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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

QUELLA VIRTÙ NASCOSTA CHE FA RIMBALZARE I GUAI

ll latino, in fondo, era l’antico romanesco. Viene da pensarlo se si considera che un termine chiave della lingua contemporanea e globalizzata è “resilienza” e discende dal latino “resilire”, che significa “saltare indietro”. Siamo quindi nei dintorni del modo di dire pop. volg.: «Questo mi rimbalza». La moquette, il linoleum, il tartan sono resilienti, il marmo meno: una palla di gomma rimbalza su ognuno, ma facendo cadere una grossa pietra il marmo si scheggia prima della moquette, del linoleum, del tartan.
In fisica si denomina infatti resilienza la «capacità di un materiale di resistere a urti improvvisi senza spezzarsi» (Zingarelli). Un sistema è resiliente se un trauma che gli dovesse capitare non lo frantuma ma "gli rimbalza". Il suo opposto è la fragilità.
La lingua ha poi esteso la parola, utile per riassumere una quantità di doti che ne sono i presupposti e che ricorrono in molti altri ambiti: elasticità, flessibilità, duttilità, solidità, appunto
resistenza, durevolezza, reattività...
Sino a qualche mese fa, la parola poteva essere considerata come un termine semplicemente alla moda: un congresso sulla scuola prendeva il titolo «Ora e sempre resilienza», veniva detta “resilienza” la qualità dei tessuti usati per produrre capi “no iron” o, in geriatria, la capacità di certi organismi anziani di reagire ai farmaci evitando che una patologia li deteriori irreparabilmente. Così, l’anno scorso, si registrava la progressiva estensione delle applicazioni di “resilienza” e si notava anche l’origine non trasparente del termine. Chi risiede ha una residenza, chi resiste ha una resistenza, chi riverisce ha una riverenza, ma chi ha resilienza cosa sta facendo? Sembra uscita dal nulla, o dall’ombra e questo conferisce una lieve connotazione ermetica che non nuoce, in una parola che si voglia diventi di moda.
Adesso, però, di moda forse non è più il caso di parlare. L’impiego che del termine si sta facendo in economia individua proprio nella carente “resilienza” il difetto del sistema finanziario che, sottovalutato com’era, ha reso possibile la crisi che stiamo ancora attraversando. Una volta aggiustato il sistema, per “metterlo in sicurezza” occorrerà aumentarne la resilienza.
Le parole-chiave di un’epoca non sono i “valori”. Valori e simboli sono quelle parole astratte che regolarmente vincono i referendum sulla parola più amata: amore, pace, libertà, uguaglianza, fraternità, vita, giustizia, salute. Sono parole-coro: quando se ne enuncia una è poi difficile romperne l’unanimità cantante. Le vere parole-chiave non indicano valori, bensì attività, atteggiamenti, relazioni, anche se a volte valori lo diventano (mezzi che si tramutano in fini). A suo tempo era una parola-chiave, e non un valore, “contestazione”; prima ancora lo furono “ricostruzione” e “modernizzazione”. Anche “creatività” è stata una parola-chiave, prima di diventare un valore. “Concertazione” è una parola-chiave italiana, durata poco; oggi sono parolechiave (globali) “connessione” e “condivisione” e bisogna stare attenti a non farle diventare vuoti valori. “Resilienza” sembra proprio volersi avviare alla carriera di parola-chiave, e vedremo come andrà.
Si potrebbe pensare che anche questa, in sé, non sia che una moda. Ma come lo strutturalismo ci aveva pur insegnato (prima che fosse esso stesso demansionato a moda culturale), gli strumenti analitici veramente utili prima o poi incominciano certamente a transitare da un campo disciplinare all’altro. Applicare la fisica all’economia, così come la linguistica o l’antropologia alla filosofia, non è fare retorica ornamentale. La resilienza economica è una metafora della resilienza fisica, ma la metafora si basa su un’analogia e l’analogia è il modo che abbiamo di farci un’idea della realtà: ciò che, stando dentro a un solo paradigma e a un solo punto di vista, non è consentito perché non si ha prospettiva. Scienze “umane” e scienze “dure” si incontrano proprio qui: ed è un grande fattore di resilienza, per la cultura umana.