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 2013  gennaio 23 Mercoledì calendario

UNA MOSSA TARDIVA

Forse troppo poco, di sicuro troppo tardi. Si dimette Giuseppe Mussari, presidente dei banchieri italiani.
E le sue dimissioni, arrivate ieri sera dopo un intero mandato biennale e a altri sette mesi trascorsi da una rielezione assai contestabile ma poco contestata, fanno chiarezza sull’incapacità - o peggio ancora sulla mancata volontà - dei banchieri italiani di capire come sia cambiata l’aria attorno a loro negli ultimi anni.

Mussari si dimette dopo che nelle ultime settimane sono emerse alcune oscure e complicate operazioni in contratti derivati effettuati dalla Banca Monte dei Paschi di Siena nel periodo, dal 2006 al 2012, in cui è stato presidente dell’istituto. In teoria le operazioni in derivati avrebbero dovuto coprire il Monte da alcuni rischi, in pratica si sono trasformati in perdite per centinaia di milioni. Così proprio a causa di questi derivati, affermano i nuovi manager della banca, sono stati costretti a portare da 3,4 a 3,9 miliardi di euro la richiesta dei cosiddetti Monti-bond, cioè quegli strumenti sottoscritti con soldi pubblici che il governo ha predisposto per aiutare le banche in difficoltà e che solo il Monte dei Paschi ha deciso di richiedere.

Ma già prima di queste incredibili vicende il Monte, presieduto dal penalista calabrese che a Siena aveva scalato fin da giovanissimo il potere sotto l’astro onnipresente del Pci e delle sue successive evoluzioni, si era distinto per mosse di mercato assai azzardate - come l’acquisizione dagli spagnoli del Santander di Banca Antonveneta per la cifra monstre di 10,3 miliardi proprio alla vigilia del grande crac finanziario - e per una solida pratica di porte girevoli in continuo movimento tra amministratori pubblici senesi, dipendenti e consiglieri dello stesso Monte dei Paschi e dell’omonima Fondazione. Fondazione il cui unico scopo è stato mantenere negli anni una presa ferrea sulla banca e che ora è anch’essa sull’orlo del baratro.

Insomma, anche grazie a ciò che è avvenuto nel quinquennio di presidenza di Mussari, la banca senese è diventata l’icona di quello che non va nel sistema creditizio italiano. Adesso le vicende sui derivati fanno giustizia anche di una vulgata - che ha un nucleo di verità, ma che troppo spesso è stata usata a scopo difensivo - secondo cui le banche italiane sono sane perché hanno sempre rifuggito gli eccessi di certa finanza spinta di stampo angloamericano. Non è un caso, così, che domani a Siena, all’assemblea che dovrà proprio decidere di chiedere i Monti Bond, sia preannunciato l’arrivo di due candidati eretici come Beppe Grillo e Oscar Giannino.

Certo, l’avvocato fattosi banchiere è stato un ottimo presidente dell’associazione, spiegano i banchieri: capace - a differenza dei suoi predecessori - di riempire di contenuti il suo ruolo di vertice e di trasformare l’Abi in un vero e proprio sindacato dei signori del credito. E certo, per il presidente dell’Abi, come per chiunque, vale in pieno la presunzione d’innocenza. Non a caso ieri alcuni componenti dell’esecutivo bancario avrebbero incitato il loro presidente ad andare avanti.

Ma è vero anche, e questo i banchieri avrebbero dovuto capirlo già sette mesi fa, quando dopo qualche esitazione decisero comunque di confermare Mussari alla loro guida, che le esperienze professionali del presidente erano decisamente inadatte a un settore che vive - anche - di reputazione e che proprio sul fronte della reputazione ha subìto (qualcuno direbbe: si è meritato) un danno notevole negli ultimi anni. Adesso, mentre il sistema bancario aumenta la raccolta dai clienti e diminuisce gli impieghi destinati alle aziende, mentre in nome di una legittima esigenza di stare sul mercato chiede maggiore flessibilità ai suoi dipendenti, appare doveroso - oltre che in ultima istanza utile per gli stessi banchieri - farsi rappresentare da chi non abbia alle spalle esperienze aziendali nel segno di un insuccesso così netto e di un disordine così diffuso. Ben venga dunque, il gesto di Mussari, anche se probabilmente le sue responsabilità sarebbero da dividere con i banchieri che appena sette mesi fa lo hanno giudicato all’unanimità - l’uomo adatto per guidarli ancora e nonostante tutto.