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 2013  gennaio 19 Sabato calendario

Diego Abatantuono sa che "i delfini" visti dai traghetti di Salvatores erano tonni e che le Malindi di Marco Risi richiedevano tradimenti proporzionali all’esilio: "Proprio tu parli male di me? Io che per te ho fatto il salto della triglia, prima tua moglie e poi tua figlia"

Diego Abatantuono sa che "i delfini" visti dai traghetti di Salvatores erano tonni e che le Malindi di Marco Risi richiedevano tradimenti proporzionali all’esilio: "Proprio tu parli male di me? Io che per te ho fatto il salto della triglia, prima tua moglie e poi tua figlia". Diego "ti spiega" che un orso è solitario anche se indossa una maschera e che una telefonata allunga la vita: "Pupi Avati mi scovò a casa di una mia fidanzata. "Fai Regalo di Natale?". Lo ascoltavo e pensavo: ‘Però, lo scherzo lo hanno organizzato proprio bene’". Diego sa guardare agli anni in cui era "Derby" ogni notte e Beppe Viola, al Bar Gattullo, accoglieva lazzi e malinconia in una nuvola di fumo. Tra le praterie del Giambellino e il mondo adulto del figlio di una migrazione: "Sono il pugliese non pugliese più famoso di Puglia" passano 57 anni. Molti inverni, qualche estate, poche mezze stagioni. La tribù in platea, a vedere l’effetto che fa. Bilancio quarantennale. È stato tutto rapido, breve, improvviso. C’è un percorso obbligato. Una gavetta che spalanca le occasioni. Di solito avviene sul ciglio dei 40, a me è accaduto prima. Gli inizi? Molto cabaret e un’ignoranza assoluta su cinema e dintorni. Vengo a sapere che girano Liberi, armati e pericolosi e mi presento. Ero un bel ‘figliolo’. Guerrieri, il regista, mi squadra e va giù secco: "Funzioni, ti prendo, sono 8.000 lire al giorno". Ci pensa? Mi tuffo. Gli anni 70 me li ricordo felicissimi. Ne avevo 20 e per 8.000 lire, giuro su Padre Pio, sarei andato a piedi a San Giovanni Rotondo. Devo guidare, non ho la patente, ma non voglio perdere l’ingaggio. Così sto zitto, rischio e per poco non mi ammazzo. Il film poi lo feci lo stesso. Il primo di tanti. Avrei avuto bisogno di un mentore, di una guida, di qualcuno che mi consigliasse. Sarebbe stata una vita diversa, non lo trovai. Così con l’abito del terrunciello misi in fila un film dietro l’altro. Alcune intuizioni felici, qualche vaccata, molte cose dimenticabili, niente di cui pentirmi davvero. Ricchezza precoce? Credevo di essermi sistemato per sempre e avevo fatto investimenti in linea con l’illusione. Un giorno, a inizio anni 80, mentre sono in Autogrill, infilo un gettone in un telefono e l’orizzonte cambia. Mi dicono cose strane: "Non c’è più una lira", parlano di debiti. Era svanito tutto e non si trattava di finzione. Cosa era successo? Agenti, commercialisti e produttori erano fuggiti con il malloppo. Sbianco, mi incazzo, sbraito, ma non smuovo nulla. Dovetti riprendere da zero, arare l’Italia, mettere in fila una serata dopo l’altra. Dignità, chilometri e location modestissime. Anni difficili. Chi la aiutò? Maurizio Totti. Uno dei miei amici più cari, il mio socio. Da 30 anni siamo come fratelli. Lui e Avati mi salvarono la vita. Pupi le offrì un ruolo drammatico. Puntò su un Abatantuono diverso. Al di là di un grafico sconcertante che mi avrebbe potuto bruciare e cancellare, sono ancora qui. Durare è complicato, le intenzioni a volte non si coniugano con il risultato e il tempo incide. Sui tuoi bilanci, sulle opportunità, sul fisico. Nel complesso sono felice, ma tra un’euforia e una depressione, esiste sempre un momento in cui confrontarsi con se stessi. Il suo è arrivato? A stare a galla non riesco. Preferisco nuotare. Ho diretto uno spettacolo teatrale, preparo il mio secondo film da regista, scrivo un libro. Un bilancio tra sapori, amori, viaggi e cinema. Sentimenti, avventure e cucina. A fine giornata, persi tra Messico, Grecia e Marocco, finivamo a tavola con la troupe. Ogni tanto si faceva l’alba. E lei, felice. Adoro mangiare. Cadono le barriere. Le persone si rilassano ed escono per quel che sono. gian maria volontegian maria volonte Incontri straordinari? Per alcuni mi preparavo come affrontassi un esame. Comencini mi volle per Il ragazzo di Calabria, l’ultimo graffio di Luigi. C’era Gian Maria Volonté. E le piaceva? A chi non piaceva Gian Maria? Però era strano, aveva un carattere difficile, andava aggirato. Così presi informazioni da conoscenti comuni e mi allenai. Si allenò? Ero giovane, furbo, nient’affatto rincoglionito. Lo conquistai. Grandi conversazioni notturne. Molto intelligente, riflessivo, malinconico. Se penso che non c’è più, che mancano anche Tognazzi, Sordi, Gassman o Chiari, che uno come Scola non gira più, divento triste. Meglio di no. Ettore è un amico. A volte ci sentiamo ancora. E con Depardieu si sente? Abbiamo lavorato fianco a fianco. È l’Ibrahimovìc del cinema, un grande talento. La persona, le dico la verità, mi sfugge. Le sfugge? La pantomima sulle tasse è un colpo pubblicitario senza pari. Gerard ha un film e una réclame in uscita. E un addetto stampa da Pulitzer. L’abbiamo visto come i "barbùn" cantati da Jannacci sulla porta di un appartamento belga, vestito da Moira Orfei tra fiumi di vodka in Russia, a ballare il minuetto con Hollande. Odore di spottone, magari sbaglio. Che fa, critica gli spot? Li ho sempre interpretati tentando di divertirmi, senza mai vergognarmi. In termini di impatto l’orso dei telefoni è pari al solo Eccezziunale veramente, di cui la gente a 30 anni di distanza scandisce ancora le battute. C’è ancora commedia all’italiana? Noi, senza raggiungere le vette dei ‘60, provammo a stare nella scia dei maestri. Oggi o tutto è commedia, o non lo è niente. Manca equilibrio, c’è poca qualità e se ne discute a sproposito. Prenda Tarantino, ha apprezzato un certo nostro cinema. Non ha fatto in tempo a dirlo che i nostri attori urlanti assaltavano la diligenza: "Si è ispirato a noi! Siamo i suoi modelli!". Quentin, che è di buon cuore, lascia correre. La questione è un po’ diversa. E il suo cinema più che alle soldatesse dei 70, si rifà a Corbucci e Leone. Rimpianti? Il sogno di un periodo in cui lavoro significava condivisione. Peccato sia finito. Nei film di Salvatores si provava e si riprovava riscrivendo le battute insieme. C’era desiderio di contribuire, un’alchimia irripetibile. Ne è sicuro? Gabriele, credo per scelta, è su altri percorsi e quel mondo non l’ha più frequentato. Forse non c’è più lo spirito, oppure siamo solo diventati troppo grandi per non provare nostalgia. Ora i suoi film sono girati in inglese, io non conosco la lingua e quindi, problema eliminato. Un’amarezza? Ma no, ognuno fa quel che vuole. Ci si lascia per mille ragioni, come fai a stabilire con esattezza quale? Mi mancano Mazzacurati e Veronesi. Ai tempi di Per amore solo per amore eravamo inseparabili. Vacanze, viaggi, frequentazione quasi ossessiva. Oggi ci sentiamo poco, non ci vediamo più e mi dispiace. Altre assenze? Giuseppe Bertolucci. Bravo regista, persona deliziosa. Sul set di Strana la vita conobbi Giulia, viviamo insieme da 26 anni. Giuseppe è una delle tante persone con le quali avrei continuato a immaginare. Ci incontreremo di nuovo tutti e in un’altra vita, faremo ancora film bellissimi. Sa quanto amerei recitare per Fellini?