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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

PERCHÉ SOLO I CINESI NON DICONO I LOVE YOU

PECHINO
«Cosa vuoi?». È questa la domanda più delicata che i cinesi, confusi da un senso di forte turbamento, buttano lì se una persona confessa la colpa che muove la sorte del mondo: «Ti amo». Un gruppo di sociologi, con l’aiuto di una televisione, ci ha provato.
Figli, genitori, amici, coniugi, perfino amanti e qualche star, hanno provato a dire ai congiunti le parole grazie alle quali l’umanità non risulta estinta. La maggioranza dei destinatari, colta di sorpresa, ha ammesso che nessuno prima glielo aveva detto mai e che una frase simile, comunque, non l’ha mai pronunciata.
Le risposte più comuni sono state queste: «Cosa sta succedendo? », «Ti senti male?», «Ti ho già versato i soldi del mese», «Il medico mi ha detto che è tutto a posto». Un contadino, travolto dal «wo ai ni» telefonico di una figlia metropolitanizzata che non vedeva da un anno, ha farfugliato: «Sì, ancora sei mesi e il vicino mi presta quanto serve per rifarti le palpebre». Non era mai successo, neppure prima della Rivoluzione Culturale, che un confronto su come è possibile esprimere seriamente ciò che si è concordato di chiamare amore si svolgesse in pubblico tra la popolazione che rappresenta un sesto di
quella del Pianeta. Invece ora anche i giornali del partito riservano la prima pagina a una frivolezza che scuote più dell’apprendere che gli europei cominciano a essere più magri degli asiatici: «Perché i cinesi non sanno dire ti amo».
Sembrava una divagazione da weekend, come quella di una popolare trasmissione che ha chiesto agli spettatori di ricordare l’attimo in cui hanno avuto il sospetto di sentirsi felici. Qui la partita s’è chiusa: memoria esaurita. Sull’incapacità nazionale di trasformare l’affetto in suono si è staccata al contrario una valanga. Il China Daily ha pubblicato le trenta fotografie che per trent’anni, lo stesso giorno, ritraggono un padre con la figlia. Nella prima lui le tiene la manina. Nell’ultima lei lo sorregge per un braccio. «Mai detto – confermano – che ci vogliamo bene». Il file, in poche ore, è stato aperto da due milioni di persone. Vivente Mao, parlare d’amore era bandito come vizio borghese. «I sentimenti – ha detto il ricercatore Ji Yingchun – erano sottomessi agli obbiettivi collettivi: patria, partito, lavoro». Già prima di Confucio, in Asia, contavano le azioni, non le parole. I cinesi, dalla dinastia Yuan, sono cresciuti con i «Ventiquattro esempi di pietà filiale». Chi si vendeva come schiavo per pagare il funerale del padre, chi offriva il proprio sangue per salvare la famiglia dalle zanzare, chi annegava nel fiume per recuperare la sposa. Mai, però, una bella dichiarazione. Ed è questo il problema degli eroafasici cinesi contemporanei, travolti dai film di Hollywood, dalle vecchie soap brasiliane, dal pop britannico, dai fumetti giapponesi, dalle leggende italiane e infine da una montagna di «amori», di «tesori» e di «per sempre» rigurgitati online. Una crisi di identità, l’inferiorità del «non saperlo dire», con centinaia di milioni di individui che cominciano a sospettare che «l’Occidente è più avanti perché ha il coraggio di dire le cose come stanno, specie se non sono vere». Altri sostengono che «in Asia l’amore è una cosa diversa, legata al fare», qualcuno che «l’America ha trasformato in show anche il senso della vita», mentre i cantonesi emigrati a San Francisco confessano che se proprio devono, biascicano un «I love you». Nella lingua materna, però, mai.
Il tema è così caldo che il governo è stato costretto a ricordare di avere approvato un anno fa il nuovo «Manuale dell’amore per il 21° secolo»: insegnare
agli anziani a navigare in internet, impostare i canali della tivù, pagare le bollette agli invalidi, fare la spesa ai vecchi e «aiutare i genitori vedovi a risposarsi ». Il comandamento numero undici del partito, passato sotto silenzio, arriva a recitare: «Dire ai genitori che li amiamo». E una coppia? Niente. Non sarà il preludio di un’altra rivoluzione culturale, ma si profila come l’avviso che ogni cinese vuole liberamente fare i conti almeno con se stesso. Tenersi per mano all’università ora si può, le mamme vengono scongiurate di non cercare più in una certa piazza la ragazza giusta per il figlio, il divorzio non esclude dalla fabbrica ed è nata perfino una banca dove gli ex depositano gli oggetti comuni che hanno significato qualcosa. Riuscire a dire «ti amo», ha sentenziato ieri la Rete allarmando la censura, significa che dopo nessuno può più chiuderti la bocca. «Ma solo di rado – ha scritto la commessa Chong Lu – quando serve proprio. Altrimenti è strano».