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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

DA FANFANI A PAJETTA, MAESTRI DEL COMIZIO SOSTITUITI DAI PROFESSIONISTI DEI TALK SHOW

AGLI albori della Repubblica, se avesse avuto paura del freddo e della pioggia, dei vuoti e delle contestazioni, della concorrenza del cinema o della partita di calcio, la piazza elettorale non avrebbe animato passioni durate mezzo secolo né avrebbe mai dato forma alla politica. L’odierno deserto dice molto e dice troppo.
Così oggi solo Beppe Grillo, di cui tutto si può pensare ma non che manchi di novità espressive, è l’unico che gira per le piazze d’Italia — lo Tsunami tour — e di norma le riempie. Essendo un uomo di spettacolo gioca in casa. Ma il punto è che fino a una ventina d’anni fa anche i comizi erano vissuti come degli spettacoli, per lo più all’aria aperta, e infondergli sentimento e saper dominare gli imprevisti era un’arte che disponeva di pochi maestri (Fanfani, Nenni, Pertini, Pajetta, Di Vittorio, Almirante, Lauro, Pannella) e di moltissimi intenditori.
Così l’altro giorno, a Salerno, con giubbotto e cappello di cerata perché pioveva forte, Grillo ha fronteggiato con istrionica destrezza un gruppetto di contestatori facendoli salire sul palco e poi li ha anche incoraggiati a esporre lo striscione in cui lo si attaccava per via di Casa Pound. A un certo punto, mentre la scena si affollava a beneficio del pubblico, è parso anche ripristinare l’antica pratica del contraddittorio, con i suoi generosi numeri e i suoi vieti espedienti. Come i «frati volanti» spediti dal cardinale di Bologna, Lercaro, a disturbare gli oratori del Pci a piazza Maggiore.
In certi casi la post-politica tende infatti a riattivare moduli pre-televisivi. Anche Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo Qualunque, veniva dal mondo dello spettacolo, con la virtuosa aggravante - se così si può dire - di un’origine anglo-napoletana. Commediografo illustre, sapeva suonare, cantare, coniava espressioni variopinte e raccontava formidabili storielle. Certo, è difficile pensare che si sarebbe lanciato a corpo morto sulla folla (La folla era peraltro intitolato il suo giornale) lasciandosi trasportare a mo’ di rockstar, come Grillo ha fatto a Siena e a Teramo. E tuttavia in una piazza di Trieste il leader dell’Uq portò 30 mila persone a intonare in coro «Dove sta Zazà».
Oh Madonna mia! Sessant’anni dopo la politica, per non dire il potere, ha paura delle piazze. Ma solo perché queste resterebbero desolatamente vuote. I telespettatori fanno il tifo davanti alla tv, magari anche convinti che sia una nuova forma di partecipazione. Ma poi, e intanto, spicciano la cucina, tirano la palletta al cane, vanno in bagno, cambiano canale, si addormentano, o spengono, finalmente - che il giorno dopo tocca svegliarsi presto.
Ci pensino, ogni tanto, i candidati. Che durante i comizi di Peppone il rosso, Don Camillo scioglieva le campane. O che a Napoli, nel mezzo di un raduno della Dc i neofascisti liberarono a piazza Plebiscito centinaia di sorci, creando il dovuto panico. Ricordino, i capilista, l’epopea che s’intuisce dai versi di Rocco Scotellaro: ««E le donne preparano già il grido più forte./ Avviene al nostro comizio volante/ come quando un uomo cade sui suoi passi/ e i marciapiedi si svuotano in quel punto./ Noi pure così protesteremo ai divini potenti/ come la grandine schiaffeggia la terra».
Come la grandine, appunto, e il vento e la pioggia e il gelo e la neve e tutto quanto viene oggi sospettamente invocato per giustificare la separazione che tiene sempre più lontano il castello dalla piazza.