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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

DA «I» A «ZETA», IL LUSSO TRATTARVI COME ADULTI

[Dopo dieci anni di Infedele, un nuovo programma. In onda in seconda serata perché la prima, ormai, è riservata agli indignati che gridano: «Tutti ladri!»] –
Questa settimana torno in Tv il venerdì sera su La7 subito dopo lo show di Crozza, al quale porterò via una Zeta per raccontarvi l’orgia, pardon, la Commedia del potere. Ricomincio nel mezzo di una campagna elettorale che, in apparenza, sembrerebbe restituire centralità al tanto vituperato talk show televisivo. Può interessare a tal proposito il punto di vista di uno sconfitto?

Nel novembre scorso, dopo oltre dieci anni, ho chiesto a La7 di interrompere le trasmissioni dell’Infedele, piuttosto che spostarlo di giorno o di orario. Sentivo io per primo, da tempo, il logoramento della sua formula.
Ma in questa rubrica, che continuerà a portare il nome a me carissimo dell’Infedele, è giusto che io renda omaggio al concorrente dal quale sono stato disarcionato: Paolo Del Debbio, di formazione filosofica, uno dei fondatori di Forza Italia, fra i massimi dirigenti del settore giornalistico di Mediaset. Il suo talk show Quinta colonna, in onda il lunedì su Retequattro, ha interpretato con sapienza lo spirito dei tempi: tutti ladri, fanno tutti schifo, non si può più campare, siamo furibondi.
Solo il cabarettista romano Gianfranco Funari, più di vent’anni or sono, aveva saputo recitare l’indignazione in Tv con altrettanta maestria di Del Debbio. Che la distilla peraltro freddamente, con arguto dosaggio e sempre tenendo al riparo il suo editore.
Dopo la caduta del governo Berlusconi, in effetti, s’è concessa licenza di protestare a nome del popolo pure sulle Tv in cui prima vigeva il silenziatore. E così è partita una gara a chi meglio rappresenta, dal suo pulpito televisivo, gli umori e le sofferenze del popolo. Una gara che si sospende, guarda caso, solo al cospetto di capipopolo cui viene reso il doveroso omaggio.

Capisco che funziona, ma io sono un pessimo attore. Non potrei mettermi all’inseguimento della Tv indignata così come faticherei a trattare con la dovuta curiosità alcuni dei protagonisti televisivi di questa campagna elettorale: il Berlusconi redivivo; il Tremonti nemico dei poteri forti; il Di Pietro candeggiato dalla cura Ingroia; Fini&Casini verniciati da novità politica…
Ben comprendo la precauzione di Bersani che cerca di andare il meno possibile in Tv: è come se vi si celebrasse una contesa fra potentati sovrapposti ma impermeabili alla realtà. Dove il dramma è rappresentato in commedia. Proprio questo ho pensato quando da Santoro a un certo punto Berlusconi si è messo a gridare contro il comunismo e il conduttore, sorridendo, s’è rivolto a Vauro indicandolo come bersaglio di cotanta ira: s’era perduto il dramma, prevaleva lo sghignazzo.

Riusciremo a conservare uno spazio di informazione televisiva riflessiva e critica, mentre gli esperti di marketing insistono a suggerire – con metafora disgustosa – che bisogna saper parlare alla pancia della società? La7 sta attraversando un passaggio difficile, dovuto anche a errori di una gestione severa solo a parole (il proverbio «can che abbaia non morde» s’adatta perfettamente all’ex plenipotenziario Giovanni Stella, che si compiaceva del soprannome «canaro»). Ma la funzione di La7 nel panorama italiano a me pare tuttora imprescindibile.
Con Zeta mi sforzerò di superare la verbosità del talk show e di ricordare che troppe semplificazioni fanno male al cervello. Cedendo la prima serata ai più giovani, e in attesa che gli indignati tornino nell’ovile dei normalizzati dopo una breve stagione di libera uscita, mi permetterò ancora per un po’ il lusso di una televisione che vi tratti come adulti.