte e inedita, è stato bello trovarle e sceglierle, inserirla tra gli altri ospiti. In redazione abbiamo una griglia e passiamo il tempo ad appiccicare e spostare post it coi nomi di chi verrà in trasmissione: in ogni puntata ci sono il politico, l’icona Tv, la storia e l’intervista pop. Amiamo la griglia, il nostro motto è che la griglia è sacra».
Sulla griglia quindi c’è il post it «Matteo Renzi» e non quello «Silvio Berlusconi». Invita solo chi le piace?
«Ho invitato Renzi alla prima puntata perché l’ho adocchiato da quando era ancora presidente della Provincia e ora mi incuriosisce sapere che cosa farà dopo la sconfitta delle primarie. Non ho invitato Berlusconi perché so già come andrebbe l’intervista: da lui non c’è nulla di sorprendente, nuovo o diverso da tirare fuori. Non in campagna elettorale, almeno. In un altro momento mi avrebbe fatto piacere averlo come ospite».
Chi non è mai venuto, e le dispiace?
«Nanni Moretti. Sarà il quarto anno che ci accordiamo, lui quasi subito dice sì e poi non viene. Peccato, perché mi piace tanto».
C’è qualcuno che, invece, l’ha delusa?
«Per deluderti vuol dire che prima ci devono essere delle aspettative. Diciamo che mi hanno deluso i cattivi, quelli su cui tutti pensano più o meno la stessa cosa. Io ogni volta credo di ravvisare in loro qualcosa di bello, una luce, un aspetto diverso, e mi illudo che, intervistandoli, lo tirerò fuori. Vengo a casa e dico: ma sai che la Carfagna secondo me è simpaticissima, ma sai che Corona non è come sembra. Mio marito mi guarda e dice: mah. E infatti poi in studio non viene fuori niente. Se sono cattivi un motivo ci sarà».
Tra i suoi colleghi chi le piace di più?
«Non saprei, mi piacciono le interviste scritte».
Fazio non lo guarda?
«Va in onda proprio quando ceniamo. Lo guardo se c’è un ospite che mi interessa».
Letterman? Leno?
«Ognuno ha il suo stile di fare Tv: adesso le mie icone sono i cuochi di MasterChef, infatti li ho invitati tutti e tre alla prima puntata».
Il suo stile qual è?
«Non lo so».
Dicono sia algida.
«Lo so, me lo dicono tutti, anche che sono snob. Lucia Annunziata dice che la Tv è l’occhio di Dio: ti rivela per quello che sei. Forse io sono antipatica, ma è una cosa difficile da dire di se stessi. Snob no, io sono la figlia della maestra, non posso essere snob. Penso di risultare quello che non sono per un malinteso di fondo: la televisività non mi appartiene davvero».
Le dispiace passare così?
«Ma pazienza. Meglio algida che strappona».
Scrivere la rappresenta meglio?
«È un’espressione di me più profonda. A parte la famiglia, è la cosa più bella che ho. Ho cominciato a scrivere a otto anni, il mio primo romanzo si intitolava Illusioni perdute. Era la storia di due ragazzi che si incontravano a Londra al bar Roma e si lasciavano. Ci ho messo quasi 40 anni a pubblicare davvero, ma forse già allora sapevo che scrivere era una magia».
Scrive con disciplina?
«Scrivo in una bolla, in una specie di trance, come quando ci si innamora in modo ossessivo, riscrivo e leggo a voce alta, ascoltando la musica del testo. Mi immergo in un mondo, vivo delle esperienze che, una volta attraversate con la scrittura, non saranno più le stesse. Scrivere di certe cose cambia i rapporti che hai con queste cose. Per questo forse, se ami tantissimo qualcosa, devi stare attento, forse evitare, addirittura, di scriverne».
Lo sa che su Twitter c’è qualcuno che ha assunto l’identità di Arno, il protagonista dell’Acustica perfetta, il suo romanzo, e parla come lui?
«Lo so. Un po’ all’inizio mi inquietava, ma poi gli ho scritto chiedendogli chi fosse, e lui mi ha risposto: “Uno a cui è piaciuto il libro. Ma se le dà fastidio smetto”. Io ho risposto: “Faccia pure”».
Che mamma è per Ludovico e Emilia?
«Una madre emiliana e anziana: li ho voluti fortemente e mi ci dedico tanto, sapendo prendere il bello di ogni loro età: adesso Ludovico ha 16 anni e parliamo tanto, con Emilia c’è ancora un rapporto di necessità fisica, e di intendersi tra femmine. Loro mi ripagano regalandomi forse l’unico vero rapporto in cui mi metto in gioco, senza scuse e senza sconti. Per loro ho il dovere di fare una cosa di cui ho il mito: migliorarmi».
In che senso?
«È una cosa che penso fin da bambina: essere sempre più buoni, gentili, liberarsi di sé. Penso che il conflitto aiuti molto a migliorarsi. In passato l’ho molto praticato, adesso meno».
È stata rissaiola?
«Abbastanza. Sono una persona un po’ prepotente. E anche ansiosa. Due cose che sul lavoro, se gestite bene e girate in positivo, funzionano perché si trasformano in saper prendere decisioni ed essere perfezionista. In famiglia invece non funzionano per niente, e infatti ci lavoro sopra tutti i giorni. Mi viene più naturale lavorare che essere una buona moglie e madre».

Quando mi saluta, sulla porta di casa, dice: «Mi raccomando, non mi faccia troppo antipatica». Ma questa non è la Tv, questo è Vanity Fair. Neanche ingrassa.